Piero Grasso azzoppato e pm antimafia l’uno contro l’altro: la ‘ndrangheta brinda al successo del “piano Lo Giudice”

Spiace constatare che quel che ho scritto su questo umile blog sulla vicenda di Antonino Lo Giudice che sta avvelenando la giustizia, ha trovato riscontro nelle settimane successive.

Lo Giudice che, ricordiamolo, entra in pista quando si autoaccusa degli attentati contro la Procura generale, contro il procuratore Salvatore Di Landro e dell’atto intimidatorio contro il procuratore Giuseppe Pignatone.

Ecco in sintesi cosa ho scritto in questi mesi: 1) che l’inattendibilità della famiglia Lo Giudice era evidente anche ad un cieco; 2) che le menzogne “a lento rilascio” avrebbero inquinato i rapporti tra magistrati; 3) che la “tragediata” dei Lo Giudice stava concentrando l’attenzione su baruffe chiozzotte allontanando lo sguardo dalla matassa politico-massonico-mafiosa che governa gli affari reggini; 4) che le cosche reggine – verosimilmente sotto la regia della triade Condello-De Stefano-Libri – stavano brindando al successo della loro strategia: sacrificare Lo Giudice che, attraverso il fratello Luciano e non come ci si ostina a credere e far credere, attraverso il “nano”, avrebbe contibuito a portare la magistratura antimafia e i servizi segreti militari alla cattura del “Supremo”. E non solo del Supremo.

Non vi tedio ulteriormente, perché rimando ai miei post sui dettagli della “tragediata” di Nino Lo Giudice, letta attraverso i verbali di interrogatorio resi prima a Rebibbia e poi a Reggio Calabria (si vedano in archivio  post del 16, 17, 18, 19, 20, 21 e 30 maggio).

Veniamo dunque all’oggi. Ebbene oggi accade una cosa scontata e una di una gravità assoluta.

La cosa scontata è che la famiglia Lo Giudice continua nella sua “tragediata”. Mentre il “nano” racconta, se non erro l’11 maggio, l’ennesima versione dei fatti, abbondantemente fuori tempo massimo, sulla corruttibilità del pm Alberto Cisterna che in cambio di soldi e vacanze avrebbe dispensato favori, il fratello Maurizio, con un italiano sgrammaticato dapprima, divenuto limpido poi, con vari messaggi sulla pagina non ufficiale di facebook sul procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, dice che figuriamoci se i fratelli avrebbero pagato per tirarlo fuori dal carcere nel quale era recluso. Insomma: sputtana il fratello e assolve Cisterna. Siamo alle comiche!

L’abile “tragediata” che, ripeto all’infinito, è eterodiretta sull’intera famiglia Lo Giudice e non sul singolo fratello, continua dunque a dare i frutti sperati: avvelena i pozzi e getta fango su tutti.

A partire dal pm antimafia Alberto Cisterna che, ma guarda tu il caso, come ho già scritto tante volte, è colui il quale si alterna alla guida con altri magistrati e servizi segreti militari, per giungere alla cattura del “Supremo” (tradito dai Lo Giudice? Boh!). Ma – come vado scrivendo da tempo e purtroppo il tempo mi sta dando ragione – vedrete che non è finita qui. Altri magistrati finiranno negli schizzi della macchina del fango e i colpi di scena sono solo all’inizio.

La cosa gravissima sono, invece, le conseguenze della notizia sull’accusa di corruzione in atti giudiziari a carico di Cisterna, data proprio il giorno dell’interrogatorio del pm.

Si badi bene: il giornale (Il Corriere della Sera) che ha dato la notizia non ha fatto bene a pubblicarla. Ha fatto benissimo. Un giornale e un giornalista non devono guardare in faccia a nessuno e dare le notizie.

Il punto, dunque, non è questo ma sono le conseguenze che la mente raffinatissima che sta dietro questa soffiata raccolta sacrosantamente da un giornale ha, volontariamente o meno, raggiunto.

E veniamo al dunque:

1) il clamore che ha accompagnato l’interrogatorio “in casa” del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, di fatto azzoppa quest’ultimo. Lo avevo già scritto ma a questo punto drammaticamente lo riscrivo. Piero Grasso, figura limpida e punto di riferimento per chiunque faccia della legalità la propria stella polare, è un obiettivo chiarissimo delle menti raffinate e rozze che hanno studiato la “tragediata”. Colpendo il suo numero due, Cisterna, Grasso viene colpito. Di striscio? No: purtroppo in pieno volto.

Il colpo delle menti raffinatissime e rozze a Piero Grasso, continuerà ad alimentare le voci sulla contendibilità della sua poltrona. In questi mesi, nonostante il suo mandato non sia in scadenza, chissà perché continuano ad affacciarsi in maniera subdola le candidature. Di persone degne. E di persone talmente indegne che, come dice mia suocera, non le toccherei neppure con una canna da pesca. Talvolta persone con un passato torbido, mescolato a oscuri percorsi di periferia ravvivati da pugnalate alle spalle di simboli imperituri della lotta alla mafia. Talaltra magistrati sulla scia della politica politicante;

2) la vita e la professione di un magistrato, per ora Cisterna me vedrete che i corvi offriranno presto altri petti alle raffiche di fango, sono state violentate. Ripeto solo ciò che ho già detto e scritto: sono state violentate da un “pentito a lento rilascio” che prima nega, poi ritratta, poi conferma, poi smentisce, poi non ricorda ma poi ricorda e via con questo ignobile balletto. Se -  e sottolineo se – le accuse a carico di Cisterna fossero solo le squinternate dichiarazioni del “nano”, condite dalle irruzioni telematiche del fratello, in nessuna aula di Tribunale queste ultime verrebbero neppure prese in considerazione

3) la magistratura calabrese antimafia ne esce a pezzi. Inutile anche qui girare intorno a un dito: una frattura insanabile (che il tempo ha cercato di nascondere e celare spesso con scarso successo) tra la Procura di Reggio Calabria e la Procura nazionale antimafia si è consumata.

Ora io vi domando: in tutto ciò, secondo voi a brindare chi è? Solo le cosche che una cosa sanno: il motto latino dividi et impera, dividi e domina, mai come in questi mesi troneggia nel cielo della (in)giustizia calabrese. A (ri)scriverlo, quel motto, sono state loro e ora ne godono aggiungendo nel cielo sopra Reggio un altro motto: comandare è meglio che fottere. Soprattutto quando si hanno complici insospettabili.

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • galullo |

    Egregio Sinise,
    la frattura tra parte della Procura di Reggio e parte della Dna è nei fatti: il disaccordo è totale su alcuni punti chiave ma di più non voglio dire (al momento, ma c’è sempre un momento). Ma non si illuda: esistono almeno due anime anche all’interno della stessa Procura reggina. E se proprio vuole le aggiungerò altro: tra pezzi della Procura generale e pezzi della Procura i rapporti sono a dir poco freddi (uso un eufemismo). Vuole sapere ancora una cosa? Anche tra Catanzaro e Reggio le vedute sono spesso diametralmente opposte.
    Sono d’accordo con lei che tutti i fatti devono essere accertati, ci mancherebbe altro. Quel che credo – e l’ho scritto – è che questa abile tragediata sia riuscita a spaccare il fronte antimafia e distogliere l’attenzione dal vero bubbone reggino, l’intreccio tra ‘ndrangheta, politica e pezzi dello Stato e della massoneria deviate.
    Il “piano Lo Giudice” sta funzionando. A discapito della lotta alla mafia e della vita di persone che, fino a parola contraria, hanno fatto della lotta alla mafia una ragione di vita.
    saluti
    roberto

  • giorgio sinise |

    La strategia che lei ha delineato potrebbe stare tranquillamente in piedi. Ma, secondo lei, la Procura di Reggio doveva eclissare tutto sostenendo che erano le cosche la regia di questi pentimenti? Non capisco perchè dovrebbe presentarsi una frattura tra La Procura nazionale e quella di Reggio. Lì si che si farebbe il gioco delle famiglie. Se qualcuno confessa l’esistenza di complicità tra così illustri personaggi e parte delle organizzazioni criminali, credo che il personaggio sotto accusa dovrebbe fornire tutte le prove necessarie per dimostrare che lui non ha mai avuto rapporti. Isolare Reggio Calabria sarebbe fare un regalo grande a gran parte dei potenti di oggi. Tutti passano dalla Calabria e tutto passa dalla Calabria. Insomma a mio avviso, se parte uno scontro tra Roma e Reggio, qualcosa da nascondere c’è.
    saluti

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