Inizia oggi, venerdì 15 maggio a Palermo, la fase dibattimentale del “Processo Hiram” in cui – come non accadeva da tempo – confluiscono Cosa Nostra, colletti bianchi, poliziotti corrotti, massoneria deviata (e no), Chiesa deviata (e no). Secondo l'accusa, sia ben chiaro.
Questo processo – per farla breve – scoperchia, secondo l’accusa rappresentata dai validissimi magistrati Fernando Asaro, Paolo Guido e Pierangelo Padova, un’associazione a delinquere – su cui le indagini sono partite nell’estate 2005 – che cercava di aggiustare o ritardare processi in Cassazione (affinchè cadessero in prescrizione) di affiliati (e non solo) alle cosche delle province di Agrigento e Trapani.
HIRAM E L’ALLEGORIA MASSONICA
Hiram è il nome della rivista ufficiale del Grande Oriente d’Italia ma – nel rituale massonico – Hiram Abif è una figura allegorica: è l’architetto capo della costruzione del Tempio di Salomone (988 a.C.)
L’architetto Hiram Abif venne ucciso da tre capomastri che lavoravano alla costruzione del tempio nello sforzo di sottrarre informazioni segrete al grande capomastro. Qualunque fossero queste informazioni o segreti, Abif non le rivelò se non un attimo prima della sua morte.
In massoneria il concetto di “Himam risorto” sta a indicare il raggiungimento dell’Illuminazione.
E di illuminazione la Direzione distrettuale di Palermo ne ha avuta molta se ha avuto la costanza e la forza – nonostante i silenzi, le connivenze e le anomalie che ha incontrato e che incontrerà – di accusare 11 mesi fa a vario titolo per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, peculato, accesso abusivo in sistemi informatici e rivelazione di segreti di ufficio, una decina di persone.
Questa storia non è stata raccontata – proprio per la paura o l’appartenenza che molti giornalisti hanno nei confronti della massoneria e delle varie “piovre”– da nessun giornale tranne che per alcuni minimi stralci da Libero e dal Corriere della Sera. Approfonditamente, invece, solo da un maestro del giornalismo d’inchiesta su Cosa Nostra: Saverio Lodato dell’Unità a cui va tutta la mia riconoscenza per il lavoro che svolge da anni.
Ho deciso dunque di raccontarvela io questa storia. A puntate, come si addice a un processo che si annuncia di grandissimo interesse e che – proprio per questo – cappucci, compassi, grembiulini e alte gerarchie ecclesiastiche non vogliono che si racconti.
LA RAGNATELA MASSONICA, POLITICA E… GESUITICA
I personaggi coinvolti il 12 giugno 2008, giorno in cui fu richiesto l’arresto dai pm, sono innanzitutto: Nicolò Sorrentino, Michele Accomando e Calogero Licata, ex assessore a Canicatti per la Dc. Gli ultimi sono due massoni di logge diverse: a Trapani e Agrigento. Accomando si sarebbe dato – secondo l’accusa – un gran daffare per insabbiare o ostacolare i processi nei quali erano coinvolti Dario Gancitano, Riserbato Davide, Giovanbattista Agate e Epifanio Agate, figlio di Mariano Agate, capomafia di Castelvetrano.
Calogero Licata e Nicolò Sorrentino si sarebbero invece prodigati per Calogero Russello (anche egli arrestato per il processo Hiram e poi scarcerato per motivi di salute), che all’epoca dei fatti era coinvolto a Palermo nel processo “Alta Mafia” e inizialmente condannato il 28 luglio 2005 a 6 anni per associazione mafiosa e poi ricorrente in Cassazione (l’8 gennaio 2007 la Corte di appello di Palermo lo assolse per quel reato e lo condannò a 2 anni per corruzione ma il 3 dicembre 2007 è stata annullata la sentenza di assoluzione e il processo dovrebbe essere pendente presso altra corte di appello). Russello è stato scarcerato ed è sottoposto a misure restrittive della libertà
Da annotare che Licata ha consegnato ai magistrati un memoriale – ora al vaglio degli inquirenti – in cui s
embrerebbe ammettere diverse circostanze..
Ci sono poi Renato De Gregorio (vedremo la sua figura più avanti),
Rodolfo Grancini, avvocato e secondo l’accusa gran faccendiere tra la Cassazione e i clienti, Guido Peparaio, ausiliario nella seconda sezione della Cassazione e Francesca Surdo, agente di polizia, la cui posizione fu stralciata dal Gip Roberto Conti e gli atti furono mandati a Roma.
Indagati per concorso esterno per associazione mafiosa ci sono intanto anche: 1) Stefano De Carolis Villars, all’epoca Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia (in stretto contatto con parlamentari, onorevoli, senatori, politici, oltre che con il Venerabile Licio Gelli, il cui ruolo apparirà nelle prossime puntate) e 2) un potente uomo di Chiesa, padre Ferruccio Romanin, gesuita, Rettore all’epoca dei fatti nella capitale della Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola.
LA BANCA DATI DELLA CASSAZIONE,
QUELLA DELLA POLIZIA DI STATO …E LA NUOVA P2
Alcuni mesi fa scrissi alcune inchieste sul Sole-24 Ore e su questo blog in cui affermavo che la “nuova P2” che stava scoperchiando Luigi De Magistris con le inchieste Poseidone e Why Not aveva tra gli interessi vitali il controllo delle banche dati dello Stato: a partire da quelle della Giustizia, delle Forze di Polizia e della Guardia di finanza. Colpire il cuore dello Stato “al” e “dal”suo interno: questo è (e sarà) lo scopo della nuova P2.
Non mi sbagliavo. Questo processo – per quanto mi riguarda e aldilà delle figure chiave che di volta in volta racconterò – mette in luce un elemento di una gravità inaudita: l’accesso abusivo – apparentemente semplicissimo – al sistema informatico e telematico (Ced) della Cassazione e delle Forze di Polizia.
Ma andiamo con ordine. Un addetto di cancelleria (più o meno un commesso) della Corte di Cassazione, tal Guido Peparaio, ternano da Ficulle, a pochi passi da Orvieto (e poi vedremo perché è importante) secondo l’accusa istigava pubblici ufficiali (che non sono ancora stati identificati) a entrare nel Ced della Cassazione – teoricamente protetto da misure di sicurezza a prova di bomba nucleare – al solo scopo di fornire allo stesso addetto di cancelleria documenti pendenti presso la seconda sezione. E che ci faceva Peparaio con questi documenti? Gli aeroplanini di carta?
Nossignori: secondo l’accusa forniva notizie e informazioni riservate ai suoi sodali su operazioni o provvedimenti giudiziari o amministrativi “caldi” a carico di ricorrenti affiliati alle cosche siciliane e grazie a una fitta rete di complici interni al Palazzaccio, faceva in modo di ritardare processi, consentire il decorso dei termini di un processo penale, dilazionare il passaggio in giudicato di una sentenza, creare intoppi burocratici, disperdere documenti.
Ora: come poteva un semplice ausiliario accedere a un pc e combinare questo terremoto senza complicità? Secondo i pm non poteva ma – ungendo le ruote giuste a suon di euro – c’era chi lo faceva per lui con le password in dotazione.
E qui il processo che parte oggi rischia di aprire – attraverso la fessura di Peparaio – una voragine, perché senza dubbio nella disgustosa consorteria non mancavano figure dirigenziali e apicali: vale a dire (tra gli altri) i magistrati. Provarlo sarà un’impresa ma intanto presidenti di sezione e consiglieri saranno ascoltati come testi.
A fornire al gaio Peparaio le pratiche da seguire era un avvocato-faccendiere di, di, di…Ma di Orvieto, come lui, ovvio! Un avvocato con grandissimi agganci nella massoneria ufficiale (anche se lui nega ogni affiliazione), gerarchie ecclesiastiche e politiche. L’avvocato si chiama Rodolfo Grancini ed è un arzillo nonnino di 69 anni. Il vispo Rodolfo – riporto testualmente dall’ordinanza del Gip Roberto Conti “avvalendosi di persone prezzolate note e ignote all’interno della Cassazione, tra le quali il Peperaio…era riuscito a congegnare un sistema che gli consentiva di acquisire notizie riservate sullo stato dei procedimenti e di pilotare la trattazione stessa dei ricorsi proposti in Cassazione dai suoi clienti”.
Il vispo Rodolfo – cito testualmente un’Ansa del 7 aprile 2009 – “è presidente di uno dei Circoli del buon governo di Marcello Dell’Utri, con il quale sono stati individuati contatti telefonici e diversi incontri”.
GRUVIERA CASSAZIONE: SISTEMA DI CORRUZIONE AMPIO
Nel dibattimento e in fase di disamina dei testi ci sarà da ridere (per non piangere). Il gaio Peperaio e il vispo Rodolfo, entrambi da Orvieto vantavano (o millantavano, starà al processo accertarlo) agganci e conoscenze non solo nella seconda sezione, dove il gaio Peperaio era applicato, ma anche nelle altre.
Godetevi questa intercettazione in cui il riferimento è a un medico ginecologo palermitano, Renato De Gregorio di Canicattì, condannato anche in appello alla pena finale di 5 anni. Contro la condanna – per violenza sessuale – De Gregorio, che ora starebbe collaborando con i magistrati, aveva fatto ricorso in Cassazione.
Intercettazione dell’1 agosto 2006 ore 11.31.14
Grancini Rodolfo: Uh, ho un cliente nuovo. Alla quarta com'è?
Peperaio Guido:-Eh è una sezione [ride] ;
Rodolfo:-Eh! È un primario di ospedale.
Guido:-Eh! Ah ah.
Rodolfo:-Lo sai che gli hanno fatto?
Guido:-Eh ;
Rodolfo:-Gli è andata una paziente che ci aveva 18, 19 anni a visitarsi.
Guido:-Eh eh.
Rodolfo:-Siccome è pieno di soldi!
Guido:-Eh.
Rodolfo:-Poi questa si è fatta scopare sul lettino!
Guido:-Eh! [ride]
Rodolfo:-Che poi gli ha detto, mi ha violentato [ride];
Guido:-[ride] Ma che hanno ricorso lì?
Rodolfo:-Alla quarta!
Guido:-Ho capito ho capito
Avrete capito che la quarta non è la misura di reggiseno della malcapitata, ma è la sezione della Cassazione che non sta propriamente a genio ai due.
E per capirlo meglio leggete quest’altra intercettazione, al termine della quale vi svelerò una sorpresa…amara.
Intercettazione dell’1 agosto 2006 alle 21.41.45
Rodolfo-Eh, che la sezione non è una di quelle simpatiche.
Francesca-Eh immagino.
Rodolfo-Eh la quarta e la settima sono un po’ le più..eh, se era la seconda era un frego meglio. Però qualcosa possiamo fare, su, poi ne parliamo a voce…
Francesca-Va bene, giovedì mattina ne parliamo
IL SISTEMA INFORMATICO DELLE FORZE DELL’ORDINE:
UNA FALLA DOPO L’ALTRA
E qui c’è la sorpresa amara. Francesca, con cui parla amorevolmente Rodolfo Grancini, è Francesca Surdo, 36enne palermitana con un segno distintivo che dovrebbe rassicurare la collettività: poliziotto in servizio presso la Questura di Palermo prima, e poi presso il servizio centrale anticrimine del Viminale.
Francesca Surdo – che ha patteggiato la pena ed è uscita dal processo e di lei si sono perse le tracce al punto che sarebbe interessante sapere se è sospesa, se è stata trasferita ad altro incarico o se è stata mandata via dalla Ps – in diverse occasioni avrebbe violato l’archivio informatico delle Forze di Polizia (Sdi) protetto teoricamente anch’esso da misure a prova di Diabolik, allo scopo di fornire a Grancini e a mafiosi, notizie su precedenti di polizia, su denunce e indagini.
IL SISTEMA SI ARROCCA SU SE STESSO
Prima di lasciarvi e darvi appuntamento alla prossima puntata dove compariranno grembiulini e compassi e proprio mentre probabilmente si sta aprendo la fase dibattimentale a Palermo, vorrei lasciarvi con un piccolo promemoria.
Detto che dal processo Francesca Sudo è uscita, vale la pena di raccontare qualcosa del gaio Peparaio. La Cassazione – investita sul punto e chiamata a pronunciarsi sul suo arresto – ha annullato l’arresto stesso con una dettagliatissima sentenza che probabilmente mai più rivedremo nella nostra misera vita da cronisti, rinviando il carteggio al Tribunale del riesame. Quest’ultimo ha parzialmente accolto le motivazioni del Gip ma ha disposto gli arresti domiciliari. Evviva la Cassazione, Tempio…del diritto!
E come dicono gli americani 1.to be continued
roberto.galullo@ilsole24ore.com
POST SCRIPTUM 3 DICEMBRE 2010 TRATTO DA WWW.LALTRAGRIGENTO.IT
Tutti assolti dalla Cassazione gli imputati del processo Hiram che vedeva coinvolti anche esponenti di massoneria deviata della provincia di Agrigento. Dopo oltre sette ore di camera di consiglio i giudici della terza sezione del tribunale di Palermo presiueduto da Raimondo Lo Forti hanno pronunciato la sentenza. Tutti assolti.
Giudicati non colpevoli Calogero Licata, Michele Accomando, Nicolò Sorrentino, Renato Gregorio e il cancelliere della Suprema Corte Guido Peparaio.
I tre erano accusati di corruzione in atti giudiziari, concorso in associazione mafiosa peculato, accesso abusivo ai sistemi informatici giudiziari e rivelazione di segreti d'ufficio. I pubblici ministeri Guido e Asaro avevano chiesto l'assoluzione per il reato di concorso in associazione mafiosa, però sarebbe rimasta la condanna per gli altri reati.
Il tribunale ha assolto gli imputati con il secondo comma dell'art.530 che disciplina i casi in cui "manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato".
L'inchiesta portò, a giugno del 2008, all'arresto di otto persone tra professionisti, imprenditori, impiegati della Cassazione, presunti mafiosi e massoni. In cella finì anche il faccendiere umbro Rodolfo Grancini, condannato in abbreviato a sei anni e sei mesi per tre delle quattro ipotesi di corruzione che gli erano state contestate.
Una poliziotta, implicata nell'inchiesta, Francesca Surdo ha, invece, patteggiato la pena. Per l'accusa gli indagati, alcuni dei quali legati dall' appartenenza a logge massoniche, grazie alle loro presunte conoscenze in ambienti della Cassazione, avrebbero fatto ritardare la celebrazione di processi, in modo da poter ottenere la prescrizione dei reati, o allungato i termini di trattazione dei ricorsi, tanto da far scattare la scadenza della custodia cautelare.
Un’associazione a delinquere – su cui le indagini sono partite nell’estate 2005 – che cercava di aggiustare o ritardare processi in Cassazione (affinchè cadessero in prescrizione) di affiliati (e non solo) alle cosche delle province di Agrigento e Trapani.
La mente dell'organizzazione, sempre secondo i pm, sarebbe stata Grancini che avrebbe intascato soldi da alcuni imputati, anche di mafia, per fare avere loro benefici processuali. Il faccendieri avrebbe poi girato parte delle somme al personale della Suprema Corte compiacente.
La lettura delle due sentenze – quella dell'abbreviato e quella di oggi – fanno pensare che i giudici non abbiano creduto all'esistenza di una combine finalizzata all'aggiustamento dei processi e che abbiano ritenuto che Grancini, millantando rapporti con dipendenti della Cassazione, si sia fatto dare il denaro da alcuni degli imputati (fonte: www.laltragrigento.it).
ALTRA MIA SPECIFICA SUCCESSIVA ALLA REDAZIONE DEL POST
Le posizioni dell'ex rettore della Chiesa Sant'Ignazio di Loyola, Ferruccio Romanin e dell'avvocato Stefano De Carolis Villars erano state chiuse in precedenza con un decreto di archiviazione. Ergo non sono proprio entrati nel processo