Rapimento di Aldo Moro/ I collegamenti con la criminalità organizzata e quel continuo via-vai in un bar di Via Fani

Cari lettori di questo umile e umido blog, negli anni ho approfondito con diversi servizi la pista (rectius: le piste) secondo la quale la criminalità organizzata avrebbe avuto un ruolo determinante nel sequestro e nelle successive fasi del sequestro del leader della Dc Aldo Moro.

Forse i più giovani – e mi rivolgo a quella parte che si interessa della storia della democrazia di questo Paese, che suppongo minoritaria – avranno letto della tragica storia di questo politico democristiano ma, quel che forse anche loro non sanno, è che l’origine e l’epilogo di quel pezzo di storia è ancora tutto da scrivere. Forse – questa è la mia opinione – non si giungerà mai ad una riscrittura convincente perché troppo forte è, da parte dell’elite marcia delle democrazie europee e non solo, la volontà di cancellare per sempre una pagina oscura della vita occidentale.

Va dato atto – e questo umile e umido blog lo ha sempre fatto – alla Commissione parlamentare di inchiesta presieduta dall’ex Dc ora Pd Giuseppe Fioroni di lavorare con grande passione, coraggio e coerenza, nel tentativo di squarciare quei veli che tanto hanno offuscato la verità e la memoria di quei tragici giorni. Chi si è battuto alla morte per avere la Commissione è stato – ricordiamolo sempre – il senatore Gero Grassi (anch’egli Pd),

Uno di quei veli – che credo riserverà non poche sorprese nella relazione finale attesa per fine anno – è, appunto, proprio il ruolo delle mafie.

Nell’audizione del 5 e del 12 ottobre, la Commissione ascolta l’allora tenente colonnello dei Carabinieri Antonio Federico Cornacchia, oggi generale in pensione, che all’epoca del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro dal 1977 al settembre del 1979 comandava il Reparto operativo di Roma dei Carabinieri. In seguito è stato alcuni anni al Sismi (vale a dire i servizi segreti militari). Cornacchia nel 2011 ha scritto il libro “Airone 1, Scene da un’epoca” sulle vicende del rapimento, della prigionia e della morte di Moro. Airone 1 era il nome in codice dell’allora tenente colonnello.

Ebbene una prima parte interessante sul profilo della criminalità – in primis calabrese – viene offerto da Cornacchia allorché affronta la vicenda delle indagini svolte dal suo Reparto nel 1977 su un traffico internazionale di armi presunto che avrebbe coinvolto Luigi Guardigli (questa parte la vedremo domani, dopo queta lunga ma inevitabile premessa).

Chi è costui?

Bisogna fare un passo indietro e andarsi a rileggere quanto la stessa Commissione riprodusse il 10 dicembre 2015 nella relazione sull’attività svolta fino a quel momento.

LA RELAZIONE DI DICEMBRE 2015

Ebbene in quella relazione si può leggere una parte del rapporto firmato dal tenente colonnello Cornacchia, a seguito di un’indagine avviata il 29 gennaio 1977 e consegnata alla Procura di Roma.

«Questo Nucleo nel quadro delle indagini relative agli ultimi sequestri di persona avvenuti nel territorio nazionale – si legge in quel rapporto – è  venuto a conoscenza che elementi della mafia calabrese, facenti parte dei clan D’Agostino e De Stefano, sarebbero in contatto con tale Guardigli Luigi […] Lo stesso, nel decorso mese di dicembre, si sarebbe recato ad Archi (Reggio Calabria), per prendere direttamente contatti con elementi della mafia locale e per fornire materiale tecnico (microspia e radioricetrasmittente)».

LA FIGURA DI GUARDIGLI

Alla luce del rapporto, fu disposta una perquisizione a carico di Guardigli, poi non eseguita subito perché quest’ultimo si trovava all’estero.
Furono dunque disposte intercettazioni a carico di Guardigli, amministratore della società Racoin (Rappresentanze commerciali industriali) una società a responsabilità limitata, con sede a Roma, in via Clementina 2, con oggetto sociale “Esportazione, importazione e vendita conto proprio di ogni tipo di merce da e per tutti i paesi del mondo”, registrata presso la Camera di commercio di Roma al nr. 3992006.

Racoin, tra l’altro, secondo la ricostruzione della Commissione parlamentare, si occupava di compravendita di armi per Paesi stranieri; le intercettazioni evidenziarono conversazioni con elementi della criminalità organizzata calabrese e sospetti di coinvolgimento in traffico internazionale di armi.
Nel corso di queste attività Guardigli – in modo apparentemente fortuito, nell’ambito di un controllo – entrò in contatto con la polizia e, facendo cenno a rilevanti informazioni di cui sarebbe stato in possesso su traffico di armi e ad altri gravi reati, si dichiarò disposto a collaborare.
Venne, quindi, contattato dal Servizio di sicurezza (poi divenuto Ucigos e, ora, Polizia di prevenzione) ed ebbe alcuni incontri con il maresciallo Gueli.

IL BAR OLIVETTI IN VIA FANI

Agli atti della Polizia di prevenzione sono state rintracciate ed acquisite le relazioni del sottufficiale, dalle quali emerge in maniera assolutamente significativa che Tullio Olivetti – titolare di un bar frequentatissimo da figure istituzionali in via Mario Fani 109,  proprio la via nella quale avvenne l’agguato che portò il 16 marzo 1978 al rapimento di Moro e all’uccisione dei 5 uomini di scorta – veniva indicato da Guardigli come persona che:
a) in contatto con un gruppo libanese, gli avrebbe richiesto armi e gli avrebbe introdotto un suo amico, offertosi di pagare la fornitura con dollari falsi o cocaina;
b) era solito vantare alte aderenze politiche (in particolare affermava di essere in ottimi rapporti con la figlia dell’ex Presidente Gronchi, sua socia nella gestione del bar di via Fani);
c) era un trafficante di valuta falsa e aveva riciclato 8 milioni di marchi tedeschi, provento di un sequestro avvenuto in Germania;
d) era in contatto con ambienti della criminalità organizzata; in una circostanza, nella villa di una persona presentatagli proprio da Tullio Olivetti, Guardigli aveva trovato ad attenderlo il mafioso Frank Coppola, che gli aveva chiesto di dare seguito ad una richiesta di armi fattagli da tale Vinicio Avegnano, anch’egli indicato come amico di Olivetti.

Nello stesso contesto, Guardigli fornì al maresciallo Gueli anche altre notizie, tra cui la richiesta di materiale classificato da parte di persone legate alla Germania dell’Est. Le relazioni del Servizio di sicurezza della Polizia furono trasmesse al Sid per gli opportuni sviluppi.
Tutto questo avveniva mentre continuavano le indagini dei carabinieri dirette dal tenente colonnello Cornacchia, che avevano fatto emergere contatti tra Guardigli e Olivetti.
Nell’aprile 1977, i carabinieri perquisirono Guardigli e diversi soggetti risultati dalle indagini in contatto con lui. Guardigli venne arrestato per detenzione illegale di armi. Nell’operazione, che coinvolse più persone, venne rinvenuta copiosa documentazione apparentemente relativa a traffici illegali, in particolare di armi.
Nella circostanza, Tullio Olivetti non fu coinvolto, mentre furono perquisite le altre persone indicate da Guardigli alla polizia come presentategli proprio dall’Olivetti. All’operazione, seguì un rapporto di denuncia all’autorità giudiziaria – il titolare delle indagini era il sostituto procuratore Giancarlo Armati – per traffico di armi, associazione per delinquere e altri reati a carico di Guardigli e oltre venti persone.
Successivamente, nel maggio 1977, il pubblico ministero Armati emise un ordine di cattura nei confronti di Guardigli e delle altre persone denunciate dai carabinieri, accusate di associazione a delinquere allo scopo di commettere più delitti relativi a traffico illegale di armi. Anche in questa fase Tullio Olivetti non venne colpito da alcun provvedimento.

PENSIERI DIVERGENTI

Nel giugno 1977, a seguito della richiesta del pubblico ministero di procedere, intervenne nella inchiesta il giudice istruttore Ettore Torri. Le successive indagini videro un progressivo ridimensionarsi della vicenda, che è stato possibile ricostruire non solo dall’esame degli atti giudiziari, ma anche attraverso alcune relazioni del maresciallo Gueli, il quale – dopo aver reso dichiarazioni all’autorità giudiziaria – era solito riferire ai suoi superiori anche sui colloqui informali che intratteneva con i magistrati e sulle loro considerazioni.
Dall’esame di tale documentazione emergono valutazioni della vicenda totalmente divergenti da parte del pubblico ministero Armati e del giudice istruttore Torri. Di fatto, secondo quanto riferito dal maresciallo Gueli nelle sue relazioni, Armati avrebbe ritenuto l’operazione «molto complessa, in quanto, a parte notevoli quantitativi di armi e munizioni e di copiosa documentazione relativa a numerosi traffici di armi con Paesi africani, del medio oriente ed europei, vi sarebbero coinvolte molte persone, alcune delle quali importanti» e avrebbe riferito, altresì, al sottufficiale che una delle persone coinvolte, Vinicio Avegnano, aveva lasciato intendere di essere stato incaricato di entrare nella vicenda da uno speciale Servizio. Questo dato, per la Commissione, è degno di approfondimenti, in quanto Vinicio Avegnano era stato indicato da Guardigli come amico di Tullio Olivetti e latore di una richiesta di armi.
Di tenore assolutamente diverso – sempre secondo quanto riferito dal maresciallo Gueli – le valutazioni del giudice istruttore Torri, che avrebbe evidenziato uno strano comportamento di Guardigli, il quale se da un lato confermava le sue accuse poi, «in sede di confronto con le medesime persone (tra le quali l’Olivetti, il Pascucci, ecc.), preso da indicibile paura, negava tutto, dichiarando che non si trattava di traffico di armi, bensì di “prefabbricati”»; Torri avrebbe inoltre espresso il parere che Guardigli sarebbe stato un mitomane che doveva essere sottoposto a perizia psichiatrica.
Queste considerazioni riportate dal maresciallo Gueli hanno, di fatto, ripercorso gli esiti della vicenda processuale, almeno con riferimento alle principali imputazioni.

MANCAVA SOLO SEMERARI

Infatti Guardigli, sottoposto a perizia psichiatrica eseguita dal professor Aldo Semerari, fu definito «una personalità mitomane, con una condizione psicopatica di vecchia data, e, allo stato, permanente. I suoi atti e le sue dichiarazioni sono espressioni sintomatologiche di tale anomalia». Il criminologo Aldo Semerari – controversa figura posta in relazione con ambienti della banda della Magliana, della destra eversiva, della P2 e di organismi di intelligence – venne assassinato nel 1982 e il suo cadavere decapitato fu ritrovato il 1o aprile dello stesso anno a Ottaviano, in un’auto parcheggiata nei pressi dell’abitazione del camorrista Vincenzo Casillo, braccio destro del boss Raffaele Cutolo.
Guardigli, in sede di confronto con Aldo Pascucci – l’amico di Olivetti che gli avrebbe chiesto di procurare delle armi e nella cui villa aveva incontrato Frank Coppola – riferì di essersi inventato tutto e di avere dato quelle informazioni al maresciallo Gueli al fine di entrare a far parte del Servizio di sicurezza della Polizia.
Successivamente Guardigli, posto a confronto con il maresciallo Gueli, aveva ammesso di aver effettivamente fornito a quest’ultimo le informazioni contenute nelle relazioni della Polizia – definite tutte non veritiere – allo scopo di avviare una collaborazione con il Servizio di sicurezza.
I vari soggetti coinvolti, quindi, erano stati progressivamente rimessi in libertà e nel dicembre 1981, il giudice istruttore Ettore Torri concluse le indagini chiedendo il rinvio a giudizio di Guardigli e di altre tre persone in concorso solo per reati relativi alla illecita introduzione nel territorio nazionale e commercio di armi.
La vicenda ebbe ampio risalto sulla stampa, anche con accenni polemici per le conclusioni «minimaliste» cui pervenne; vennero pubblicati articoli che adombravano il non meglio precisato coinvolgimento della massoneria e di personaggi politici nei traffici illegali, anche in considerazione del fatto che Maria Pia Lavo, compagna di Guardigli, aveva lavorato nella segreteria di Franco Evangelisti, noto esponente della Democrazia Cristiana.
La Commissione di inchiesta parlamentare, nell’esaminare il carteggio acquisito, è stata colpita dalla scomparsa nella vicenda processuale di Tullio Olivetti, che era stato coinvolto in maniera così pesante da Guardigli ed era effettivamente risultato in contatto con lui.

PRESERVARE OLIVETTI

La sua posizione sembrerebbe essere stata “preservata” dagli inquirenti, tanto che la Commissione ritiene necessario esplorare l’ipotesi che possa avere agito per conto di apparati istituzionali ovvero avere prestato collaborazione.
In proposito, la stessa Commissione rileva che il maresciallo Gueli riferisce che il giudice istruttore Torri gli avrebbe fatto cenno ad un confronto in sede giudiziaria tra Guardigli e Olivetti.

Di un simile confronto non si hanno, allo stato, riscontri nella documentazione acquisita dalla Commissione parlamentare.

Sempre con riguardo a Tullio Olivetti, suscita interrogativi un’ulteriore vicenda. Agli atti della Polizia di prevenzione risulta che Olivetti aveva alloggiato in strutture ricettive bolognesi nei giorni precedenti la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Nella relazione del 10 dicembre 2015 la Commissione richiama l’importanza del coinvolgimento in questa indagine su traffici di armi di Frank Coppola, il cui nominativo è emerso anche nel caso Moro, in maniera assolutamente significativa. Coppola, infatti, è stato indicato come persona che intervenne per dissuadere alcuni elementi della criminalità organizzata – in precedenza sollecitati da uomini politici ad attivarsi – dal fornire notizie utili a localizzare il luogo dove era tenuto prigioniero Aldo Moro. Tal Ugo Bossi, interrogato dai magistrati nel 1993, ha riferito che Frank Coppola si era recato da lui, a Milano, per avvertirlo dell’inopportunità del suo interessamento per la raccolta di informazioni tramite don Masino Buscetta, spiegando che la vicenda era più complessa di quanto Bossi stesso immaginasse. Vincenzo Vinciguerra, condannato all’ergastolo per la strage di Peteano, ha dichiarato di aver appreso in carcere da un altro detenuto – Francesco Varone – che quest’ultimo era stato avvicinato dall’onorevole Benito Cazora per cercare di ottenere informazioni sul luogo di prigionia di Aldo Moro. Varone sarebbe poi stato convocato a Pomezia a casa di Frank Coppola. Qui un’altra persona gli aveva chiesto di interrompere le ricerche, offrendo anche dei soldi

Infine un’annotazione di non poco conto: tutte le informazioni acquisite sul conto del bar Olivetti e del suo titolare, Tullio Olivetti, non erano mai emerse in passato nelle inchieste sul caso Moro.

Ora mi fermo ma domani – alla luce di questa lunga ma fondamentale premessa – si riparte dall’audizione di ottobre del generale Cornacchia.

r.galullo@ilsole24ore.com

  • 1 – to be continued

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