Ed eccoci all’ultima puntata della nostra inchiesta sulle mafie in Emilia-Romagna, partita a seguito di un’improvvida uscita del prefetto di Parma Paolo Scarpis secondo il quale in città la camorra non esiste (rimando alle altre due puntate).
Questa uscita – criticata da tutti – mi ha dato la possibilità di fare l’inchiesta a puntate, grazie anche ad un altro “gancio”: la relazione 2008 della Direzione nazionale antimafia (Dna), da poco resa nota e che da settimane sto sviscerando (e continuerò anche nelle prossime, statene certi).
I CAPITALI DALLA RUSSIA
Una valigetta e tanta voglia di stupire al rientro in Patria. È cominciata così – come in un affresco del neorealismo cinematografico italiano in cui l’emigrato partito povero tornava a casa in estate con la fuoriserie da sfoggiare per l’invidia dei compaesani – la penetrazione dei capitali russi in Emilia-Romagna.
La spocchia dei nuovi ricchi – che atterravano all’inizio degli anni Novanta a Rimini e ripartivano con le valigie piene di prodotti made in Italy da rivendere a casa – durò poco e lo "shopping tour" (come veniva chiamato) si tramutò presto in senso degli affari. Con un’altra parola: riciclaggio.
Già in un rapporto del 1997 si legge che le autorità di polizia informavano il ministero dell’Interno che «dietro la costituzione di agenzie turistiche a capitale misto italo-russo si potessero celare affari illeciti di varia natura, non ultimo l’immigrazione clandestina di donne da avviare alla prostituzione».
“In quegli anni – ricorda Luigi De Ficchy, fino allo scorso anno sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia – tutti i tour operator venivano tenuti d’occhio, perchè c’era il rischio concreto che tra tanti viaggiatori, ci fossero non pochi riciclatori”. “Ricordo che a Forlì – mi disse De Ficchy poco prima di lasciare la sua stanza nella sede della Dna a Roma con destinazione Procura della Repubblica di Tivoli, che oggi guida – molte di queste attività di viaggio dubbie erano nelle mani dei fratelli Petrosian. Credo che ora siano scomparsi dalla circolazione».
La mafia russa ha trovato una propria collocazione colmando gli spazi vuoti lasciati dalle mafie italiane. «Gli unici accordi con le consorelle nostrane, almeno per la fase più recente – ha scritto uno studioso come Enzo Ciconte – hanno riguardato il traffico di armi e le opere d’arte. Non ci sono stati finora attriti o scontri degni di nota tra mafie italiane e mafia russa. Quest’ultima è molto attenta ad agire su territori non occupati, interessandosi di segmenti di mercati criminali non coperti da altri».
IL CASO “RUSSIAGATE”
L’appetito vien mangiando e non è un caso che nel 2002 esploderà il filone italiano del “Russiagate”, che ha inizialmente coinvolto Usa ed Ex Unione Sovietica. E dove esplode? Proprio in Emilia-Romagna, dove si sospettava che la mafia russa riciclasse miliardi di provenienza illecita. Il meccanismo era semplice: si costituivano diverse società di facciata e si aprivano conti correnti bancari presso banche estere (in particolare statunitensi). Infine si falsificavano documenti ad arte che nascondevano la vera natura delle transazioni commerciali. Il giro d’affari stimato si aggirava intorno ai 500 milioni di euro (in meno di tre anni). Prove e indizi non ressero però al vaglio giudiziale e qualcuno disse che non furono poche le lacune e le mancanze dovute, forse, alla sorpresa di trovarsi di fronte a un fenomeno nuovo.
Vero o no, un fatto è assodato: è difficile cogliere con le mani nel sacco i mafiosi russi. «Si muovono bene – racconta ancora De Ficchy – e in passato hanno utilizzato la potente e oliata macchina del Kgb, il servizio di spionaggio, per la fuoriuscita di capitali. Non dimentichiamo, inoltre, che almeno il 70% delle attività imprenditoriali in madrepatria è in mano alla criminalità organizzata. Infine una riflessione che può indurre a capire come si muove la mafia russa. Loro hanno una rete unica al mondo, formata da professori universitari di alto livello, imprenditori che parlano più lingue e, soprattutto, una diretta competenza economica e finanziaria. Non è come in Italia dove i mafiosi sono costretti ad appoggiarsi a chi conosce mercati e finanza».
Giramondo, giovane, motivato, insospettabile: eccolo dunque il profilo del mafioso delle ex repubbliche sovietiche che secondo molte indiscrezioni (al vaglio di indagini complesse che, però, camminano lentamente) oggi investe anche in catene alberghiere e attività turistiche, così contigue ai viaggi di piacere in Riviera con i quali tutto ebbe inizio.
Indagini, vale la pe
na di sottolineare, difficili anche perchè la collaborazione oltre l’ex cortina di ferro è spesso impossibile. «L’interesse a collaborare – conclude De Ficchy – e il sistema di relazioni sono scarsi e il contributo è spesso formale».
REGGIO E’ IL SALVADANAIO DELLA ‘NDRANGHETA
Parole scontate se non fosse che Reggio non è quella di Calabria ma quella nell’Emilia (come recitano i vecchi atlanti geografici). E se non fosse che a pronunciarle non fosse un magistrato calabrese ma Italo Materia, procuratore capo della Repubblica a Reggio Emilia, nel corso di un colloquio riportato dalla «Gazzetta di Reggio» il 22 ottobre 2005.
Da allora a oggi qualcosa è cambiato ma solo perchè i metodi si sono affinati e gli uomini della ’ndrangheta girano in doppiopetto, sono sempre più iscritti negli Albi e negli Ordini dei professionisti e sono entrati a pieno titolo nel mondo dell’impresa e dell’economia (apparentemente) legale attraverso il riciclaggio del denaro sporco.
Reggio e la sua provincia non sono, dunque, quelle di quasi 40 anni fa, quando un intenso flusso migratorio comincio a portare in quest’area e nelle vicine province di Mantova e Cremona, decine di migliaia di cutresi. E proprio in quegli anni la cosca dominante a Cutro (Kr) – la famiglia Dragone – allungò a Reggio i suoi tentacoli cominciando un’attività di pesante vessazione nei confronti dei corregionali che nel frattempo avevano cominciato a farsi onore soprattutto nel campo del commercio e dell’edilizia.
Pizzo, racket e usura furono i primi gradini, fino a salire la gerarchia del crimine organizzato con il traffico (in grande stile) della droga e l’infiltrazione nell’economia legale attraverso acquisizioni e prestanomi. Per non parlare del vortice delle false fatturazioni e triangolazioni fiscali elusive.
A Reggio, come scrive Enzo Ciconte nel suo rapporto dell’11 gennaio 2008 sulle dinamiche criminali in provincia, «non c’è alcun controllo del territorio. Non c’è stato nel passato e non c’è ora».
La città esce da un periodo – dal 22 agosto 1999 all’11 dicembre 2004 – che ha sancito, con l’uccisione di 12 persone e la supremazia della famiglia di ’ndrangheta Grande Aracri, che regna senza far troppo rumore.
Reggio può farcela a dare un calcio alla criminalità organizzata? Forse sì, perchè sono i reggiani, a partire da quelli di origine cutrese, ad alzare il muro della legalità.
Una per tutte: la ribellione dell’imprenditore Giuseppe Ruggeri, natio di Cutro, che il 19 ottobre 2007 confermò al Tribunale di Crotone i tentativi di estorsione subiti a Reggio Emilia dai Dragone. La sua denuncia e la morte del vecchio boss Antonio posero fine ai tentativi.
E’ LA STAMPA (DA BRIVIDI) BELLEZZA…
Molti di voi ricorderanno che Roberto Saviano, nella sua apparizione su Rai2 da Fabio Fazio, proiettò e lesse i titolo di alcuni giornali campani che trattavano in modo quantomeno discutibile le “fantastiche” avventure dei Casalesi e dei camorristi in genere.
Nonostante abbia (appena compiuto) 46 anni sono già 25 anni che faccio questo mestiere e ho il vecchio viziaccio di ritagliare e conservare da anni articoli dei giornali più disparati. Leggo e divoro di tutto. E conservo.
Allora faccio con voi un gioco semplice semplice a testimonianza della bontà della testimonianza di Saviano: vi riporto in ordine temporale alcuni (solo alcuni) titoli di giornali e agenzie del 2002, 2006, 2007, 2008 e dei primi mesi 2009 (calabresi, campani e emiliano-romagnoli) in modo tale che le persone che ancora credono che le mafie siano un problema del Sud quantomeno riflettano. Non vi sfuggiranno alcune differenze tra i titoli visti da Sud (in genere più allarmisti e realistici) e visti dal Nord (in genere più scetticci e dubbiosi oppure sorpresi).
“Mafia russa, milioni di euro lavati in Romagna” (Corriere della Sera, pag. 18, 11 giugno 2002); “Una spa del pizzo a Modena – Estorsioni agli imprenditori edili: arrestati dai Carabinieri 5 esponenti del clan dei Casalesi” (Il Resto del Carlino, pag, 1, 7 aprile 2006); “In una scuola di Bologna Libera spiega la mafia ai bambini” (Agenzia Dire ore 17.09 del 2 febbraio 2007); “ Le lunghe mani dell’Est sulla nostra Riviera” (Il Resto del Carlino, pagg. 2 e 3, 16 marzo 2007); “Un pentito di mafia ai vertici di Doro Group – Ricostruito il management della coop che gestiva in subappalto i servizi di terra dell’aeroporto Marconi di Bologna” (Il Resto del Carlino, pagg. 4 e 5, 11 gennaio 2008); “Cutrese arrestato a Reggio Emilia per omicidio” (Gazzetta del Sud, pag. 28, 1° aprile 2008); “Scatenati nel Modenese con i metodi della camorra – In manette sei affiliati a un clan” (Il Resto del Carlino, pag. 17, 2 aprile 2008) “La ‘ndrangheta colonizza l’Emilia-Romagna” (Gazzetta del Sud, pag.26, 19 aprile 2008); “La ‘ndrangheta ha messo piede in Romagna” (Il Resto del Carlino, pag.18, 23 aprile 2008); “Preso a Imola il boss emergente di Papanice – Fermati anche due fedelissimi” (Gazzetta del Sud, pag. 26, 30 luglio 2008); “Anziana vedova minacciata dalla mafia – La cosca Calabrò la costrinse a vendere un terreno a Bologna” (Il Resto del Carlino, pag. 9, 17 ottobre 2008); “Blitz antidroga, mafia al tappeto in Emilia-Romagna” (Il Resto del Carlino, pag. 16, 6 marzo 2009); “Spari al portone del candidato sindaco – In un paese del reggiano – Mai ricevuto minacce prima” (Il Resto del Carlino, pag. 14, 30 marzo 2009)
E gran finale (rullo di tamburi): “Arresti in carcere a 5 boss camorristi “modenesi” (La Gazzetta di Modena, 8 aprile 2009, cioè ieri, fantastico no!)
3. The end e…Buona Pasqua a tutti voi e alle vostre famiglie. Io tornerò con un nuovo post martedì 14 aprile
roberto.galullo@ilsole24ore.com