ESCLUSIVO/2 La bomba alla Procura di Reggio Calabria: il terrore dell’avvocato difensore

Da alcuni giorni, adorati amici, sto analizzando (sul Sole-24 Ore, anche oggi, e su questo umile blog) la relazione sul fallito attentato contro la Procura generale di Reggio, spedita il 6 marzo al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al Csm dal Procuratore generale della Repubblica di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro.

La sintesi è ancora d’obbligo: radio carcere l’aveva annunciato e non poteva sbagliarsi: una bomba sarebbe stata piazzata presso la Procura generale di Reggio Calabria. Colpire un’avvocatessa incorruttibile per lanciare messaggi, Giulia Dieni, non avrebbe conseguito lo stesso risultato intimidatorio contro il nuovo corso giudiziario. La ‘ndrangheta non avrebbe raggiunto inoltre un altro obiettivo: intimidire la magistratura in vista del piatto milionario del Ponte sullo Stretto.

Dietro la bomba l’insofferenza verso il nuovo corso instaurato da Di Landro che in corsa, con il suo consenso, ha anche cambiato il sostituto Francesco Neri, che poi il Csm destinerà altrove (non è dato integralmente sapere quale sia il rapporto diretto tra le due cose).

Partiamo da dove vi avevo lasciato ieri con il primo post, andando a vedere cosa riporta il paragrafo della relazione che enumera, una per una, le circostanze che ruotano intorno alla bomba piazzata la sera tra il 2 e il 3 gennaio.

Le prime due circostanze Di Landro le ripete spesso: 1) che l’avvocato Lorenzo Gatto era al tempo stesso il difensore del pm in altre vicende e dell’imputato in un processo estremamente delicato (Rende); 2) che la relazione tra Neri e Gatto era divenuta di “dominio pubblico” solo nell’ottobre 2009.

Qui vale la pena di fermarsi un attimo. Di Landro, testualmente, scrive che “l’assunto del dr. Neri all’Ispettore ministeriale, che io ero a conoscenza di tale relazione tra lui e l’avvocato Gatto e che avevo partecipato a un udienza di rinvio nel settembre 2009 in quel processo senza sollevare il caso, non ha valenza”.

IL PUNTIGLIO DI DI LANDRO

Di Landro, a proposito della mancata conoscenza dei rapporti tra Neri e Gatto entra nello specifico con due passaggi: 1) in quella famosa udienza di settembre 2009 fu effettuato un semplice rinvio e Di Landro come sostituto non si curò dei difensori presenti né colse l’incompatibilità visto che i rapporti tra i due vennero alla luce pubblicamente solo un mese dopo; 2) Neri (e c’è la conferma dell’avvocato generale Francesco Scuderi) in un primo tempo, sempre secondo la ricostruzione di Di Landro consegnata ad Alfano, resistette al tentativo dello stesso Scuderi di convincerlo ad astenersi dal processo e solo dopo il ritorno di Di Landro da Roma e il suo insediamento, Neri si convinse dell’opportunità di lasciare il processo.

UN’AVVOCATESSA “DURA”, NON UN PIVELLO

Di Landro insiste sulla assoluta rilevanza della causale e della gravità eccezionale (usa l’espressione “quasi devastante tenuto conto dell’ambiente mafioso”) proprio quando ricorda il racconto dell’avvocatessa Dieni. “Costei – scrive Di Landro – non è un difensore alle prime armi, essendo nata nel 1960 e svolgendo intensamente l’attività di penalista da almeno 20 anni: non è cioè un pivello alle prime armi suggestionabile. Sicchè il suo stato d’animo terrorizzato e il pronostico del fatto che radio carcere le avrebbe fatto mettere una bomba assume una colorazione sinistra e tenebrosa, ed è indice dell’assoluta valenza della causale individuata. Inoltre non risulta che costei abbia capacità divinatorie. Pertanto se era molto spaventata al punto da voler rinunciare al mandato, se ha presagito la bomba, se ha avuto il raro coraggio civile di confermare il tutto al Procuratore della Repubblica di Catanzaro, vuol dire che conosceva uomini e metodologie: la paura nasceva da una lunga esperienza nel settore penale, dalla conoscenza di un mondo che ha regole rigide, che non ammettono indulgenze o deviazioni, né patteggiamenti o sospensioni condizionali della pena; che fonda il suo potere proprio sul metus intimidatorio, figlio delle sanzioni ineludibili che sono: l’attentato dinamitardo e, nei casi più gravi, la morte. E’ per questo che la prospettazione di tale causale colora in termini assolutamente negativa i protagonisti del presente caso”.

L’avvocatessa Dieni fu buona profeta: la bomba vi fu ed esplose. “Ed è comprensibile l’ottica della ‘ndrangheta nella scelta (per fortuna dell’avvocatessa Dieni) del diverso obiettivo – scrive Di Landro – intimidire e punire l’avvocatessa avrebbe avuto una valenza limitata a quel difensore e a quel processo. Il mio intervento inusuale può non essere risultato gradito agli imputati del processo Rende ove questi abbiano confidato (dal loro punto di vista), in aspettative con riferimento alle posizioni del dottor Neri; l’intervento
del dottor Scuderi, quale nuovo P.G. dell’udienza, era immediatamente indicativo della nuova linea che questo ufficio adottava in quel processo; l’atto costituiva inoltre la chiara dimostrazione di un nuovo corso, non essendomi limitato all’osservazione dei fatti , ma avendo dimostrato una linea di grande fermezza e presenza. Ed allora nella logica della ‘ndrangheta non si poteva non reagire. In appello non c’era più la valvola di sfogo dei patteggiamenti grazie a Dio ormai aboliti. Inoltre si era instaurato un controllo agli occhi dei mafiosi inusuale del procuratore generale, al punto che addirittura sostituiva i pm nel corso del processo! Sicchè la confidata possibilità di più miti soluzioni, nell’ultima spiaggia del giudizio di merito veniva meno
”.

Bene adorati amici, fermiamoci qui.

Domani (se sarò ancora vivo) nuova puntata: sui poteri forti.

2.to be continued

r.galullo@ilsole24ore.com

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