Cari amici di blog molti di voi avranno seguito le recenti vicende di Reggio Calabria e il fatto che qualcuno si è affrettato ad alzare la V in segno di vittoria.
Tutto risolto. A Reggio la ‘ndrangheta non fa più paura.
Nella famiglia Lo Giudice – che nella mappa della criminalità di Reggio Calabria è in seconda o addirittura terza fila nonostante ciò che scrivono i “professoroni” della penna a comando – è stata individuata l’origine e la fine della serie di attentati e minacce che si sono susseguiti dalla notte del 3 gennaio 2010 a ottobre 2010.
Una storia ben raccontata alla quale io non credo. Almeno fino in fondo, sia ben chiaro e nel rispetto di qualunque verità giudiziaria uscirà. Storia comunque struggente, buona anche per riportare in auge una stagione dei veleni – vedrete che il tempo mi darà ragione – che ricorda quella del corvo di Palermo. Una stagione della peggiore specie. Quella in cui la politica viene appena sfiorata dalle inchieste e alcuni magistrati vanno a braccetto con gli indagati. Siamo solo all’inizio.
Gli stessi magistrati di Catanzaro, nell’ordinanza che la scorsa settimana ha portato all’arresto di 4 persone, dicono chiaro e tondo che le reali motivazioni che hanno portato alla serie di delitti (le bombe alla Procura generale, sotto casa di Salvatore Di Landro e davanti al Cedir) restano sconosciute. La parola reticenza viene usata da Vincenzo Lombardo, capo della Procura di Catanzaro, senza paura.
La sensazione – nettissima – è che abbiamo assistito e stiamo assistendo a una fantastica stagione di depistaggi, durata finora 15 mesi, in cui gli obiettivi possono, allo stato attuale dei fatti, solo essere oggetto di congetture.
E I MOTIVI?
Personalmente credo che il vero obiettivo sia distogliere l’attenzione dalla disgustosa commistione tra ‘ndrangheta, affari, politica, massoneria deviata e pezzi di Istituzioni deviate, che drenano centinaia di milioni del decreto per Reggio, mungono le municipalizzate e restano in attesa della manna del Ponte sullo Stretto.
Non dimenticate mai – e ripeto mai – che in questa matassa ignobile giocano un ruolo pesantissimo i servizi segreti, più o meno deviati, che anche in queste vicende stanno entrando a piedi uniti con dossieraggi in preparazione che a breve faranno cucù come l’uccellino dall’orologio a pendolo.
Credo, ancora, che sia verosimile la volontà di colpire, con la serie di attentati, il “nuovo corso” del procuratore generale Di Landro che altro non sarebbe, poi, se non una scrupolosa e attenta lettura corale dei fascicoli, una mera attenzione alla cura dei dibattimenti, soprattutto per quelli più delicati (a esempio il cosiddetto processo Rende, il processo alle banche e i tanti processi riguardanti le cosche eccellenti delle città, i cui portafogli potrebbero subire qualche “colpetto”).
Credo anche che il processo Rende – da subito individuato dal pg Di Landro come snodo vitale della strategia della tensione – giochi una parte delicatissima, anche per alcuni risvolti inediti che racconterò nei prossimi giorni.
LA SEQUENZA
La sequenza di ciò che è accaduto dal 3 gennaio 2010 – ricordo perfettamente che in quei giorni ero tra Reggio e Rosarno per seguire la cosiddetta rivolta dei neri – è assolutamente incredibile e, ancora più incredibile è quello che potrà accadere a breve. La macchina del fango sta entrando in azione e la Procura di Catanzaro – per ora, ma solo per ora – è riuscita a spegnere il ventilatore.
Il finale è già scritto: Reggio è una città irrecuperabile e su questo assunto qualcuno – a ogni livello – tenterà di costruire il resto di una carriera “chiacchiere-e-distintivo” A Reggio, così, la matassa continuerà a governare i miliardi che piovono e pioveranno a catinelle grazie al decreto per Reggio e, chissà, anche al “Ponte sulle mafie dello Stretto”.
Mettetevi in testa una cosa: tutto ma proprio tutto quel che succede a Reggio ruota intorno a quelle centinaia di milioni del decreto per Reggio (in attesa dei miliardi quelli per il Ponte). Lì è i-ne-qui-vo-ca-bil-men-te, come ho scritto e riscritto più volte, anche la chiave degli attentati e delle serie minacce al sindaco facente funzioni (che non a caso volerà per altri lidi) Giuseppe Raffa. Le ‘ndrine che comandano in città – De Stefano e Condello in primis – non possono permettere che sfugga loro il controllo delle risorse, mentre oltretutto da anni allungano sempre più la propria ombra sulle municipalizzate cittadine, altra “cassaforte” inesauribile.
Abbiate la compiacenza di seguirmi. Lo so che sarò lungo ma queste vicende – che sono un pezzo importante della democrazia italiana – non possono essere raccontate in due righe. Questo è solo il primo post. Chi vuole mi segua. Agli altri auguro buona giornata e Buona Pasqua.
Nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010 una manina ignota piazza una bomba sotto la sede della Procura generale di Reggio Calabria.
L’8 marzo 2010 il capo della Procura generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, spedisce una nota riservata al ministro della Giustizia Angelino Alfano in cui ricostruisce punto per punto i motivi che sarebbero dietro la bomba della notte del 3 gennaio.
Quella lettera arriva anonimamente sulla mia scrivania alcune settimane dopo e – per primo in Italia su questo umile blog – ne dò notizia l’8, il 9 e il 10 giugno 2010 (anche sul Sole-24 Ore), ripreso poi da tutti i media nazionali.
Ma cosa c’era scritto su quella lettera-relazione? Oltre a rimandare all’archivio, sinteticamente Di Landro afferma che dietro la bomba ci sarebbe stata la sua volontà di cambiare in corso le carte sul tavolo del cosiddetto processo “Rende”. Non lo dice solo lui ma lo dicono anche i riscontri dei Carabinieri e lo dicono anche le minacce e la promessa di una bomba che radio-carcere invia all’avvocatessa di parte civile Giulia Dieni. “Questo fatto – scrive testualmente Di Landro – assume una colorazione sinistra e tenebrosa ed è indice dell’assoluta valenza della causale individuata”. Ma Di Landro è talmente sicuro del fatto suo che ad Alfano scriverà: “l’avvocatessa Dieni fu buon profeta: la bomba vi fu ed esplose in danno della Procura generale”.
Quindi a marzo era tutto chiarissimo: alla causa della bomba c’era il processo Rende.
Il 26 agosto 2010 una bomba esplode proprio sotto casa di Salvatore Di Landro che, incredibilmente, nonostante tutto quel che accade a Reggio Calabria non era sorvegliata 24 ore su 24 ma solo “vigilata”. Attenzione: l’attentato non è all’Istituzione ma proprio a lui, in quanto Salvatore Di Landro, magistrato mite ma inflessibile, onesto e corretto.
Il 30 settembre 2010 quattro soggetti ritenuti vicini alla cosca Serraino vengono arrestati proprio con l’accusa di essere dietro l’attentato della notte del 3 gennaio.
Il 5 ottobre 2010 viene ritrovato un bazooka davanti alla Procura della Repubblica e una telefonata anonima indica che si tratta di un messaggio al capo della Procura Giuseppe Pignatone.
Mentre tutto questo accade – bombe, relazioni ai ministri, attentati e minacce ai capi delle Procure – non va mai perso di vista un punto: alcuni magistrati e alcuni uomini delle Istituzioni, nei mesi, siedono alla destra o alla sinistra di politici indagati o discussi in convegni pubblici e occasioni pubbliche mentre il giorno prima li hanno magari ospitati in Procura per interrogarli o in Questura per ascoltarli. Altri magistrati della Dda e altri investigatori, invece, non solo lavorano e portano a casa risultati ma, di pari passo, raggiungono anche altri due sgraditi obiettivi: vengono minacciati seriamente, molto seriamente, di morte e, proprio con il loro lavoro certosino e infaticabile, scavano un fosso enorme (e visibile a chi mastica tutti i giorni mafia) tra loro e chi fa antimafia a parole sperando, con la benevolenza della politica mai toccata dalle inchieste, di fare ancora carriera.
Il 15 aprile 2011, 4 arresti a Reggio Calabria per gli attentati compiuti contro il procuratore generale, Salvatore Di Landro e contro il procuratore Giuseppe Pignatone. Delle bombe si era autoaccusato il boss pentito Antonino Lo Giudice, arrestato a ottobre 2010. L’ordinanza di custodia cautelare viene emessa dal gip di Catanzaro su richiesta del procuratore distrettuale, Vincenzo Lombardo, e dal pm Salvatore Curcio.
Tre dei presunti responsabili, ritenuti affiliati alla cosca Lo Giudice, sono già in carcere. Due di loro sono appunto Antonino Lo Giudice e il fratello Luciano, ritenuti i mandanti delle bombe; ci sono poi Antonio Cortese e Vincenzo Puntorieri, il giovane che avrebbe aiutato Cortese nel piazzare gli ordigni.
Gli atti intimidatori sarebbero stati progettati dopo l’arresto di Antonino Lo Giudice, insomma una reazione della “coschetta” di terza fila all’arresto del presunto boss, dopo il mancato “rispetto” da parte dello Stato per la collaborazione e dopo i sequestri alla famiglia per 9 milioni.
COSE DA PAZZI
Insomma tutto ‘sto casino – bombe, minacce eccetera – è da attribuire ai Lo Giudice che nella geografia della ‘ndrangheta reggina – senza che il gotha li autorizzi – contano quanto il due di bastoni quando a briscola regna coppe? Senza dimenticare che un altro paio di figurine sarebbero dietro la messinscena dell’attentato al Capo dello Stato. E secondo voi la ‘ndrangheta seria (quella di cappa, spada, tavole e leggi) avrebbe consentito tutto questo ‘sto casino per un paio di familiari Lo Giudice arrestati e 9 milioni sequestrati!
A nessuno viene in mente che – ammesso e non concesso che i Lo Giudice nella loro mente potessero veramente credere di avere aderenze istituzionali – dopo il primo attentato fallito del 3 gennaio, tutte le cosche calabresi del globo terracqueo avrebbero fatto di tutto per fermarli?
Nessuno ricorda che radio carcere già a febbraio/marzo rimandava da una cella all’altra l’ordine di fermare la mano di quei “pazzi” che avevano attentato alla Procura? E ben sapendo che radio carcere impiega pochissimo tempo a spedire sulle frequenze giuste le notizie volute, si può davvero credere che i Lo Giudice – da soli e senza nessuna autorizzazione – si spingano fino ad un secondo attentato a casa di Di Landro e finanche scodellare uno spara missili sotto la sede del Cedir?
E le certezze – messe nero su bianco dal Procuratore Di Landro – sulla reazione scatenata dal processo Rende che fine hanno fatto? Perché non ne parla più nessuno?
Lo stesso Di Landro, scrive, a proposito della bomba sotto la Procura che “se vi fosse altra spiegazione la ndrangheta, mai sotto tiro come in questo lasso di tempo, avrebbe fatto di tutto per far allentare la pressione cui è sottoposta, consegnando (almeno) con una soffiata gli autori dell’attentato”. Lo scrive – e ve lo rivelo per la prima volta – a pagina 8 della relazione spedita a marzo ad Angelino Alfano.
E i Serraino che fine hanno fatto e che ruolo ricoprono anche alla luce del processo Rende? Qui l’analisi sfiora la macchietta. Mentre, nelle scorse ore, apprendiamo infatti che quella pista non è stata abbandonata, contemporaneamente a pagina 60 dell’ordinanza, il Gip scrive burocraticamente di “primigenia tesi investigativa” e dunque lascia capire che è una pista ormai abbandonata a favore della verità dei Lo Giudice.
Riletto 13 mesi dopo, quel che scrive Di Landro (che ha una carriera lunga in magistratura quanto una vita) è profetico: la pressione è stata allentata ma solo sulle collusioni tra ‘ndrangheta, massoneria deviata, istituzioni deviate e politica e nel nome di un gruppo di seconda o terza fila delle cosche reggine. Gruppo che si è magari immolato sull’altare della Patria confessando di tutto, di più? Manca solo il fallito attentato a Topo Gigio e abbiamo fatto bingo. I motivi di questo atteggiamento – sui quali tornerò approfonditamente nelle prossime ore con un nuovo post – possono (potrebbero) legarsi al fatto che i Lo Giudice fanno affari milionari a Reggio ma non hanno un territorio. Non hanno una propria zona. Il patto raggiunto con la piramide della ‘ndrangheta ha permesso loro di essere presenti a macchia di leopardo. Macchie che possono essere cancellate con facilità dal gotha delle cosche. Una condizione debole, debolissima di sudditanza, quindi. Per continuare a esistere e fare affari la “tragedia” può essere un onorevole via d’uscita per tutti. Una via d’uscita, una “tragedia” che permette – innanzitutto – di lasciare il gotha politico-mafioso-massonico-deviato lontano dai riflettori, impegnato com è a succhiare e drenare centinaia di milioni del decreto per Reggio, blindare la cassaforte delle municipalizzate reggine e intercettare le risorse statali e comunitarie che piovono generosamente in Calabria.
A presto
1 – to be continued
p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica alle 0.15 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.
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