Mafie in Emilia-Romagna/2 Il prefetto di Parma “amico” di Saviano punta a Milano? Da Cesena a Modena la criminalità…sciala

Cari amici di blog eccoci alla seconda puntata sulle mafie in Emilia-Romagna.

Chi ha seguito la prima puntata  – pubblicata su questo blog giovedì scorso – sa che siamo partiti dalle avventate dichiarazioni del prefetto di Parma, Paolo Scarpis il quale, in polemica con Roberto Saviano, ha dichiarato che nella città ducale la Camorra non c’è.

Beata spensieratezza! Beata gioventù! E così – armato di dati oggettivi come dovrebbe fare ogni buon giornalista – giovedì scorso, 2 aprile, ho cominciato la mia inchiesta sulla penetrazione devastante delle mafie in questa splendida regione, partendo proprio da Parma dove Camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra operano da anni. Oggi proseguiamo con altri dati e testimonianze. Con buona pace di Scarpis, del resto zittito dalle stesse fonti giudiziarie che aveva chiamato in causa.

 

L’UCCELLINO DICE CHE …

 

Accade però che un uccellino (di solito molto ben informato) mi dice che Scarpis punti a diventare prefetto di Milano, atteso che l’attuale prefetto, il mio amico Gian Valerio Lombardi (quando ero responsabile delle pagine degli enti locali del Sole, 15 anni fa, cominciò la nostra collaborazione che lui prosegue con grande seguito) sarebbe in procinto di prendere il posto di Mauro Masi, ex segretario generale della Presidenza del consiglio dei ministri, ora volato alla direzione generale della Rai.

Sia ben chiaro: auguro a Scarpis (che magari smentirà questa voce dall’uccellin sortita) una carriera fulminante visto che quella di Parma è la sua prima nomina ma – da umile osservatore critico quale sono – spero che se dovesse arrivare dalle parti di Letizia Moratti, ripassi prima la storia della criminalità organizzata (passata ma soprattutto presente) di Milano e della Lombardia. Chi segue questo blog sa che ne ho già scritto in abbondanza (a rimorchio delle mie inchieste sul Sole). Cosche, clan e ‘ndrine stanno già apparecchiando la mensa della spartizione miliardaria in vista di Expo 2015. Non dovrebbe essere difficile cadere in nuove cadute come quelle di Parma, visto che Scarpis a Milano c’è già stato come questore.

 

COSA NOSTRA ARRIVA E CORREVA L’ANNO….

 

La legge sul soggiorno obbligato portò a Castel Guelfo – già nel 1958 come ricorda lo storico Enzo Ciconte nelle sue ricerche sulla penetrazione delle mafie in Emilia-Romagna – Procopio Di Maggio, capo mandamento di Cinisi. «Per volere dei Corleonesi di Totò Riina – racconta Ciconte – Di Maggio era componente della commissione provinciale di Cosa Nostra, condannato al maxi processo di Palermo e successivamente imputato per l’omicidio di Salvo Lima».

Da allora fu un’ondata inarrestabile di mafiosi, camorristi e ’ndranghetisti che hanno invaso ogni provincia dell’Emilia-Romagna, facendo affari d’oro dapprima con l’usura e poi, sempre più velocemente, penetrando i mercati del commercio, degli appalti, dell’edilizia, del gioco d’azzardo, della prostituzione e dei locali notturni che ben si prestano al business principale: il traffico di droga.

Per chi non volesse (a dispetto delle evidenze e della logica) credere che l’Emilia-Romagna è un eldorado per le mafie, basta muoversi tra passato e presente. Un viaggio nella memoria verso l’attualità che parte da un arco temporale ben preciso e un dato approssimato per difetto: tra il 1961 e il 1995 i sorvegliati speciali e con obbligo di soggiorno sono stati almeno 3.562, con una prevalenza nelle province di Forlì, Rimini, Parma e Modena.

Altra tappa-flash nel tempo: tra il ’74 e il ’76 don Tano Badalamenti "sverna" a Sassuolo a spese dello Stato. Secondo un rapporto della Criminalpol del 1979 «manovrava ogni attività illecita di Modena».

Non solo Cosa Nostra ovviamente. Camorra e ’ndrangheta – per non essere da meno – sposteranno armi, bagagli e affari a Budrio, Rimini, Fiorano Modenese e Cesenatico (solo per citare i primi nomi, di una lunga lista, che vengono in mente). E l’opposizione dei sindaci? Zittita: con le buone o con le cattive. Gianfranco Micucci, sindaco di Cattolica nel 1993 gridò in faccia alla Commissione parlamentare antimafia che la sua città sarebbe entrata nel guinness dei primati per il più alto numero di sorvegliati e soggiorni obbligati. Risposte: zero. Attenzione: sottozero.

 

IN EMILIA ROMAGNA ALMENO 63 “FAMIGLIE”

 

Atterrando ai giorni nostri con questo viaggio-lampo nella memoria, eccoci in un presente fatto di almeno 63 tra famiglie, cosche e clan, da me calcolate senza dubbio per difetto (37 di ‘ndrangheta, 12 di camorra, 12 di Cosa Nostra e 1 della Sacra Corona Unita).

Nell’ultimo Rapporto di Sos-Impresa Confesercenti, si scopre anche che il 5% dei commercianti emiliano romagnoli (soprattutto tra Modena, Bologna e la Riviera) è sottoposto a pizzo. E non siamo a Palermo si badi bene!

Non è una sorpresa scoprire che oggi sono le ’ndrine a dettare legge. Sono 37 le principali famiglie da me censite e scorrendo l’elenco la ’ndrangheta non fa sconti: ci sono le ’ndrine di Platì, della Piana di Gioia, di Reggio Calabria, di Isola di Capo Rizzuto, via via fino ai cutresi. Talmente forti questi ultimi – presenti a decine di migliaia soprattutto nella provincia di Reggio – da obbligare molti candidati sindaci del paese natio a salire fino in Emilia per fare la propria campagna elettorale. Cutresi capaci di lavorare onestamente nell’edilizia ma, anche, di diventare all’occasione teste di ponte per il riciclaggio del denaro o per la costituzione di società nuove di zecca nel settore dei lavori pubblici, ma con capitali sporchi alle spalle.

La ’ndrangheta, come ricordava lo scorso anno il magistrato della Direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo, sta progressivamente occupando il mercato del gioco d’azzardo. «Segnatamente – dichiarava – a Rimini, Riccione e Ravenna». Ma non solo: appaiono sempre più evidenti i fenomeni di riciclaggio, soprattutto nel Forlivese, attraverso imprese con sede a San Marino.

Le cosche calabresi – insomma – spaziano a tutto campo e vestono il doppio petto quando si presentano come professionisti o imprenditori. «La ’ndrangheta calabrese – dichiara Mario Spagnuolo, della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro – gestisce in termini monopolistici il mercato delle costruzioni in alcune zone dell’Emilia Romagna. Nell’indagine Omnia si parla della realizzazione di un complesso edilizio di 500 appartamenti».

La ’ndrangheta imprenditrice, insomma, che nasconde e protegge calibri insospettabili come Pasquale Condello, il "supremo", boss di Reggio Calabria, paragonabile per il suo potere a Bernardo Provenzano. Condello, arrestato il 19 febbraio 2008, aveva il cuore in Calabria e il portafoglio a Cesena dove – attraverso una fitta rete di prestanome – era titolare di conti correnti, fondi, gestioni patrimoniali, società immobiliari, uffici, depositi, autosaloni, terreni. Tutto sequestrato, per un valore a Cesena di almeno 15 milioni.

Camorra e Cosa Nostra hanno dovuto lasciare spazio allo strapotere delle famiglie calabresi ma non sono rimaste a bocca asciutta. I Casalesi – come avrete letto nello scorso post – dettano la propria legge tra Castelfranco, Nonantola, Bomporto, Soliera, San Prospero, Bastiglia e Mirandola. Immobili e finanziarie il loro cavallo di battaglia, senza perdere d’occhio traffico di droga, locali notturni, pizzo e racket. Non è un caso, dunque, che proprio a Castelfranco due anni fa fu gambizzato un imprenditore edile campano. Regolamento di conti? In attesa degli sviluppi, il 1° aprile 2008 i Carabinieri hanno offerto in dono al clan dei Casalesi nel modenese un bel pesce d’aprile, arrestando sei affiliati ritenuti responsabili dell’agguato. Alcuni giorni dopo, il 7 aprile, altro pesce di aprile in ritardo: 5 Casalesi arrestati, tra Bastiglia e Modena, accusati di imporre pizzo, tangenti a imprenditori della zona.

E Cosa Nostra? Non gambizza come i camorristi e non compie attentati come la ’ndrangheta. Abile a mimetizzarsi e scaltra come poche anche a seguito della primogenitura degli affari sporchi in questa terra, è attiva soprattutto nel Modenese, con una penetrazione profonda nel settore delle opere e degli appalti pubblici. Abili – in particolare – i Corleonesi, che puntano senza riserve sulla ricca torta dell’Alta velocità. Troppo furbi per prendere direttamente appalti, si buttano nei sub-appalti, nella movimentazione della terra e nel noleggio di macchinari e personale. Qui, però, la cronaca si ferma: le indagini sono in corso e si spera che corrano più speditamente di un treno ad alta velocità.

E qui mi fermo anche io, dandovi appuntamento a giovedì prossimo, 9 aprile, con l’ultima puntata

2. to be continued

roberto.galullo@ilsole24ore.com

  • bartolo |

    Per Stefano Rossi.
    Forse, se la smettissimo tutti, e per sempre, la piaga mafiosa, finalmente, si estirperebbe da sola, naturalmente. Per lasciare così nelle nostre menti lo spazio necessario da dedicare alle cose concrete.

  • stefano rossi |

    dopo questa due giorni terrificante, non mi va di parlare di mafie. scusate
    la sorella della mia ragazza e mio cugino che studiano all’Aquila sono vivi per miracolo.
    il mio pensiero va a quei ragazzi che studiavano e che non potranno più farlo
    senza parole

  • edoardo Levantini |

    Caro Roberto,
    ancora complimenti. Vale la pena ricordare che oggi la DDA di Bologna ha emesso quattro decreti di fermo a carico di altrettanti appartenenti al cartello dei casalesi attivo tra Modena e Casal del Principe!Ho letto che il prefetto di Parma sarebbe destinato a fare,rapidamente, carriera nonostante il suo intervento sulle mafie a Parma…Al prefetto potresti anche suggerire la lettura dell’Oro della camorra di Rosaria Capacchione che ha messo tra gli allegati al suo bel libro la sentenza Zagaria- Bazzini…Comunque il suo attacco a Saviano Saviano meriterrebbe una censura ufficiale…

  • bartolo |

    Complimenti dottore Galullo! Come dice Salvatore Borsellino, la tragedia più grande per i caduti ad opera di vil mani mafiose è che il loro sangue è stato versato inutilmente. Lei ha citato Cesare Terranova, ma si potrebbero menzionarne a decine di menti illuminate che avevano previsto l’attuale tragedia. Uno per tutti, Sciascia! E’ stata massacrato con l’accusa che aveva attaccato Falcone e Borsellino con riferimento alla sua analisi che avvisava l’emersione di una nuova e pericolosissima categoria rappresentata dai professionisti dell’antimafia. Falcone e Borsellino rappresentano la prova reggina di quanto sia stata azzeccata la teoria sciasciana. Infatti, man mano che le persone speciali a conoscenza del fenomeno mafioso venivano eliminati, proporzionalmente si moltiplicavano i professionisti dell’antimafia. Fino ad arrivare ai giorni nostri con tutte le istituzioni repubblicane addette al contrasto del fenomeno mafioso occupate da questi signori. Qualche nome? La Commissione bicamerale antimafia, le Commissioni regionali antimafia, i generali dell’Arma dei Carabinieri e Guardia di finanza sotto processo per gravissime ipotesi di reato, i Servizi segreti deviati ed infine, il maggior numero, nelle procure e super procure distrettuali e nazionali antimafia. Ecco svelato il motivo per cui quel povero Salavatore si dispera nel suo vano invito nei confronti di quest’ultimi a non permettersi di nominare invano il nome di Paolo Borsellino.

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