Cari amici di questo umile e umido blog tre settimane fa (rimando al link a fondo pagina) ho cominciato ad analizzare l’audizione del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo il 13 settembre davanti alla Commissione bicamerale presieduta da Rosy Bindi.
Ieri ho proseguito cominciando a descrivere gli spunti investigativi finora trascurati che il pm antimafia ha spiattellato alla Commissione presieduta da Bindi. Nel servizio di ieri (al quale rimando a piè di pagina) ho descritto la drammatica telefonata tra il pentito Santino Di Matteo e la moglie che non è stata più approfondita. Forse perché chiama in causa quei soggetti “esterni” a Cosa nostra che possono essere intervenuti nella strategia stragista dei corleonesi. Il tempo per rimediare c’è.
Oggi vi descrivo cosa Di Matteo ha invece raccontato a proposito di una strana vicenda che vede co-protagonista un ufficiale molto stimato del Ros dei Carabinieri, l’allora capitano Umberto Sinico.
Il giorno dopo la strage di via D’Amelio (non un anno dopo ma il giorno dopo afferma Di Matteo ai commissari antimafia e dunque si presume che la notte non solo abbia portato consiglio all’ufficiale ma che i ricordi fossero vivi) si presentò in procura a Palermo e ad alcuni magistrati – Di Matteo ricorda Antonio Ingroia ma forse anche un altro magistrato di cui in audizione non ha rammentato il nome – disse di aver saputo che nel momento immediatamente successivo all’esplosione in via D’Amelio era stato visto Bruno Contrada allontanarsi dal teatro della strage. «Adesso non ricordo se disse anche con un’agenda in mano. Questo all’indomani della strage. Presidente, il collega Ingroia – afferma Di Matteo e lo si può leggere nero su bianco sulla trascrizione dell’audizione sul sito della Commissione antimafia – riferì immediatamente a verbale questi fatti a chi conduceva le indagini all’epoca. Boccassini, in particolare, prese a verbale il dottor Ingroia. Io questo lo leggo poi quando, nel 1995, comincio a sfogliare le carte delle indagini precedenti. Sinico era stato chiamato dalla dottoressa Boccassini e, alla domanda “Chi è la persona che le ha detto questa cosa?”, aveva risposto: “Dottoressa, siccome si tratta di un mio amico fraterno e non lo voglio esporre, io non le dico chi è questa persona”. Dal 1992 fino a quando il giovane pubblico ministero, nel 1995 mi pare, prende queste carte e legge questo verbale, quest’affermazione di Sinico bloccò l’indagine sul punto. Io lessi questa cosa, andai dal procuratore dell’epoca e dissi: “Questo ufficiale non può invocare il diritto a non rivelare la fonte della sua informazione, perché non ha nemmeno detto “Si tratta di un mio confidente”, quindi non può invocare la possibilità del segreto dell’identità della fonte. Ha detto: “Si tratta di un mio amico”. È una giustificazione che non sta né in cielo, né in terra. È stato reticente”».
Di Matteo richiamò Sinico (che tra l’altro era stato indicato, poco prima della strage di via D’Amelio, da un confidente come possibile oggetto di un attentato assieme a Borsellino) era un ufficiale particolarmente efficace ed esposto nella lotta alla criminalità. Ecco cosa racconterà testualmente a verbale: «Pubblico ministero, lei ha ragione e ha coraggio, però io mi faccio incriminare. Non si tratta di una mia fonte confidenziale, ma di un mio amico e io non rivelo il nome di chi ha visto o ha saputo che Contrada era in via D’Amelio».
UN SABATO POMERIGGIO
Di Matteo lo iscrisse nel registro degli indagati per false informazioni al pubblico ministero. Quando lo stava per rinviare a giudizio, Sinico si presentò spontaneamente. «Mi ricordo che era un sabato pomeriggio – continua nel suo racconto alla Commissione antimafia Di Matteo –. Mi trovò per caso in procura, perché di solito il sabato pomeriggio me ne stavo a casa, e mi disse: “Ho deciso di fare il nome”. Siccome nel frattempo altri ufficiali dei Carabinieri avevano detto di aver saputo da Sinico la stessa cosa, io avevo messo a confronto gli ufficiali dei Carabinieri. In una prima fase Sinico aveva detto a Carmelo Canale: “No, tu ti stai inventando tutto”. Poi venne e disse: «Guardi che Canale non si è inventato niente. Il soggetto che mi ha detto di aver saputo nell’immediatezza che Contrada era lì era un funzionario di Polizia, il dottor Di Legami”, il quale prima era un sottufficiale del Ros, poi aveva vinto il concorso in Polizia ed era passato alla Squadra mobile. “Mi ha detto che la stessa sera del 19 luglio alla Squadra mobile alcuni agenti di Polizia che erano sopraggiunti per primi sul luogo della strage avevano visto Contrada in via D’Amelio. Avevano preparato una relazione di servizio che attestasse questa circostanza e gli era stato intimato di non presentarla, anzi di distruggerla”. A fronte di questo, quindi, da una parte, Sinico dice: “È stato il mio amico fraterno, dottor Di Legami. Ve lo può confermare anche un altro ufficiale del Ros, tale tenente Del Sole, che era con me quando lui mi disse questa cosa”. Io disposi dei confronti, presidente, tra ufficiali dei Carabinieri e stimati – tutti stimati, da una parte e dall’altra – funzionari di Polizia. Uno diceva “Tu mi hai detto che c’era Contrada”, l’altro, il dottor Di Legami, ribatteva (si davano del tu perché erano amici fraterni): “Tu stai dicendo una bugia e io so perché la stai dicendo”. Io l’invitavo e dicevo: “Lo dica perché avrebbe dovuto l’ufficiale dei Carabinieri…”».
Insomma, la presenza di Contrada o meno in via D’Amelio al momento della strage non è che fosse un argomento e una circostanza di contorno! Da una parte due ufficiali dei Carabinieri e dall’altra un funzionario della Polizia di Stato che dicevano il contrario, al punto che quando Di Matteo da Caltanissetta venne trasferito a Palermo scelse di esercitare l’azione penale.
E qui riparte il racconto del pm antimafia in Commissione. «Si è tenuto un processo, signor presidente, che è passato completamente sotto silenzio – dirà Di Matteo –. Probabilmente anche voi, che siete ed eravate informati, non ne avete avuto notizia, all’epoca. Si è tenuto un processo per false informazioni al pubblico ministero nei confronti del dottor Di Legami (che nel frattempo dalla Polizia di Stato venne destinato a un incarico internazionale all’Aja) che si è concluso con un’assoluzione. Però, il di fatto è che, se non ha mentito Di Legami, allora avrebbero mentito gli ufficiali del Ros».
Già: chi ha mentito?
Beh ora mi fermo ma vi do appuntamento a domani
3 – to be continued (per le precedenti puntate si leggano