L’operazione “Fata Morgana” di ieri della Dda di Reggio Calabria – qualora confermata anche in sede processuale ma prima ancora, a breve, dal Gip che si pronuncerà sui fermi – sarebbe la testimonianza plastica che le logge occulte, in determinate aree del Paese, in primis Calabria e Sicilia, sono la cabina di regia dell’economia pubblica e privata. In ultima istanza, in regioni dove il pane manca e il welfare è rappresentato da pensioni di anzianità, vecchiaia e falsa invalidità sono, dunque, il baricentro malato della società.
A Paolo Romeo (avvocato, ex deputato Psdi della Repubblica, condannato a 3 anni in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, sodale dei De Stefano e per tutti questi motivi re osannato in terra propria) e ad Antonio Marra (avvocato anch’egli) sono stati infatti, tra gli altri, contestati alcuni delitti della cosiddetta legge Anselmi (legge 25 gennaio 1982, n. 17, “Norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata loggia P2).
Si considerano associazioni segrete, come tali vietate dall’articolo 18 della Costituzione, quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale (articolo 1).
Chiunque promuove o dirige un’associazione segreta, ai sensi dell’articolo 1, o svolge attività di proselitismo a favore della stessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La condanna importa la interdizione dai pubblici uffici per cinque anni (articolo 2).
Il tutto – per i due – aggravato dalle modalità mafiose (articolo 7 della legge 12 luglio 1991, n 203). Questo è quanto si legge nel decreto di perquisizione firmato il 9 maggio da 4 pm, che ieri ha toccato loro e altre decine e decine di soggetti, alcuni dei quali, incredibilmente appellati da alcuni giornalisti e analisti come “insospettabili” anche se tutta Reggio, dall’infante al dotto, sa chi comanda, dove e come in tutta la regione e su per li rami che si spingono fuori dai miseri e consumati confini calabresi. Sono gli insospettabili appellati dalla Dda di Reggio (che su questo, da anni, sta scavando con quella di Palermo) come “invisibili”, perché vivono nell’ombra e raramente salgono alla luce.
Una storia già vista (nel passato remoto e in quello prossimo) ma che agli analisti, ai giornalisti, ai politici e alla classe dirigente di questo sgarrupato Paese fa comodo rimuovere dal momento che all’interno di quei centri di poteri occulti e invisibili ci sguazzano in compagnia di professionisti al soldo, imprenditori, finanzieri e servitori infedeli dello Stato.
Sono quelli che Natale Torregrossa, membro autorevole del (fu) “circolo Scontrino” di Trapani, ha autorevolmente definito «logge selvagge» (ci tornerò anche domani).
Già, logge “selvagge” – e chi se ne fotte se hanno o meno riconoscimenti ufficiali dell’una o dell’altra obbedienza massonica – all’interno delle quali, clandestinamente e segretamente, fare il bello (per sé e per un’accolita di proseliti) e il cattivo (per tutti gli altri) tempo.
Con l’indagine di ieri – che, ripetiamo, dovrà passare nelle prossime ore un primo importante vaglio, ancor prima di una, statene certi, eventuale e procellosa navigazione nelle aule giudiziarie – la Dda di Reggio Calabria (Pm Rosaria Ferracane, Giuseppe Lombardo, Luca Miceli, Stefano Musolino e delega alla Gdf del colonnello Alessandro Barbera che sta facendo da anni con i suoi uomini, a partire dal Nucleo di polizia tributaria agli ordini del tenente colonnello Luca Cioffi, un lavoro straordinario) sta cercando di scoperchiare l’”ovvio calabrese” (scusate il neologismo che varrebbe anche per altre regioni del Sud, a partire dalla Sicilia). Vale a dire che il centro di governo della cosa pubblica calabrese è fuori dalle Istituzioni e che la cosa privata è privata. Si, nel senso che è “privata” delle leggi di mercato e sana e leale concorrenza, come ieri ha ripetuto, disperato perché forse anche lui ha capito che la Calabria è una regione irrecuperabile, il capo della Procura Federico Cafiero De Raho.
Certo, tutto va provato ed è per questo che nessuno emette – a partire da questo umile e umido blog – sentenze di giudizio o condanna sui singoli professionisti, politici, amministratori, funzionari pubblici, uomini dello Stato, chiamati in causa da questa indagine. Li lasciamo, li lascio al loro destino e che sia quel che la Giustizia dovrà.
I singoli – dunque, sappiate – contano ma relativamente perché quel che conta in Calabria e nel Sud è il “sistema” che li pone al centro del proscenio finanziario/economico/criminale. Ed è per questo che se la Politica (badate alla P maiuscola) non rimuoverà ciò che tiene in ostaggio la civiltà e la democrazia di questo Paese, si potranno fare tutte le retate e le indagini di questo mondo ma il sistema criminale integrato, occulto e “selvaggio” sarà comunque in grado di rimuovere e rimpiazzare le pedine cadute o mangiate. Un organismo autoimmune e ad alto tasso di (ri)produzione.
La Dda ha riportato alla luce una vecchia conoscenza – già condannata in via definitiva per concorso esterno in associazione ‘ndranghetistica! – come l’avvocato Paolo Romeo, ma quest’ultimo è solo una pedina di un gioco molto ma molto più grande che la Procura di Reggio Calabria sta tirando fuori da anni dal congelatore.
Di questo, però, continuo a raccontare da domani.
1 – to be continued