Torno a riflettere sulle vicende che hanno condotto all’allontanamento di Luigi De Magistris dalle inchieste Why Not e Poseidone e di Monsignor Bregantini dalla Calabria.
A mente serena e con l’algido distacco dettato dal tempo che scorre, mi convinco sempre di più che le matrici del loro addio forzato siano comuni.
Ho avuto il tempo di rileggermi un po’ di carte sparse sulla mia scrivania al giornale, alle quali ho aggiunto quelle sparse nel mio studio di casa. Ho composto il tutto con alcuni tasselli che da tempo mi ronzavano per la testa.
Molti tra noi giornalisti hanno avuto il coraggio di approfondire quello che – da subito e indipendentemente dai rilievi penali – appariva il grande brodo primordiale nel quale sguazza(va) il malaffare calabrese.
Dalle carte di De Magistris il tanfo della lobby “affaristico-politico-mafiosa-massonico deviata” si leva alto. Ogni pagina – se letta in controluce – mostra le orme indelebili della nuova P2 di cui tanto ho scritto in questo blog (da ultimi i post di 9, 11 e 14 febbraio) e nelle mie inchieste sul Sole-24 Ore (da ultimo 10 dicembre 2008 e 25 gennaio 2009). Per non parlare della radio (puntate di “Guardie o ladri” scaricabili via podcast sul sito www.radio24.it).
L’inchiesta di De Magistris aveva però provato a entrare anche nei segreti di quella che Licio Gelli (uno che se ne intende) chiama la “massoneria bianca”: l’Opus Dei, che in Calabria accompagna spesso l’operato della Compagnia delle Opere, fino a pochi anni fa identificata con Antonio Saladino, che ne era il presidente e che è al contempo il principale indagato dell’inchiesta avocata allo stesso De Magistris (ricordo, per inciso, che Saladino, dalla superteste Caterina Merante, viene accostato alla massoneria, anche se il prode Saladino ha sempre smentito furioso).
La parola “Opus Dei” è restata dunque sempre nell’ombra e nella penombra, per la paura che, presso molti giornalisti, evoca. Paura – anche semplicemente – di scriverne, cercando di capire o, quantomeno, di porsi interrogativi.
Ed allora mi sono andato a riprendere il libro di Sandro Neri: “Licio Gelli. Parola di Venerabile”, editato nel 2006 da Aliberti. Nell’ultima pagina l’intervistatore pone due domande che riporto testualmente insieme alle risposte.
Domanda: “Molti sospettano che la P2 esista ancora. E che continui a operare, magari sotto un altro nome”. Risposta. “La loggia massonica P2 è stata una realtà unica e irripetibile. Che oggi non avrebbe più senso. Ci sono organizzazioni molto più potenti, di respiro internazionale ma nello stesso tempo riservatissime”.
Domanda: “Può citarne qualcuna?” Risposta: “L’Opus Dei. Una ragnatela che copre tutto il pianeta, tessuta da persone validissime. E’ chiamata massoneria bianca”.
Con una toccata e fuga, vi ricordo appena che negli archivi della Loggia P2 fu trovato un intero schedario dedicato all’Opus Dei e vi ricordo che – teoricamente – massoneria (bianca, nera, gialla o verdina che sia) e cattolicesimo sarebbero incompatibili.
Ora, senza evocare alcune vicende e persone “validissime” che quell’intervista evoca, come a esempio la contrapposizione tra lo Ior di Monsignor Paul Casimir Marcinkus e l’Opus Dei, il ruolo della stessa P2, di Roberto Calvi e il crack del Banco Ambrosiano, giusto per non contraddire il Venerabile che – ne sono certo – ha ancora il suo potere (nonostante giochi a fare il pensionato e a non rispondere ai magistrati siciliani che, non più tardi di tre mesi fa, sono tornati a interrogarlo su trame per le quali non lo considerano estraneo) qualche considerazione la farei. Insieme a voi. Immaginate se contribuisse a riflettere con noi anche il Venerabile che, mi gioco una pizza, segue (o fa seguire) il mio blog.
Dunque dunque: secondo l’ex Venditore di materassi, l’Opus Dei sarebbe una (anzi: l’unica) ragnatela più potente della massoneria internazionale. Questo assunto – mi domando a voce alta e professando il mio rispetto per la parte sana e maggioritaria di questa prelatura della Chiesa – è vero anche se le proporzioni si riportano e si adattano alla Calabria? E quanto i principi dell’Opus Dei sono stati traditi nel momento in cui alcuni numerari, aderenti, soprannumerari o simpatizzanti influenti hanno cominc
iato a giocare con il potere e manovrarne le leve?
Per non saper ne leggere ne scrivere parto da un dato oggettivo che traggo dal libro di Assunta Scorpiniti “La Calabria di Escrivà. Un vero e proprio viaggio sulle tracce del fondatore dell’Opus Dei”, editato nel 2006 dalla casa editrice “Progetto 2000”. Apprendo così – e non mi meraviglio – che la Calabria è la regione con il maggior numero di strade, piazze, strutture pubbliche e sacre immagini dedicate al benemerito fondatore spagnolo.
Bene, diranno molti di voi e così penserà anche l’ingegner marchese Giuseppe Corigliano (detto Pippo), potentissimo e immarcescibile direttore dell’Ufficio informazione dell’Opus Dei, che in Calabria è di casa: che male c’è? Nessuno. Lo spirito dell’Opus Dei – riporto fedelmente dal sito istituzionale – “è aiutare a trovare Cristo nel lavoro, nella vita familiare e in tutte le attività quotidiane”. Evidentemente in Calabria ci sono più persone che hanno bisogno di trovare Cristo.
E non ne dubito: soprattutto intorno al Santuario aspromontano di Polsi, magari a settembre quando si dedica una settimana di venerazione alla Madonna della Montagna.
E passiamo a De Magistris e alla sua inchiesta Why Not. L’11 ottobre 2007 il magistrato interroga Giuseppe Tursi Prato, ex consigliere regionale, un tipino fino, già spedito in carcere per associazione mafiosa e corruzione che – chiamato a rispondere delle sue frequentazioni – dichiarerà di appartenere all’Opus Dei ma di far parte di quelli che in Calabria non ne hanno mai tratto vantaggio (e come no, dicono sempre e tutti così!). E ricorda, nella stessa occasione, che legatissimo all’Opus Dei era Franco Morelli, ex Dc, ex An, ex capo di Gabinetto dell’ex Governatore della Calabria Giuseppe Chiaravalloti, attualmente consigliere regionale, amico di Saladino e amante di Topolino (leggo dalla sua scheda personale sul sito della Regione Calabria questo fondamentale tratto distintivo dell’uomo attualmente indagato dalla Procura di Paola in un filone dell’inchiesta Why Not relativo all’utilizzo di fondi Ue. Le ipotesi di reato al vaglio della Procura: truffa aggravata, peculato e abuso d’ufficio).
Il 5 gennaio 2008 Caterina Merante, superteste dell’inchiesta avocata a De Magistris, escussa dalla Procura generale di Catanzaro, ricorderà l’appartenenza all’Opus Dei dell’ingegner Giuseppe Lillo, del Consorzio Brutium e società satelliti, tutte creature dirette o indirette – secondo De Magistris – di Saladino. Anche Lillo è indagato dalla Procura di Paola nello stesso filone di indagine di Morelli. Indagati a Catanzaro per l’inchiesta madre sono invece – tra gli altri – Eugenio Luigi Conforti e Sabatino Savaglio (quest’ultimo uomo ombra e penombra di Saladino). Se questi ultimi due facciano parte dell’Opus Dei solo Iddio lo sa, visto che l’appartenenza alla congregazione è quasi sempre tenuta “riservata” (cioè segreta, esattamente come la massoneria).
Per certo i mortali sanno invece che i due siedono ancora nel consiglio direttivo della Compagnia delle Opere della Calabria (consultare il sito per credere).
Ma De Magistris si era già imbattuto in due faccendieri – Liso e Scelsi – che, come si può leggere a pagina 253 dell’inchiesta Why Not “erano molto vicini all’Udc, ai vertici militari e all’Opus Dei”. E ancora troviamo una descrizione poco lusinghiera del volto affaristico, quando a pagina 255/256 l’ex Pm raccoglie alcune testimonianze secondo le quali alcuni appalti sanitari a Vibo potevano essere ottenuti attraverso l’intermedizazione di personaggi legati all’Opus Dei, così come era possibile concludere, nello stesso modo, vantaggiose compravendite immobiliari.
Oltre a De Magistris, si possono contare sulle dita di una mano quelli che in Calabria hanno acceso i riflettori sull’Opus Dei.
Tra questi il segretario nazionale del Pri – partito che vanta con orgoglio tradizioni massoniche – Francesco Nucara, deputato di Reggio Calabria. Intervistato da Calabria Ora il 14 agosto 2006 dichiarerà con una frase a effetto ma non casuale che “l’Opus Dei in Calabria è molto più radicata della massoneria”. Nucara – detto per inciso – è quello che a fine 2005 a Bologna, da sottosegretario all’Ambiente nel Governo Berlusconi, intervenne con un messaggio al Bicentenario del Grande Oriente d’Italia, concludendo il suo testo inviato ai relatori del convegno “La Massoneria italiana dalla Repubblica ai giorni nostri”, con un “caro fraterno saluto a tutti voi”. Chiaro?
Nucara è lo stesso Nucara chiamato in causa dai magistrati calabresi Enzo Macrì e Antonio Lombardo allorchè riportarono in sentenza che “su un’ autovettura intestata ad un affiliato della ‘ndrangheta è stato rinvenuto materiale di propaganda elettorale per il candidato del Pri Nucara Francesco, che secondo voci di pubblico dominio raccolte dai Carabinieri, durante la campagna elettorale era stato appoggiato dalle cosche mafiose facenti capo a Serraino Francesco, De Stefano Paolo, i Tegano, i fratelli Libri, Araniti Santo, Frascati Antonio e i fratelli Ca
ridi”. Voci che Nucara smentì con forza minacciando querele contro ignoti per quel rapporto dei Carabinieri che lo indicava come il candidato di un gruppo di ‘ndrine. Nucara sarebbe inoltre indicato parente, per parte di madre, del boss di ‘ndrangheta Domenico Libri (si veda "Cirillo, Ligato, Lima, tre storie di mafia e politica” a cura di Nicola Tranfaglia, edizioni Laterza).
Mentre De Magistris – suppongo essendone conscio – stava firmando da solo il foglio di via dalla Calabria per i troppi poteri occulti toccati, lambiti o scoperti, il 31 dicembre 2007 la Diocesi di Locri-Gerace – nella quale ricade anche il Santuario di Polsi sacro ai calabresi devoti e ai boss di ‘ndrangheta, devoti più dei santini (da bruciare) che dei santi in vita o morti – ha ospitato l’ultimo giorno pastorale di Monsignor Giancarlo Maria Bregantini. Da un giorno all’altro la Chiesa decise di “promuoverlo” e spedirlo a Campobasso. Che promozione eh! E’ come se Giorgio Napolitano, da Presidente della Repubblica, fosse spedito a fare il presidente del consiglio comunale di Isernia.
«In questi anni – dichiarerà al Corriere della Sera il 7 novembre 2007 Mario Schirripa, fedele collaboratore di Bregantini – abbiamo combattuto la ' ndrangheta e la massoneria. Abbiamo dato battaglia anche contro chi non si espone. Credo che ora tutte queste persone si siano presi la rivincita».
''La ‘ndrangheta e le cosche sono strumento di peccato. Come pure la massoneria deviata, spesso collusa con la mafia, in un intreccio di interesse losco e pericoloso, perchè favorisce non il bene comune, ma sempre e in modo prevalente il bene privatistico. Questo è il vero peccato della massoneria, oggi, in terra di Calabria” aveva tuonato nella giornata dell’Avvento del 2005 Monsignor Bregantini ma nel giugno 2006 durante i corsi della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Don Giorgio Pratesi” della Diocesi di Locri-Gerace sugli “Intrecci tra ‘ndrangheta e massonerie coperte” rincarerà la dose tanto da ricevere la durissima reazione di Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia che non escluse di adire le vie legali. Ben sapendo, tutti, che fior di pentiti hanno fatto riempire ai magistrati centinaia di pagine di verbale nelle quali sottoscrivevavo – pagina per pagina – lo stretto e quasi inscindibile legame che in Calabria esiste tra ‘ndrangheta e massoneria coperta.
Monsignor Bregantini, dunque, ne aveva le scatole piene della massoneria deviata e non faceva nulla per nasconderlo. Come De Magistris, che oltretutto aveva cominciato anche a penetrare nell’impenetrabile Opus Dei.
Ma…un momento… Questo film lo abbiamo già visto. E già! Correva il 1992 e l’allora Procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova, mirò agli stessi obiettivi “sensibili”. Fu rimosso e spedito a Napoli (guarda tu, proprio come De Magistris) e da lì si son perse le tracce.
E – ironia della sorte – un altro De Magistris Luigi si è scottato con l’Opus Dei. Arcivescovo, penitenziere maggiore della Santa Sede dal 2001 al 2003, consulente della congregazione per le cause dei Santi. Fu rimosso perché l’Opus Dei non gli perdonò mai di essersi pronunciato, unico curiale di spicco, come ricordò il giornalista dell’Espresso Sandro Magister nel numero in edicola il 24 ottobre 2003, contro la beatificazione del fondatore Josè Maria Escrivà de Balaguer. E dovette anche dire addio alla berretta cardinalizia che gli sarebbe toccata per tradizione.
Vuoi vedere che l’unico a capire tutto è stato Giuliano Di Bernardo, ex maestro del Grande Oriente d’Italia? Sono andato a ripescare un articolo del 17 luglio 2003 sull’”Opinione”, un quotidiano semi-sconosciuto particolarmente sensibile, a giudicare dall’attenzione che gli dedica, al richiamo della massoneria. Ecco il titolo: “Una super lobby per massoneria e Opus Dei – Giuliano di Bernardo mette insieme il diavolo e l’acqua santa e fonda l’Accademia degli Illuminati”. Laici e cattolici, tutti insieme appassionatamente.
La Calabria dei poteri forti, occulti e contorti – che combatte Bregantini e De Magistris e li abbandona al proprio destino – evidentemente l’”Opinione” non la legge.
La Calabria in cui la “massoneria deviata” batte e combatte o si allinea e si allea (a seconda della convenienza) con la “massoneria bianca deviata”, l’Accademia degli Illuminati (scusate ma il nome a me fa sorridere, avrei preferito chessò… lo Zecchino D’Oro, se il nome non fosse già coperto da copyright) non la illumina proprio.
Tantomeno, credo, illumina la democrazia e il futuro di una terra dal destino ormai segnato (così come quelli di De Magistris e Bregantini), che il solo Architetto Illuminato che io riconosco – Signore Nostro Gesù Cristo – potrebbe salvare. Ammesso che gli avanzi un miracolo.
roberto.galullo@ilsole24ore.com