L’Operazione Tetragona – che il 15 maggio ha portato la Dda di Caltanissetta a svelare l’asse Gela-Genova-Milano lungo il quale le cosche nissene (in special modo Rinzivillo) facevano affari in provincia di Caltanissetta e al Nord – riserva molte sorprese (si veda il post in archivio del 3 giugno).
Alle 18.22 del 21 settembre 2009, Nunzio Di Gennaro, arrestato nel blitz e imprenditore per la Procura di Caltanissetta a disposizione di Cosa Nostra, parla con un uomo non meglio identificato, di nome Lillo.
Di Gennaro, imprenditore del settore edile, lamentando le proprie precarie condizioni economiche, progettava una truffa nel settore alimentare e non disdegnava la proposta di Lillo di organizzare un possibile sequestro di persona a scopo di estorsione.
In particolare, Lillo pensava di sequestrare una persona ricca e di chiedergli un riscatto non eccessivamente esoso, 250mila euro, in modo tale da ottenere facilmente il pagamento dei familiari della vittima.
Lo stesso Lillo aggiungeva che molti altri sequestri di questo tipo erano andati bene e che le vittime non avevano sporto denuncia,
Questa la parte della telefonata.
Uomo:… u pigliammu du jorna… si prende… si tiene due giorni e si chiede poco… duecentocinquantamila euro… dai forza!… hai capito?… e qui… tutti hanno paura… si cacano addosso… così che si lavora… hai bisogno di soldi… vabbè… andiamo dal ricco… dammi duecentocinquantamila euro… cazzo cosa sono?… per uno ricco cosa sono?…(incomprensibile)...
Nunzio:… si!
Uomo:… mica gli stai chiedendo milioni di euro… ouh!… sai quante ne hanno fatte così… e manco li hanno denunciati…
I magistrati di Caltanissetta (l’ordinanza è stata firmata dal Gip Carlo Ottone De Marchi) non specificano se nel mirino potessero esserci facoltosi imprenditori o uomini di affari del Nord piuttosto che del resto d’Italia.
La logica dice che la regione e la provenienza non avessero poi tanto interesse come testimonia un episodio di cui c’è traccia nell’ordinanza: un progetto di sequestro di persona che vedeva coinvolto un pregiudicato gelese, ai danni dei familiari di una facoltosa famiglia nissena, che opera in Italia e all’estero nel settore della creazione dei software per giochi elettronici oltre che nella costruzione e commercializzazione dei videogiochi .
La mia deduzione (ripeto, è solo una deduzione) è che i sequestri tornano ad essere uno strumento per finanziare le cosche, soprattutto quelle colpite dalle misure patrimoniali (sequestri e confische di beni). Ma tornano ad essere anche uno strumento per sostenere i familiari detenuti. Credo meno all’ipotesi che – nel momento in cui la magistratura sta colpendo l’ala militare di Cosa nostra – tornino ad essere uno strumento per terrorizzare e riaffermare la propria potenza e il controllo sul territorio.
A differenza del passato, però, i sequestri, come testimonia anche la telefonata intercettata e riportata nel’ordinanza, non puntano sulla grande somma ma su somme minori che consentono un facile incasso e, contemporaneamente, allontanano la possibilità di una denuncia alle Forze dell’Ordine.
r.galullo@ilsole24ore.com
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