Cari e amati lettori di questo umile e umido blog, dalla scorsa settimana scrivo dell’indagine Mammasantissima della Procura di Reggio Calabria (ma molto ne ho già scritto sul Sole-24 Ore).
Come spiegavo nei giorni scorsi (rimando al link a fondo pagina) per capire a fondo questa indagine e tutte le sue variegate sfaccettature, una più importante dell’altra, bisogna riannodare il filo della storia e ripartire dal 4 dicembre 1992 e da una storica deposizione in Commissione parlamentare antimafia del pentito di San Cataldo (Caltanissetta) Leonardo Messina.
Messina in quella audizione parlerà del gioco a incastri – anche nelle posizioni, cangianti e mutevoli, di alleanze, dominio e predominio – tra le mafie mondiali. Vale a dire 24 anni fa parlò di cose che oggi appaiono scandagliabili ma che, con una più attenta regia istituzionale, avrebbero potuto essere immediatamente perseguite.
Come già accennato la scorsa settimana la simbiosi – nel nome degli affari – tra le componenti riservate e invisibili delle mafie e i loro collegamenti con la massoneria deviata e i servitori infedeli dello Stato è incredibile, tanto che il Gip Domenico Santoro ad un certo punto scriverà che «la pluralità delle fonti dichiarative cui si è fatto sinora cenno appare di inequivoca significatività in punto correlazioni fra ‘ndrangheta e mafia, che, pertanto, appaiono operare in una sorta di simbiosi operativa di cui vi sarà traccia evidente in altre propalazioni che, a partire da quelle del Cannella. E il dato che emerge con pienezza dalle citate dichiarazioni riguarda un profilo costante: l’individuazione del tutto collimante, nelle parole dei citati collaboratori, delle famiglie De Stefano (nella persona dell’Avv. Giorgio De Stefano, dopo la morte di Paolo De Stefano) e Piromalli quali stabili referenti di Cosa Nostra in Calabria. A questi ultimi, non a caso, si aggiungono, in funzione paritetica, nel citato ruolo, i Mancuso, strettamente legati ai Piromalli, come evidenziano le molteplici operazioni, da Tirreno in poi, che ne hanno denotato la comune operatività, specie negli affari più lucrosi, che non può essere, allora, casuale ma è diretta promanazione delle loro comuni sorti in seno agli ambiti riservati della ‘ndrangheta, dalla Santa in poi, laddove, cioè, appare proprio questa la ratio della notevole influenza da queste cosche acquisite nel panorama del mandamento tirrenico (e non solo)».
I magistrati reggini, sul punto, andranno a sentire uno per uno i collaboratori di giustizia. Tullio Cannella il 22 novembre 2013 dichiarerà che «ho specificato cha a detta di Ciancimino (Vito, ndr) la ‘ndrangheta calabrese era forte anche in virtù dei suoi rapporti con la massoneria ed i servizi segreti ed io confermo pienamente questa circostanza che ora ricordo e che all’epoca riferii immediatamente alla Autorità giudiziaria procedente avendo la memoria più fresca».
Emerge, dunque, ancora una volta, scrive il Gip Santoro recependo appieno l’impostazione della Dda di Reggio Calabria, il collegamento fra la mafia siciliana e la ‘ndrangheta e si coglie perfettamente come il collegamento di questa con massoneria e servizi deviati appartenesse alla cognizione di un soggetto di assoluto rilievo nel panorama mafioso-politico come Vito Ciancimino.
Ma qualora, per ventura (scrive proprio così il Gip!) questo non fosse ritenuto sufficiente a dimostrare l’esistenza di una struttura “riservata” all’interno di ‘ndrangheta e, del pari, all’interno di Cosa Nostra, destinata a gestirne le relazioni e gli affari di maggior rilievo, dunque le interazioni destinate a incidere sugli assetti dello stato democratico, un ulteriore dato di conferma viene Antonio Calvaruso, storico autista di Leoluca Bagarella.
Dunque, afferma il Gip, non un quiqsque de populo (come direbbero a Milano, non un “pirla qualunque”) ma un soggetto qualificatissimo.
Ebbene Calvaruso individua proprio in Bagarella il responsabile della componente riservata di Cosa Nostra anche dopo la cattura di Totò Riina.
E in relazione al progetto di partito Sicilia Libera, che coinvolgeva Cosa nostra e ‘ndrangheta, di cui riferirà tra gli altri anche Calvaruso, il Gip scrive che «è un ulteriore elemento di conferma all’esistenza di una componente riservata delle mafie storiche, nella specie di quella siciliana. Si corrobora, pertanto, quanto va emergendo in ordine alla capacità relazionale della ‘ndrangheta con Cosa Nostra e, in particolare, alla capacità di entrambe le associazioni mafiose storiche di interloquire mediante i loro componenti riservati».
Per ora mi fermo ma domani torno con una sorpresa.
r.galullo@ilsole24ore.com
5 – to be continued
(si leggano
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