Famiglia sterminata dalla ‘ndrangheta in due mesi: Papa Ratzinger invocherà il giudizio di Dio a Lamezia?

Oggi, cari amici, scriverò un post diverso. Metterò in fila tre anni e quattro date. Alla fine tirerò le somme. Credo che vi piacerà il ragionamento. O forse no. Vorrei saperlo.

 9 maggio 1993

Con il vento che gli scompigliava i capelli bianchi e il Tempio della Concordia alle spalle, Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi scrive una pagina di storia contemporanea. «Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può uomo, nessuna umana agglomerazione, mafia, togliere il diritto divino alla vita…Nel nome di Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo che è Via, Verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili. Convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio»: quelle frasi che fecero il giro del mondo non erano scritte nel discorso ufficiale. Furono pronunciate a braccio dal Pontefice.
Carol Wojtyla nei suoi viaggi in Sicila, non solo Agrigento ma anche Palermo e Siracusa, capì che oltre a maledire la mafia bisognava spronare la Chiesa. I suoi pastori. E’ necessario fondare «una civiltà dell’amore come antidoto alla mafia», disse. E ancora: «Per realizzare degnamente questo disegno di rievangelizzazione – disse a Siracusa – e di catechesi a tutti i livelli, è necessario il lavoro indefesso, costante, organizzato e concorde di tutte le forze disponibili del clero».
I sacerdoti devono essere pronti, in questa missione, al sacrificio anche della vita.

8 dicembre 2009

Ricordando l’anatema lanciato da papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, nel corso del tradizionale discorso alla città, disse che per tutti «un giorno verrà il giudizio di Dio» e lanciò un appello alla conversione ai camorristi.

Un appello rivolto a quanti, rimarcò Sepe, «pensano di poter comprare il favore di Dio senza rispettare l’uono, a chi calpesta il valore della vita con la violenza e la morte». Una cultura della morte che quotidianamente «trova spazio nel vuoto o nel compromesso di alcuni, nell’omertà di altri, nell’indifferenza di molti, nella disperazione di quanti, abbandonati a se stessi, si affidano a chiunque offra lavoro e sostentamento, anche a costo della vita degli altri. E di queste vite non solo dei morti ammazzati nelle sparatorie, ma della vita di chi in questa città rimane schiacciato dall’assuefazione a un sistema malato, siamo tutti responsabili».

«Vogliamo chiedere perdono per il male che ancora sporca di sangue le nostre strade, la nostra vita, la nostra anima. Come possiamo chiedere la benedizione della Vergine per questa nostra amata terra, per i suoi figli, se non abbiamo il coraggio di lottare apertamente e quotidianamente contro la civiltà della morte, che qui da noi si chiama camorra?», continuò Sepe in occasione della solennità dell’Immacolata.

«Come possiamo chiedere l’intercessione dell’Immacolata in questo momento di crisi per le famiglie in difficoltà, per i giovani che non trovano lavoro, per i disoccupati di sempre – urlò – per i senzatetto, se non gridiamo forte la nostra indisponibilità contro un sistema malavitoso che ancora blocca l’economia, che ancora propone modelli culturali ed educativi aberranti che si insinuano nella vità di tutti».

7 aprile 2011

Gaetano De Marco, l'uomo al quale furono uccise la moglie e la figlia per vendetta, e' stato assassinato stamani lungo la strada che conduce da Spezzano Albanese a San Lorenzo del Vallo, nel cosentino. L'uomo stava camminando per strada quando e' stato raggiunto da alcuni colpi d’arma da fuoco. L’omicidio della moglie e della figlia dell'uomo, Rosellina Indrieri, di 45 anni, e Barbara, di 26, è stato compiuto il 16 febbraio scorso nell'appartamento della famiglia a San Lorenzo del Vallo.

La ‘ndrangheta, alla quale il fratello di Gaetano De Marco, Aldo aveva pestato violentemente i piedi (17 gennaio, a Spezzano Albanese, uccise a colpi di pistola Domenico Presta, 22 anni, figlio di Franco Presta, boss latitante, per dissidi su un parcheggio) non dimentica. E si vendica.

 24 aprile 2011

Giorno di Pasqua.

Monsignor Luigi Renzo, vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, pochi giorni fa ha esortato i presbiteri della sua diocesi a “essere più coraggiosi e uniti”. Il vescovo ha chiesto che nella processione per l’Affruntata di Sant’Onofrio, nel vibonese, non si consentano infiltrazioni mafiose. La manifestazione rappresenta l’incontro della Madonna con il Cristo Risorto e con San Giovanni Evangelista ed è una delle espressioni di pietà popolare più suggestive delle celebrazioni pasquali in Calabria.

Con una nota ufficiale ha invitato le confraternite a “rinunciare a certi pretesi privilegi e di mostrarsi più collaborativi con i parroci, di affidare ai giovani che frequentano la parrocchia e sono veramente impegnati in un cammino di fede l'opportunità di portare loro le statue e di renderli protagonisti anche nell'organizzazione”. Il vescovo ha confermato la volontà di valorizzare al massimo “significative tradizioni popolari come occasione preziosa per educare i fedeli”, ma ha invitato tutti “a non lasciarsi espropriare di ciò che appartiene alla ricchezza e al patrimonio religioso del nostro popolo”.

Lo scorso anno – proprio per marcare le distanze contro la ‘ndrangheta – monsignor Renzo la rinvio (con enorme clamore popolare) e la fece celebrare alcuni giorni dopo la Pasqua.

Conclusione. Nell’arco di 48 ore in Calabria e in Sicilia – dove a Palermo, nel bagagliaio di un'auto rubata, viene trovato il cadavere incaprettato di Davide Romano, figlio del boss del Borgo Vecchio, che viene considerato il primo delitto di mafia dal 2007 – il potere delle mafie risuona con la forza della violenza.

La Chiesa risuona – a quanto mi risulta – con la voce coraggiosa del Vescovo di Mileto ma, tutt’intorno, si ode un silenzio tombale.

Misericordiosa proposta: Papa Benedetto XVI il 9 ottobre visiterà la Calabria, facendo tappa nell’ommensa distesa di Contrada Rotoli a Lamezia Terme, città nella quale, secondo la denuncia del capo della Procura Salvatore Vitello, un quinto degli abitanti sono collusi o vicini alle cosche.

Fata a praccio (vada a braccio) con la sua inconfondibile parlata tedesca. Ma faccia risuonare forte il grido della Chiesa e il giorno del giudizio di Dio per quei maledetti ‘ndranghetisti che in Calabria – vera piaga purulenta d’Italia – con lo sterminio di un’intera famiglia in
due mesi, hanno dimostrato che la legge delle cosche è più forte della legge degli uomini.

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • Christian Ciavatta |

    Faccio presente che nella valle del Bonamico le cooperative agricole che producono frutti di bosco, insaccati, vini, grappe ecc ci sono ancora e continuano a produrre e vendere qui al Nord e continuano a dare lavoro a tanti giovani, anche con disabilità.
    La nostra associazione ne promuove l’acquisto e sensibilizza la cittadinanza sull’importanza di acquistare prodotti che sviluppino il circuito dell’economia legale, come quelli della valle del Bonamico.
    Gli uomini e le donne che hanno portato avanti il progetto dopo la partenza di Mons. Bregantini hanno lo stesso coraggio e la stessa determinazione del Vescovo stesso e stanno facendo crescere quella pianticella che Bregantini ha piantato.

  • Marco galati |

    Vedere in mons. Renzo, vescovo di Mileto, un esempio di uomo di chiesa coraggioso è molto generoso. Almeno rispetto alla gravità delle cose che accadono nel vibonese e da lui stesso ignorate. Mettere il becco solo nelle modalità di svolgimento di certe manifestazioni religiose, non mi sembra un atto ardito. O no?
    Se dobbiamo parlare di uomini di chiesa coraggiosi, si può fare riferimento senz’altro a Mons. Giancarlo Bregantini (ex vescovo di Locri). Il quale ha pagato con l’espulsione dalla sua diocesi (provvedimento avallato dalle gerarchie vaticane), il suo desiderio di cambiamento nella Locride.
    In poco tempo erano sorte nella valle del Bonamico, su impulso di Bregantini, delle cooperative agricole che davano lavoro a decine di persone. Coltivavano lamponi che venivano venduti al Nord. Si erano create delle microeconomie che consentivano a tante famiglie di sperare in futuro migliore.
    Questa forma di autonomia (emancipazione dal bisogno) e di riscoperta dignità da parte dei lavoratori della Locride, non è piaciuta alla massomafia locale che da sempre sulle catastrofi della gente e sui loro bisogni costruisce il suo consenso.
    La conseguenza è stata il trasferimento del prete scomodo nella diocesi di Campobasso.
    La mattina stessa che Bregantini lasciò la Locride, i calabresi si sono scoperti orfani non solo dello Stato, ma anche della chiesa.

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