Caso Catania/2 Le voragini nella normativa antimafia della Regione Sicilia messe nero su bianco

Amati lettori di questo umile e umido blog, da ieri dedico una serie di approfondimenti al cosiddetto “caso Catania”, vale a dire a quelle conclusioni della Commissione antimafia regionale siciliana (presidente Nello Musumeci, relatore Stefano Zito), presentate il 29 dicembre 2015,  consegnate alla presidenza dell’Ars il 5 gennaio e tornate di grandissima attualità in questi giorni (si veda il link a fondo pagina relativo al primo servizio).

Voglio essere ancora una volta (come sempre) chiaro e diretto. Dopo aver scritto che una commissione di accesso prefettizia rappresenterebbe la migliore garanzia di trasparenza per la stessa amministrazione etnea, scrivo in maniera altrettanto chiara e diretta che il caso Catania dimostra in maniera inequivocabile che il Legislatore (sia esso regionale, statale e spesso anche europeo) è abilissimo nel costruire sistemi legislativi garantisti fondati sulla sabbia.

Al di là dei nomi – francamente nella mia analisi ciò che interessa è il quadro di sistema che emerge – è devastante quanto la Commissione antimafia regionale siciliana scrive infatti a proposito di una falla normativa grande come una voragine di origine meteoritico/politica che nessuno, ovviamente, in quasi 20 anni ha pensato di colmare.

La falla di sistema si riferisce alla presentazione della certificazione antimafia da parte dei candidati alla carica di sindaco o consigliere comunale.

Accade che un consigliere sia fratello di un soggetto indagato per 416 bis. L’ordinanza è del 30 giugno 2014 e dunque successiva alle elezioni comunali che si sono tenute a Catania il 9 e 10 giugno 2013. La Commissione antimafia regionale – oltre a contraddirsi, perché spiega che non tocca a lei evidenziare la sussistenza di ipotesi di reato ma afferma, sicura, allo stesso tempo che il fratello del consigliere ha un ruolo indubbio in un’organizzazione mafiosa – spiega però che se anche l’indagine nei confronti del fratello fosse arrivata prima dell’autocertificazione antimafia negativa del fratello candidato, nulla sarebbe cambiato.

La normativa siciliana, infatti, presenta una voragine nella rete che la stessa Commissione antimafia regionale mette nero su bianco, allorché scrive che l’articolo 1, comma 8 della legge 35/97 è «una norma del tutto inutile» poiché «obbliga a dichiarare la “mafiosità” soltanto degli ascendenti e discendenti di primo grado! Se, come è il nostro caso, esiste un caso di sottoposizione a provvedimento custodiale di un proprio fratello, il consigliere non avrebbe dovuto in ogni caso dichiararlo. Peraltro il provvedimento reca la data del 30 giugno 2014: al momento della presentazione delle candidature, ne consegue, anche una diversa previsione avrebbe dato luogo ad una autocertificazione negativa».

Ed effettivamente, se andate a leggere la normativa in questione – io l’ho fatto e per questo la riporto testualmente – si scopre che «I candidati alle cariche  di  sindaco o consigliere  comunale devono aggiungere  alla  documentazione  già  prescritta  apposita dichiarazione, da rilasciare davanti a pubblico ufficiale, attestante se gli stessi sono stati raggiunti, ai sensi  dell’articolo  369  del codice  di  procedura penale, da informazione di garanzia relativa al delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso; se sono stati  proposti per una  misura di prevenzione; se sono stati fatti oggetto di avviso orale ai sensi dell’articolo 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423; se sono coniugati, ovvero conviventi con persona condannata, con sentenza anche non passata in  giudicato  per associazione per delinquere  di  stampo  mafioso; se gli stessi, i coniugi o i conviventi, siano parenti di primo  grado,  o legati da vincoli di affiliazione, con soggetti condannati, con sentenza anche non passata in giudicato, per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso. La mancata dichiarazione produce l’esclusione del candidato».

Ci sono voluti 19 anni perché l’Assemblea regionale siciliana si accorgesse della falla. Ce ne vorranno almeno altri 20 prima che si inizi a parlare di una modifica. Sia ben chiaro: parlarne. Solo parlarne. La cosa migliore che sappia fare questa politica.

r.galullo@ilsole24ore.com

2       – To be continued (per la precedente puntata si legga http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/03/15/caso-catania1-regione-sicilia-preoccupata-per-le-frequentazioni-di-alcuni-consiglieri-comunali-parola-al-ministro-dellinterno/)