La prima udienza del processo Hiram – che si svolge a Palermo – è stata (come era logico prevedere) interlocutoria ed è stata aggiornata alla fine di questo mese.
Nel frattempo la tensione sale intorno a questo procedimento che ruota intorno a faccendieri, massoni, poliziotti, mafiosi e gesuiti che secondo l’accusa – ciascuno con una a o più tessere – formavano un puzzle teso a rimandare o aggiustare processi in Cassazione (affinchè cadessero in prescrizione) di affiliati (e non solo) alle cosche delle province di Agrigento e Trapani.
A Trapani – ricordiamolo per inciso – non si muove foglia che Matteo Messina Denaro (superlatitante di Cosa Nostra) non voglia ed è dunque impossibile credere che tutto ciò che la Procura di Palermo ha svelato non avvenisse sotto la sua diretta benedizione. Ed infatti io non lo credo.
Nello scorso post ho evidenziato l’inquietante facilità con la quale, secondo l'accusa è stato (è ancora?) possibile violare le superbanche dati della Cassazione e delle Forze di polizia.
Oggi i lettori potranno leggere dell’avvocato De Carolis, già Gran Maestro della “Serenissima Gran Loggia Unità d’Italia” e i suoi contatti con il faccendiere orvietano Rodolfo Grancini, “figura che emergerà come coprotagonista – scrivono testualmente i Pm Fernando Asaro, Paolo Guido e Pierangelo Padova a pagina 22 della richiesta per l’applicazione delle misure cautelari – di tutti gli episodi delittuosi, vero e proprio trait d’union tra la Cassazione, gli ambienti massonici siciliani e alcuni esponenti di vertice dell’associazione Cosa Nostra”.
L’altra figura di cui dar conto è quella di Padre Ferruccio Romanin, gesuita e all’epoca Rettore della Chiesa romana di Sant’Ignazio di Loyola, che avrebbe, “su commissione e dietro compenso in denaro pagatogli dal faccendiere Grancini – si legge a pagina 24 – redatto lettere indirizzate a diverse Autorità giudiziarie, finalizzate a perorare la posizione processuale di imputati di gravissimi fatti delittuosi”.
Romanin, anziano sacerdote, si difende come può e da indiscrezioni sembra che abbia ammesso la predisposizione delle missive – è sarà interessante scoprire il livello più alto, vale a dire i personaggi ai quali erano indirizzate – ma avrebbe anche detto di non sapere chi fossero i personaggi per i quali spendeva il suo amorevole inchiostro cristiano.
Credibile? Non sta a noi giudicare, ma la mera lettura di una di queste lettere, credo che farà sorgere nei lettori più di un dubbio.
Eccovene una, redatta dopo l’accordo raggiunto tra Grancini e il massone di Mazara del Vallo Michele Accomando (imputato nel processo Hiram), in favore di Epifano Agate, figlio di Mariano Agate, massone e capomafia di Castelvetrano.
IL TESTO DELLA LETTERA DEL GESUITA
PER IL FIGLIO DEL BOSS
Il testo della lettera- indirizzata a non meglio identificati “chi di dovere” e proprio per questo ancor più inquietanti – è definito “commovente” in una telefonata intercettata il 13 novembre 2006, dallo stesso Accomando.
“Sono rimasto colpito dalla vicenda giudiziaria che ha colpito questo ragazzo e dal profondo dolore di queste sue donne. Mi pregano di scrivere alle Vostre Signorie Illustrissime per un atto di clemenza e di perdono nei confronti di Agate Epifano. Il ragazzo l’ho conosciuto presso la Chiesa di Sant’Ignazio qui a Roma, dove Epifano era venuto con la fidanzata, per sentire se il loro matrimonio poteva essere celebrato in questa Chiesa…Ho avuto l’impressione che fosse un ragazzo a posto, pieno di vita e di progetti con la sua futura moglie, con una certa venerazione del nostro fondatore Sant’Ignazio…Non voglio essere giudice di nessuno, e del suo operato, ma per quello che ho intuito non penso che meritasse un trattamento così pesante”.
Il prete “impiccione” che non giudica e non conosce ma intuisce (fantastico, è meglio di Nostradamus) alla fine della missiva con tanto di sigillo e bollo, implora i papaveroni ai quali si rivolge e che per il momento rimangono maledettamente nell