Cari e amati lettori di questo umile e umido blog, da ieri scrivo dell’indagine Mammasantissima della Procura di Reggio Calabria (ma molto ne ho già scritto anche sul Sole-24 Ore).
Come spiegavo ieri, per capire a fondo questa indagine e tutte le sue variegate sfaccettature, una più importante dell’altra, bisogna riannodare il filo della storia e ripartire dal 4 dicembre 1992 e da una storica deposizione in Commissione parlamentare antimafia del pentito di San Cataldo (Caltanissetta) Leonardo Messina.
Messina – a proposito delle quattro mafie – dirà che si trattava di «nomignoli» e, guarda tu la vita, quando Pasquale Condello, il cosiddetto “supremo” (non a caso) di ‘ndrangheta verrà arrestato dirà sprezzante al pm Giuseppe Lombardo dopo la cattura: «Siamo solo nomi. Nomi». Condello – che fesso non è – sapeva che Lombardo, prima o poi, partendo da quei «nomi, solo nomi», che potevano essere più o meno facilmente sostituiti nelle gerarchie, avrebbe affondato il dito in una piaga putrescente dove i “riservati” e gli “invisibili” erano gli unici a non ammalarsi e a suo modo voleva metterlo in guardia dal rischio di entrare in un gioco, di falconiana memoria, «troppo grande».
Per essere sicuro che il concetto non fosse chiaro bensì chiarissimo, il pentito Messina dirà una cosa che, riletta alla luce della ‘ndrangheta unitaria, suona come una beffa o, se si preferisce, come il rammarico per il troppo tempo perso a rincorrere, seppur doverosamente, principalmente un’Apecar: «Il vertice della ‘ndrangheta è Cosa nostra. I soldati non sanno che appartengono tutti ad un’unica organizzazione. Lo sa il vertice. Altrimenti uno come me che girava l’Italia avrebbe conosciuto tutti e invece non deve essere così. E’ il vertice che deve conoscere». E poco prima Messina aveva detto: «La Sacra corona unita è un’espressione dei palermitani». E prima ancora che «la camorra è la nostra commissione regionale…Sapevo che c’era la struttura. Mi hanno presentato ritualmente delle persone che voi chiamate camorristi».
Un altro pentito siciliano, Gioacchino Pennino, il 25 febbraio 2014 dirà ai pm reggini: «Confermo che mio zio Gioacchino Pennino mi confidò di essere stato da latitante, negli anni 60’, ospite dei Nuvoletta nel napoletano. La cosa non deve sorprendere in quanto Cosa Nostra, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita, sono da sempre unite fra loro. Sarebbe meglio dire sono una “cosa sola”. Da lì mio zio, come mi raccontò, si recava in Calabria dove, mi disse, che aveva messo insieme massoni, ‘ndrangheta, servizi segreti, politici per fare affari e gestire il potere. Una sorta di comitato d’affari perenne e stabile».
Francesco Onorato, già appartenente al mandamento palermitano di San Lorenzo, nel corso dell’interrogatorio del 28 gennaio 2014, dirà sempre al pm Lombardo: «…Ho iniziato a collaborare con la giustizia nel 1996 fino a quel momento ero componente del Mandamento di San Lorenzo guidato da Salvatore Biondino. Ero reggente della famiglia di Partanna- Mondello. Ero reggente dal 1987 e lo sono stato fino al 1993, epoca in cui sono stato arrestato per l’omicidio Lima, come mandante (…) Dopo la morte di Paolo De Stefano, furono i Piromalli, in particolare Peppe Piromalli e, anche Luigi Mancuso, i referenti di Cosa Nostra in Calabria. Quando dico referenti intendo dire che facevano parte di Cosa Nostra, come Nuvoletta, Zaza e Bardellino in Campania. Ciò mi fu spiegato da Salvatore Biondino. “Fare parte” significava che ci si consultava, ci si scambiava favori, anche omicidi. Per quanto riguarda gli omicidi Cosa Nostra quando chiedeva un favore ai referenti calabresi o campani, partecipava in prima persona con propri uomini all’esecuzione dei delitti. Ad esempio …omissis….».
E su quell’omissis, state certi, la Dda di Reggio indagherà.
Per ora mi fermo qui ma domani proseguo.
r.galullo@ilsole24ore.com
2 to be continued
(SI LEGGA
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