Alcuni mesi fa per aver scritto che la Corpo(razione) della polizia penitenziaria ha bisogno di una seria riforma (si vedano i post del 4 e 14 novembre 2008), sono stato esposto al ludibrio di centinaia di agenti che in questo stesso blog e in siti della loro categoria mi hanno perfino augurato la morte (è tutto rintracciabile).
Ho preso l’augurio di morte – per la precisione dopo “essermi pisciato addosso per la paura” in una cella – come un anello che mi allungherà la catena della vita.
Che cosa avevo scritto di così grave? Che – a mio modesto e opinabile giudizio – la Corpo(razione) della polizia penitenziaria è spesso inadatta (non sempre, ovviamente, anche se questo mi hanno voluto attribuire molti meschineddi) a fronteggiare la forza e lo strapotere dei condannati per mafia e reclusi in regime di isolamento. Di qui anche l’idea – ovviamente abortita e che avevano avanzato fior di magistrati come Nicola Gratteri – di isolare i mafiosi nelle carceri sulle isole.
E affermavo che – in generale – la preparazione degli agenti e il loro livello medio di cultura (non intendo solo scolastica ma innanzitutto formativa) non mi sembra così eccelso da garantire un baluardo inespugnabile di legalità, nonostante le riforme negli anni e i (più o meno) recenti ingressi di personale qualificato.
Ovviamente di questo avrei voluto riflettere con i lettori ma…
Apriti cielo: la Corpo(razione) degli agenti (salvo pochissime eccezioni a mio favore) mi ha ricordato – nel tentativo di strapparmi forse qualche lacrimuccia – la dedizione al dovere, i morti sul campo, le mille operazioni preventive e repressive svolte, la bassa paga, la mia faciloneria nello scrivere, eccetera eccetera eccetera.
Quando ho risposto che gli agenti vengono pagati per la dedizione al dovere e per compiti di prevenzione e repressione così come i Carabinieri e le altre Forze dell’Ordine, che i morti sul campo li hanno persino i giornalisti (ne sono morti a decine in Italia per la difesa della libertà di espressione e per la democrazia senza che a nessuno fottesse qualcosa, anzi), che la paga bassa è uno sport nazionale persino per i bidelli e che prima di scrivere mi documento, non ho fatto altro che mettere benzina sul fuoco. Conscio – ovviamente – di farlo. Del resto ho le mie idee e le cambio solo se qualcuno mi dimostra che ho torto.
Un tale “sindacalista-giornalista-agente-cavaliere-grand’ufficiale e non so cosa altro” mi ha persino intimato più o meno quel che segue: “lei non deve scrivere più degli agenti di polizia penitenziaria. Si ricordi che mi sarebbe facile avere la replica sul suo giornale. Ho le mie amicizie”.
Morto dalla paura e balbettante di fronte a cotanto altolà di cotanto personaggio iper-mega-extra potente, come vedete, torno a scrivere di agenti di polizia penitenziaria ma non per ripicca nei confronti del tale “sindacalista-giornalista-agente-cavaliere-grand’ufficiale e non so cosa altro” e dei tanti come lui nei confronti del quale nutro la massima indifferenza (che è poi la peggior forma di disprezzo). Scrivo quando ho qualcosa di dire con fatti nuovi. Ebbene: confermo che sulla preparazione della Corpo(razione) della Polizia penitenziaria bisognerebbe fare una riflessione serissima e – ariapriti cielo, già me lo aspetto – in generale bisognerebbe riflettere sulla preparazione e sulla formazione continua (anche psicologica) delle altre Forze dell’Ordine, a partire dalla Polizia di Stato. E per spiegarmi vi racconto fatti (non opinioni!) accaduti nei primi quattro mesi dell’anno.
AGENTI DI POLIZIA PENITENZIARIA: C’E’ TANTO DA RIVEDERE
Per sgomberare la mente dei meschini dall’idea che io abbia un conto in sospeso con la Polizia penitenziaria (alla quale va invece, con il cuore, il mio grazie per il lavoro svolto) dico subito che nel 2008 sono state registrate 650 aggressioni nei confronti degli agenti: (fonte: www.polpen.it, del 18 marzo 2009).
Detto questo, a inizio anno un agente in servizio nella casa circondariale di Lecce è stato arrestato con l’accusa di aver detenuto e spacciato (in concorso con altri) droga all’interno dell’istituto pugliese.
Il 28 gennaio è stato arrestato un agente di San Vittore (Milano), che secondo l’accusa recapitava messaggi, cocaina e schede telefoniche ai detenuti. “Un caso del tutto isolato – ha spiegato al Corriere della Sera il commissario della Polizia penitenziaria Manuela Federico – in un sistema delicato ed efficiente con tante persone che lavorano in modo encomiabile e professionalmente valido”. E chi lo nega? Ma il discorso vale per tutti mestieri.
Il 24 febbraio 2009 a Genova è stato arrestato un agente con l’accusa (respinta) di avere spacciato droga e con l’accusa di corruzione per aver fatto circolare telefonini all’interno del carcere.
Lo stesso giorno, il 24 febbraio 2009, sono stati arrestati a Ravenna due assistenti capo con l’accusa di corruzione e concussione. Il 26 febbraio “Il Resto del Carlino”, a pag. 18 ha pubblicato persino le foto scattate all’interno del carcere dai detenuti che, ovviamente, non potevano avere il telefono.
Il 9 marzo 2009 (non 50 anni fa) molti giornali hanno riportato la notizia che a Modena due agenti di polizia penitenziaria sono stati arrestati per la complicità che offrivano ad alcuni camorristi del clan dei Casalesi che continuavano a impartire direttive ed ordini pur nel regime di alta sicurezza.
Tutto questo senza contare le condanne nei confronti di agenti che non si sono opposti alla violenza nei confronti di un detenuto (a Milano) o nei confronti di un agente accusato di violenze sessuali (Forlì). E senza contare le indagini nei confronti di agenti che a Parma avrebbero preso a calci e pugni un detenuto.
E tutto questo mentre i mafiosi – come scrivevo nei precedenti post – continuano a comandare, governare, disporre omicidi, nonostante siano – sulla carta – in regime di carcere duro.
Un esempio per tutti, la notizia del 17 aprile secondo la quale cinque boss mafiosi palermitani detenuti davano ordini ai parenti per ''gestire'' il loro mandamento nonostante fossero sottoposti al regime del carcere duro. I Carabinieri del Ros di Palermo hanno notificato in carcere cinque ordinanze di custodia cautelare nei confronti di Antonino Madonia, Giuseppe Madonia, Nicolo' Di Trapani, Giuseppe Guastella e Salvatore Madonia.
Ora, lungi da me dire che ciò accadeva grazie a talpe tra la Polizia penitenziaria, il ragionamento già espresso e che ripeto è il seguente: credete voi cari lettori che i boss possano comandare senza complicità interne (dagli agenti agli educatori, dagli avvocati ai direttori, passando per psicologi e medici) agli Istituti?
CHE SUCCEDE ALLE FORZE DELL’ORDINE?
Alcune settimane fa, parlando con il responsabile della comunicazione di uno tra i maggiori sindacati della Polizia di Stato, gli ho anticipato l’intenzione di scrivere del malessere che – a mio sindacabile giudizio – attraversa molti suoi colleghi.
Per me è naturale amare le Forze dell’Ordine e, in genere, tutti i corpi di polizia nei quali annovero moltissimi parenti (le Forze di polizia o armate ce l’ho nel sangue: mio padre era un generale dell’Esercito e un mio zio generale dei Carabinieri). E’ per questo – gli confidavo – che vorrei riflettere serenamente su questo malessere che porta alcune divise a infangarsi e a infangare l’immagine sacra che ho delle Forze dell’Ordine e che come me hanno milioni di italiani. “Senti – gli dicevo – ci ho già provato con la Polizia penitenziaria e ho raccolto insulti e chiusure corporative. Scriverò anche della Polizia di Stato. Aiutami nella riflessione. Prima con qualche dato e dopo con commenti che mi piacerebbe ospitare nel mio blog”.
Silenzio dall’altra parte del telefono. Dopo qualche giorno la sua telefonata. “Guarda – mi dice – dati non te ne posso dare ma so che, alcuni anni fa, in Calabria, il 30% degli agenti della Polizia in servizio era sottoposto a procedimenti disciplinari interni e/o procedimenti giudiziari In genere al Sud la situazione presenta diverse difficoltàdi questo tipo ”.
Il 30% capite? Quasi uno su tre. Ora – serenamente -dopo essermi inimicato la parte corporativa della Corpo(razione) della Polizia penitenziaria, non vorrei che anche la parte corporativa di poliziotti, carabinieri, forestali e finanzieri pensasse che non rispetto il loro altissimo valore professionale. E’ esattamente il contrario.
Voglio però riflettere su quello che rischia di diventare un comune sentire per molti: il senso di diffidenza nei confronti di chi dovrebbe essere un baluardo della legalità e dei suoi principi e, invece, talvolta (sempre più spesso?) si trova dall’altra parte della barricata.
Non voglio tirare in ballo i fatti del G8 a Genova (dove pure sembrano emergere pesantissimi abusi). Lungi da me ragionamenti estremisti. E’ per questo che condanno subito, senza se e senza ma, quei malati di mente che hanno annunciato o aperto siti Internet contro le Forze dell’Ordine. E non entro nel merito di libri come “Acab” (Einaudi-Stile Libero editore), del collega di Repubblica Carlo Bonini, che tanto ha fatto discutere anche per le parti in cui alcuni poliziotti scaricano e vomitano tutta la rabbia repressa per condizioni di vita spesso difficilissime.
Mi limito, invece, a raccontare alcuni fatti che mi hanno colpito e che, secondo me, dovrebbero far riflettere le classi dirigenti, sociali e sindacali di questo Paese.
Su Genova – ahimè – recentemente si è abbattuta un’indagine che ha portato in carcere agenti di polizia che spacciavano droga. Uno di questi, in servizio alla Questura di Lodi dichiarava orgoglioso al telefono che prima di essere un poliziotto era uno spacciatore. Il questore di Genova, Salvatore Presenti, pronto afferma: “La Polizia è sana e farà chiarezza su tutto”.
Un’altra inchiesta che sta scuotendo Genova a seguito del fallimento della società Katex sta evidenziando che molti poliziotti sarebbero (stati) a libro paga dell’imprenditore Fouzi Hadij.
Sempre a Genova il 15 gennaio 2009 è stato arrestato un poliziotto a lungo in forza al reparto mobile con l’accusa di detenzione e spaccio di droga.
A Senigallia (siamo nelle Marche) quattro poliziotti della stradale sono nei guai perché accusati di chiedere il pizzo agli autisti dei Tir: niente multe in cambio di soldi e regali.
A Bari la Procura della Repubblica ha chiesto 10 anni per due poliziotti accusati di aver rapinato un automobilista.
A Milano alcuni agenti della Polfer sono nei guai perché accusati di aver pestato a morte un clochard.
A metà febbraio un poliziotto in servizio presso la questura di Roma è stato fermato con oltre 5 kg di cocaina purissima in auto.
E' stato invece arrestato il 26 aprile con l’accusa di aver commercializzato filmati pornografici con minorenni come protagoniste il poliziotto di 26 anni originario del Lazio, in servizio alla Polaria di Fiumicino e indagato dalla Procura di Modena per aver adescato via Internet una ragazzina di 13 anni alla quale aveva poi dato appuntamento in un albergo di Modena.
Se dalla Polizia di Stato si passa ai Carabinieri non mancano analoghi segnali di malessere che inquieta chi nella “Benemerita” vede un àncora saldamente fissata a valori e principi di legalità.
A Trieste 3 carabinieri hanno patteggiato con la condizionale per 26 episodi di concussione: avrebbero taglieggiato i camionisti stranieri.
Nel regno dei Casalesi due carabinieri corrotti sono stati arrestati il 29 ottobre 2008: soffiate e mancati controlli in cambio di soldi e appartamenti. Le indagini – per favoreggiamento alla Camorra – sono ancora in corso e un altro indagato tra le Forze dell’Ordine spunta in un’indagine parallela.
La corruzione e il malaffare sembrano colpire tutti: l’11 gennaio 2009 a Pompei è stato arrestato un maresciallo della Guardia di Finanza con l’accusa di usura.
A Verona il 1° aprile è finito agli arresti domiciliari un ufficiale della Polizia provinciale. Anche la Polizia – questa volta municipale – non se l’è vista bella a Parma, dove quattro agenti sono stati accusati di aver selvaggiamente picchiato un ghanese scambiato per un pusher.
NON BASTA UNA SCROLLATA DI SPALLE
Voglio ribadire: vorrei che queste riflessioni fossero foriere di un dibattito sereno, che ruotasse, a esempio, intorno a questi quesiti: le Forze dell’Ordine, quelle di polizia statali e locali hanno quel giusto grado di formazione che la Giustizia e la legalità richiedono? Hanno quella formazione necessaria per resistere alle tentazioni? Posseggono quei requisiti necessari per l’intero arco della loro attività lavorativa? I criteri di selezione sono ancora giusti o è necessario rivederli, magari in corso d’opera? Siamo sicuri che rappresentino sempre un baluardo invalicabile all’interno delle carceri dove i mafiosi continuano quasi indisturbati a dettare legge?
Attenzione: non basta una scrollata di spalle e rispondere che i Corpi sono sani nella loro maggioranza. La mia impressione è che le mele marce siano molte (troppe), che i casi che emergono sono pochi rispetto alla realtà (ma ovviamente posso sbagliarmi). In gioco non ci sono solo divise da ripulire dal fango ma anche valori che rischiano di dividere l’Italia e gli italiani, sempre più disamorati e scettici di fronte a tutto.
Vorrei – altresì – che non si rispondesse con una risposta cretina a queste domande, del tipo: “E voi giornalisti non siete corrotti?”. Dico questo perché essendomi già sentito fare questa osservazione, ho già risposto che considero la mia categoria piena di cialtroni e corrotti ed è per questo che ho chiesto e chiedo una formazione per la mia categoria rigorosa e im-pla-ca-bi-le e sanzioni che non guardino in faccia a nessuno.
E vorrei che non ci fosse un’altra risposta cretina a questi quesiti, del tipo: “Vienici tu a fare il poliziotto per quattro soldi”. Sarebbe f
acile rispondere che la dignità e i valori non hanno prezzo e rispondere –altresì – che il piagnisteo sulla busta paga è uno sport nazionale praticato da tutti gli italiani. Anche da noi giornalisti, alcuni dei quali (io compreso) sono dei privilegiati.
roberto.galullo@ilsole24ore.com