Casa Nostra batte Cosa Nostra (in memoria di Don Puglisi)

Per schiacciare la mafia basta una stanza: a Casa Nostra contro Cosa nostra. Non è un gioco di parole ma è l’antimafia  porta a porta o, se preferite, a domicilio. La propone un autore teatrale intelligente, Aldo Rapè che – nel silenzio dei media frastornati dalle fandonie sull’arretrameno delle cosche in Sicilia e dallo stordimento per una politica che si dimentica di mettere in agenda la lotta alla criminalità organizzata – mette in scena “Mutu. Il silenzio della mafia” (per informazioni www.primaquinta.it oppure 347/4787835 o, ancora, divertitevi ad ascoltare la mia trasmissione “Guardie o ladri” in onda sabato 13 settembre alle 19.30).

Solo che che “Mutu” non calca le scene dei teatri ma il pavimento di casa vostra. O meglio: di chiunque abbia voglia (o coraggio) di mettere a disposizione un minimo spazio vitale di 50 metri quadrati per dare modo agli attori Aldo Rapè e Nicola Vero di dar vita alla storia di due fratelli e di due vocazioni a confronto. Due uomini sotto lo sguardo dello stesso Dio. Uno è un prete, l’altro è un mafioso. U parrinu e u mafiusu. E il mafioso è un boss, che ha dimenticato persino quanti morti ha ammazzato. Ma uno, uno se lo ricorda bene. E’ Don Pino Puglisi, il parroco del quartiere Brancaccio di Palermo, che al killer che lo stava massacrando rispose con un sorriso e con una frase da far gelare il sangue: “Vi stavo aspettando”. Don Pino Puglisi – che Dio lo abbia in gloria – morì il 15 settembre 1993 e in questi giorni, proprio a Brancaccio, la parrocchia da lui guidata fino a 15 anni fa, la Curia e il Centro Padre Nostro da lui stesso fondato si dividono sulla titolarità delle attività da svolgere nel suo nome anziché unirsi nella memoria dei suoi profondi insegnamenti.

“Mutu” finora è stato ospitato a Bitonto, Palermo, Noto e Palazzolo Acreide (Siracusa). Ma andrà a Caltanissetta e San Cataldo per risalire poi la Penisola in un tour – questo è l’augurio – lungo, lunghissimo. Un tour nelle case degli italiani che vogliono aprire le porte oltre che i cuori alla conoscenza e alla memoria. Da Torino a Padova, da Reggio ad Ancona, da Roma a Matera sarebbe bello che centinaia, migliaia di case, parrocchie e condomini ospitassero Rapè – che non è nuovo a queste letture della mafia e che combatte con coraggio da anni la sua battaglia di legalità – e i suoi attori.

In fondo per sputare in faccia alla mafia e leggersi dentro basta poco: quattro mura e una comitiva di 40/50 amici disposti a pagare il prezzo ridicolo di un biglietto. Casa Nostra contro Cosa Nostra.

Roberto.galullo@ilsole24ore.com

  • Emilio Fabio Torsello |

    Mi sto rendendo conto da anni che scoprire l’esistenza e la vastità delle mafie significa ammalarsi. Ovviamente in senso positivo. Dopo “I complici”, adesso sto leggendo il libro di Gigi Di Fiore sui casalesi, ancora prima la sua “Storia della Camorra”. Ma scoprire le mafie significa non solo leggerle né vederle – molti dicono per questo modo che non esistono – ma intuirle. Ed è per questo che lo scorso aprile, insieme ad un amico e ad una ragazza del posto, sono andato a Casal di Principe, Mondragone e Carinola per vedere con i miei occhi i veleni della Camorra. Una decina di giorni dopo massacravano Michele Orsi, davanti a l Roxy Bar. E ricordo di aver pensato “toh guarda, un bar chiamato come il vecchio programma di Red Ronnie”. Poco tempo dopo l’omicidio. E poi su su lungo il costone del monte Petrino, dove l’ex base nato oggi è ricolma di spazzatura. Vi crescono piantine di un verde quasi fosforescente. Abbarbicate sulle buste colorate.
    Giorno dopo giorno, insomma, mi sono reso conto che la consapevolezza delle mafie rischia di ammalare la mente perché non si smette più di cercare di capire, di scrivere e di tentare di portare a conoscenza degli altri il “fattaccio”. Come diceva Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio”. E’ a questo brano che ho pensato quando ho aperto gli occhi sul mio Paese e ho letto i dati delle mafie: da sole producono un indotto di oltre 900 miliardi di euro. Una cifra pazzesca, da cui si comprende che purtroppo batterle è difficile e forse non lo si vuole fino in fondo, crollerebbe l’economia nazionale…
    Don Puglisi è stato l’esempio del fatto che l’antimafia deve partire dall’uomo singolo, dall’esempio capace di opporsi ai miliardi dei clan, delle cosche e delle ‘ndrine. Credo sia un po’ lo stesso ragionamento che facciano ogni giorno i magistrati. Singolarmente. Sapendo di dare l’esempio, di dare un senso al proprio operato….e che dire poi di Lirio Abbate, di Rosaria Capacchione…insomma, rischio di essere retorico e chiudo qui.
    A presto!
    Emilio Fabio Torsello

  • Giovanni |

    Ho sentito l’altro giorno alcuni spezzoni dello spettacolo alla sua trasmissione e rinnovo la speranza che questo lavoro possa essere messo in scena anche in altre città.

  • Giovanni |

    E’ una bellissima iniziativa e spero che dia i suoi frutti

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