Vi siete mai chiesti quanto si guadagna dalla raccolta dei rifiuti?
Una risposta dall’operazione “Ferrari come back” condotta questa mattina dalla Dia (Direzione investigativa antimafia) di Napoli, che ha dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo di beni emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di Cipriano Chianese, di Parete (Caserta), avvocato, imprenditore operante nel settore dello smaltimento dei rifiuti, già raggiunto nel marzo 1993 e nel 2007 da ordinanze di custodia cautelare per vicende connesse al traffico di rifiuti e all’appartenenza al clan dei Casalesi, attualmente a giudizio con l’accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico per la sua appartenenza al clan dei “Casalesi”.
E’ stato disposto anche il sequestro dei beni nei confronti di Franco Caccaro, di Campo San Martino (Padova), con precedenti di polizia per reati finanziari, individuato dalle indagini svolte dal Centro Dia di Napoli come intestatario di beni e società di fatto riconducibili a Chianese.
Tanto per chiarire: quest’operazione – qualora ce ne fosse bisogno – testimonia la penetrazionme dei capitali mafiosi nel Nord Est e la complicità degli imprenditori locali.
Andando a leggere il provvedimento si scopre – a pagina 26 – che tal Angelo Antonio Ferrara, il 27 marzo 2001 dichiara che: “…il Chianese si occupava della raccolta di rifiuti ed era un uomo ricchissimo. Ricordo che una volta, nel corso di un incontro, ebbe a dire che incassava quasi 700 milioni al mese per questa attività…”.
In passato la Dia e il Tribunale sammaritano si erano già interessati all’avvocato Chianese, già titolare della Resit, società che gestiva discariche nel territorio campano. Infatti nel 2008 era già stato assoggettato alla sorveglianza della Polizia ed era stata disposta la confisca di una parte del suo ingente patrimonio, visto che le vicende oggetto dei procedimenti penali in cui era rimasto coinvolto Chianese dimostravano gli stretti e consolidati rapporti con soggetti di accertata appartenenza al sodalizio camorristico dei casalesi.
Chianese era agli arresti domiciliari, per aver truffato il Commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania attraverso minacce realizzate da persone aderenti al clan dei Casalesi tra il 2002 ed il 2003 al punto di essere definito nella misura di custodia cautelare quale “protagonista indiscusso tanto delle azioni truffaldine quanto di quelle estorsive contestate” e viene indicato come “senza dubbio un imprenditore mafioso dall’anno 1988 all’anno 1996” rimarcando la sua sostanziale appartenenza associativa con il ruolo di organizzatore e dirigente nel settore imprenditoriale dell’attività criminale.
Diversi collaboratori di giustizia, in modo univoco, hanno delineato la figura di Chianese come imprenditore che asserviva le proprie discariche ai Casalesi, consentendo ingenti benefici economici: in altri termini, risulta dimostrata una cointeressenza di Chianese e del clan dei Casalesi nell’attività di gestione dei rifiuti, nella partecipazione e suddivisione degli utili.
Le indagini hanno permesso di delineare Chianese come protagonista assoluto della penetrazione camorristica nel settore dei rifiuti. Un vero e proprio “inventore” del sistema delle ecomafie in Campania. La sequela di comportamenti criminosi ricostruita documenta come Chianese “abbia saputo adattarsi al mutamento determinato dall’instaurazione della gestione commissariale dei rifiuti allacciando con il subcommisssario ai rifiuti Facchi un rapporto ora collusivo ora intimidatorio dal quale ha tratto rilevantissimi profitti illeciti”.
Al punto che, secondo le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, Chianese dal traffico dei rifiuti avrebbe percepito negli anni ‘90 fino a 700 milioni di lire al mese.
Le indagini che hanno portato all’operazione odierna hanno consentito di evidenziare il ruolo di prestanome di Franco Caccaro, imprenditore del padovano attivo nel settore delle macchine per triturazione dei rifiuti con la sua società, Tpa tecnologia per l’ambiente srl, che, improvvisamente, e senza alcuna ragione economica, ha sviluppato intorno al 2005/2006 la sua attività con l’ingresso di ingenti capitali tra cui tre milioni di euro provenienti da due assegni della Resit di Chianese che Caccaro ha giustificato con crediti personali che vantava nei confronti dell’imprenditore di Parete senza poter giustificare date e provvista del presunto prestito. Questi “apporti” avevano consentito alla società di diventare leader nel settore delle macchine per la triturazione dei rifiuti con oltre 200 dipendenti e sedi operative a New York, vicino a Wall Street, in Turchia, Australia, Francia e Brasile.
Le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia già evidenziavano come fosse noto che Chianese stesse tentando di creare società operanti nel settore dei rifiuti nel nord Italia e Caccaro non sia riuscito a giustificare la provvista che gli ha consentito alcuni ingenti aumenti di capitale delle sue società e l’estromissione dei vecchi soci proprio per importi equivalenti a quelli forniti con gli assegni di Chianese.
Ancora, fu proprio Caccaro, tramite le sue società, a fare una offerta all’amministratore giudiziario dei beni di Chianese sotto sequestro e poi confiscati, per l’acquisto di due Ferrari, una 360 Spider ed una Enzo Ferrari, per circa un milione, evidentemente allo scopo di farne rientrare in possesso fraudolentemente lo stesso Chianese.
Il padovano Caccaro era già conosciuto dagli organi di Polizia per i suoi precedenti quale amministratore della Tpa che aveva fatto ricorso a fatture per operazioni fittizie ed inesistenti, finanziando Chianese con cospicue somme di danaro, fatte apparire come aspetto finanziario di normali relazioni commerciali, ma in realtà apportando ingentissime iniezioni di denaro da reinvestire nel nordest.
La Dia di Napoli e la Procura di Santa Maria Capua Vetere hanno calcolato che il volume di affari tra la Resit di Chianese e la Tpa di Caccaro sia ammontato a oltre 10 milioni nel corso di pochi anni.
Al duo delle meraviglie sono stati sequestrati beni per 13 milioni, compreso un grande capannone industriale nel padovano per un importo di oltre due milioni.
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