Se Via Sarpi a Milano è China town, la Toscana in Italia si conferma China district, vale a dire la regione dove prospera e da dove si snoda la criminalità organizzata cinese.
L’operazione “Cian Lu” di alcuni giorni fa della Guardia di finanza toscana ne è l’ennesima testimonianza: di fronte all’ipotesi di 2,7 miliardi riciclati in poco più di 4 anni, passano perfino in secondo piano le 22 ordinanze di custodia cautelare del Gip del Tribunale di Firenze, Michele Barillaro, su proposta del Pm Pietro Suchan. Oltre 100 le aziende coinvolte, tutte riconducibili ad operatori cinesi e collocate tra le provincie di Firenze e Prato.
I reati contestati dalla Procura di Firenze sono l’associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata al riciclaggio di proventi illeciti derivanti da contraffazione, frode in commercio, falsi prodotti industriali made in Italy, evasione fiscale, favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza in Italia di cinesi clandestini per il successivo sfruttamento nel lavoro, sfruttamento della prostituzione, ricettazione. I cinesi arrestati sono stati 17, 7 gli italiani mentre le persone indagate a piede libero sono 134. Sequestrati beni immobili e quote azionarie per decine di milioni in vari parti d’Italia, soprattutto al Nord, meta privilegiata dalla criminalità organizzata cinese: Toscana, Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, oltre a Lazio, Campania e Sicilia.
In questo caso – e anche qui non è una novità ma una conferma della pericolosità di questo tipo di attività quando sfuggono ai controlli – il perno degli interessi sarebbe stata una società di trasferimento di denaro, “Money2money”, con sede a Bologna e agenzie sparse in molte parti d’Italia.
E la famiglia Cai, originaria della provincia centrale cinese dello Hubei, dopo aver affiancato i titolare italiani, la famiglia bolognese Bolzonaro che secondo gli inquirenti è entrata a pieno nel sodalizio criminale, ha riprodotto gli schemi classici dei metodi mafiosi, ormai chiari ai magistrati antimafia che da oltre un decennio approfondiscono le dinamiche: dall’intimidazione psicologica alla violenza fisica. In questo modo il gruppo ha riciclato 2,7 miliardi, frutto delle attività economiche illegali commesse da numerose imprese cinesi in provincie di Firenze e Prato.
L’IMMANCABILE SAN MARINO
Non poteva mancare San Marino come canale parallelo per riciclare il denaro verso la Cina, oltre al circuito ormai rodato delle agenzie di money transfer. Le Fiamme gialle di Firenze con l’operazione Cian Lu hanno infatti accertato contatti tra un cittadino cinese e una finanziaria/fiduciaria, Fininternational spa, registrata nel 2006 e attiva dal 2007, con sede centrale e legale a San Marino e sedi, secondo gli inquirenti, in Italia (Forlì, Bologna, Milano) e in Europa (Lugano, Montecarlo, Lussemburgo, Londra).
La società, gestita da Luciano Cardelli, 61 anni nato a San Marino e residente a Rimini e il figlio ventottenne Lorenzo, sarebbe stata utilizzata per spedire in Cina il denaro raccolto nella comunità cinese della zona di Sesto Fiorentino.
Il cinese-cliente avrebbe trasportato in macchina, di notte per ridurre i rischi di controlli delle Forze dell’ordine, il denaro presso la sede della società di San Marino. Ogni viaggio prevedeva il trasporto di capitali non inferiori a 50mila euro. Il compenso spettante al cinese era di 40 euro per ogni 10mila euro trasportati. Per un solo viaggio la Gdf ha accertato il trasporto di 200mila euro in contanti, chiusi all’interno di una busta.
Luciano Cardelli, titolare della finanziaria, si è messo a disposizione delle Fiamme Gialle e della Procura di Firenze per capire la posizione della sua società. "Siamo a disposizione della Guardia di finanza – ha spiegato a caldo al quotidiano sammarinese L’Informazione – e risponderemo alle loro domande. Su quanto emerso ci sono tuttavia delle cose inesatte, a cominciare dal fatto che vi sarebbe una nostra sede in Italia: noi operiamo solo a San Marino". Cardelli e il figlio Lorenzo si trovano ai domiciliari a Rimini e da lì non possono più rispondere.
Per loro lo fa Alessandro Petrillo, legale della famiglia, che aggiunge particolari inediti e apparentemente stridenti con l’ordinanza, al punto che lo stesso avvocato dichiara “di attendere con ansia gli atti”.
“L’accusa nei confronti d
i Luciano Cardelli – ha dichiarato Petrillo al sottoscritto quando ho scritto per il Sole-24 Ore – è di associazione a delinquere con il figlio e un cliente della finanziaria. Il mio assistito nega di aver riciclato i 300mila euro ma c’è di più. Ha effettuato un corretto trasferimento di denaro nella finanziaria, dopo aver identificato il cliente e aver effettuato tutte le segnalazioni di rito agli organismi di vigilanza della Banca centrale di San Marino”.
C’è un retroscena che rende ancora più intricata la vicenda. “Tutti sanno – spiega l’avvocato Petrillo – che il mio assistito è l’ambasciatore del proprio Paese a Montecarlo. Avrebbe potuto tranquillamente rientrare a San Marino mentre si è messo subito a disposizione della autorità”. Montercarlo sarebbe, secondo l’accusa, proprio uno degli Stati con filiali della Fininternational. “A quanto mi risulta no”, afferma il legale che aggiunge un ultimo particolare: quello era l’unico cliente cinese della finanziaria. Nel frattempo Cardelli ha rimesso la prestigiosa carica diplomatica.
LA MAFIA CINESE IN ITALIA
Partendo proprio da questa operazione, sottovalutata da tutti i giornali nazionali (con l’eccezione del Sole-24 Ore che vi ha dedicato due approfondimenti) è bene parlare di mafia cinese in Italia, un fenomeno che sta diventando sempre più inquietante.
Non sono le triadi dei film di azione ma le associazioni criminali cinesi in Italia si sono ancora più pericolose perché replicano il modello primitivo di Cosa Nostra: si costituiscono su base familiare o plurifamiliare, fondandosi sul concetto di guanxi, cioè sul senso di appartenenza ad un gruppo che, oltre e indipendentemente dai legami di sangue, esprime l’idea della famiglia economica allargata che ruota intorno ad interessi comuni – la gestione di un ristorante o di qualsiasi attività che crei profitti, leciti od illeciti – e pertanto comunione di interessi.
“Per riciclare in Cina il denaro illecitamente accumulato – afferma il sostituto procuratore nazionale antimafia Olga Capasso – i cinesi si avvalgono di
esperti italiani che, con bonifici internazionali riconducibili a società italiane, operano in realtà per i loro clienti asiatici. In Cina vengono così comprati altri capannoni per continuare la fabbricazione della merce contraffatta, oppure il denaro resta in Italia, dove viene reinvestito in immobili. Oggi si nota tuttavia una maggior tendenza da parte dei cinesi ad affrancarsi da consulenti ed operatori italiani per avvalersi di consulenti loro connazionali. Fenomeni da analizzare sono l’acquisto di immobili a prezzi sproporzionati e la gestione dei ristoranti, oggi quasi vuoti, che fa presumere che l’attività lecita serva solo da copertura per altre illecite”.
Al momento manca nella mafia cinese o meglio delle mafie cinesi, la mancanza di unitarietà tra i vari gruppi che a volte si alleano, a volte si combattono e sono comunque carenti di un territorio comune e di organi di vertice, pur dovendo osservare che in alcune sentenze, principalmente del Tribunale di Firenze ove la presenza di cittadini asiatici è massiccia, è stata ravvisata l’ipotesi di cui all’articolo 416 bis del codice penale.
Il concetto stesso di associazione mafiosa, come prevista dal codice penale con la riforma del 1982, va anch’esso adeguato ai tempi e che non necessariamente l’organizzazione criminale deve presentare gli stessi elementi qualificanti di Cosa Nostra per essere considerata di stampo mafioso.
“Va sempre facendosi più forte la convinzione, anche nella coscienza popolare – scrive ancora Olga Capasso nella relazione che ha consegnato a fine 2009 al capo della Procura nazionale antimafia Piero Grasso – che la mafia e/o le mafie cinesi esistono ed agiscono nel nostro Paese con quei metodi omertosi, intimidatori e feroci propri delle mafie autoctone”.
I METODI DI AGGREGAZIONE
A parte i nuclei familiari, un altro metodo di aggregazione è costituito dalle associazioni di mutuo soccorso che, nate dall’idea di offrire ai connazionali un aiuto finanziario, assistenziale e per il disbrigo delle numerose pratiche burocratiche, oppure di natura culturale, con il tempo sono diventate centro di potere e quindi spesso si sono rivelate oggetto degli appetiti della criminalità organizzata.
Oltre alla mancanza di un organismo di vertice manca a q
ueste associazioni
criminali, fondate come abbiamo detto sui rapporti familiari, su interessi
economici comuni e sul predominio nel campo delle associazioni mutualistiche,
un proprio territorio, riconosciuto anche all’esterno come di pertinenza di quella
data organizzazione criminale, sul quale agire incontrastate. In realtà queste
organizzazioni, pur avendo le loro basi in una determinata provincia o regione,
ne fuoriescono facilmente mandando i loro giovani killer, i cosiddetti “draghi senza testa e senza coda“, opportunamente addestrati, a colpire anche in altre zone del paese, rendendo così più difficile risalire ai mandanti e ai moventi di gravi
fatti di sangue.
“Tali associazioni criminali, presenti prevalentemente al nord – dovendosi al sud confrontare con le nostre organizzazioni mafiose ben più forti, occupando i
pochi spazi liberi lasciati da queste ultime o assumendo rispetto ad esse una
posizione di sudditanza – esistono evidentemente in funzione dei reati fine, le
cui oscillazioni vogliono costituire l’oggetto della presente relazione” scrive ancora il sostituto procuratore Capasso. Chi riesce a mettersi a capo di queste aggregazioni, a esempio, stabilisce il prezzo da praticare per un dato prodotto e lo impone persino ai non aderenti, pena ritorsioni di ogni tipo. Le associazioni risolvono anche le controversie e sono comunque dotate di carisma unanimemente riconosciuto dai cinesi.
E per il momento ci fermiamo qui. Nel prossimo post scopriremo insieme come e dove fanno affari sporchi i cinesi che delinquono in Italia.
1 – to be continued
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Criminalità italo-cinese: il ruolo delle verifiche e dei controlli delle banche nelle operazioni a rischio riciclaggio.
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