Se camminate per Vibo Valentia ogni 18 maschi residenti e maggiorenni che incontrate, avrete la possibilità concreta che almeno uno sia massone. Se anche voleste aggiornare la statistica all’intera provincia, uno ogni 91.
Questo solo a prendere per buoni i numeri (datati di un paio di anni) che si riferiscono alle quattro officine di Vibo del Grande oriente d’Italia, Carducci, Monteleone, Murat e Musolino, oltre alla storica loggia Michele Morelli e che indicano in (almeno) 700 gli iscritti.
Se aggiungiamo oltre alle 5 logge del Goi anche quella del Glri, la Gran loggia regolare d’Italia – che però si riunisce a Palmi – allora capirete chi conta davvero a Vibo Valentia. E per non farsi mancare niente, a Vibo c’è anche la loggia Giovanni Pasquale Francica della Sovrana Gran loggia garibaldini d’Italia (non mi chiedete cosa sia). Insomma, nel vibonese c’è un’irresistibile, irrefrenabile e incontrollabile voglia di grembiulini, guanti e compassi. Tutto alla luce del sole e – ovviamente – tutto legittimo.
Non c’è professione che non conti massoni ma se ce n’è una che non sa più dove metterli, ebbene quella è la professione legale. «Ho perso il conto di quante volte mi abbiano chiesto di affiliarmi – dice al Sole-24 Ore un avvocato molto noto in città che preferisce però, chissà perché, non svelarsi per pudicizia mista a sorpresa per la domanda posta – ma ho sempre rifiutato. Sono ormai una mosca bianca e quel che noto è che tra i giovani colleghi c’è una corsa all’iscrizione. In questa provincia la corsa alle logge scatta nella speranza, non ho idea se vana o meno, di campare e di agganciare le persone giuste per campare». Legittimo e – verrebbe da pensare – anche reale.
Magari le statistiche andrebbero aggiornate.
E SE CI FOSSERO ANCHE MAGISTRATI?
Che tra gli avvocati ci siano flotte di massoni è ormai risaputo (in Calabria soprattutto ma non solo) ma la domanda sorge spontanea: e se nello stesso distretto giudiziario ci fossero anche magistrati e giudici iscritti alla massoneria?
A sentire in massoni non ci sarebbe alcun conflitto di interessi e del resto è come chiedere all’oste se il vino è buono. Ma – con tutta evidenza – non è così.
Della questione della iscrizione dei magistrati alla massoneria si sono occupati sia il Consiglio superiore della magistratura che la Corte di cassazione. Il Csm ha affermato in termini chiarissimi l’incompatibilità dell’esercizio delle funzioni di magistrato con l’appartenenza alla massoneria e conseguentemente sono stati avviati, dopo il rinvenimento delle liste degli iscritti alla P2, procedimenti per trasferimento di ufficio e disciplinari nei confronti di magistrati risultati iscritti a logge massoniche, siano esse segrete o no. Ripeto: siano esse segrete o no.
Affiliarsi alla massoneria non è reato (tranne se si tratti di associazioni segrete) ma per quanto riguarda i magistrati il Csm ha ritenuto l’incompatibilità della affiliazione con l’esercizio delle funzioni di magistrato perché la caratteristica delle logge massoniche è quella di «un impegno solenne di obbedienza, solidarietà e soggezioni a principi e a persone diverse dalla legge», che finisce con il determinare «come conseguenza inevitabile una menomazione grave dell’immagine e del prestigio del magistrato e dell’intero ordine giudiziario (…)».
La Corte di Cassazione a sezioni unite civili, con la sentenza del 6 dicembre 1995, giudicando in sede disciplinare, ha ritenuto l’affiliazione alla massoneria astrattamente configurabile come illecito disciplinare. In questo senso – come ha ricordato il 12 giugno 2016 su www.siciliainformazioni.it l’ex magistrato Alberto Di Pisa – si è sempre mossa almeno a partire dagli anni 90, la sezione disciplinare del Csm che ha ritenuto illecito disciplinare l’adesione di un magistrato ad una loggia massonica anche non segreta dato che trattasi «di associazione caratterizzata da diffusi aspetti di segretezza, da vincoli interni particolarmente intensi, da legami persistenti e da tenaci influenze tra gli aderenti che confliggono con i valori costituzionali di imparzialità e indipendenza della funzione giudiziaria».
Sempre la Cassazione, 5a sezione penale, sentenza n. 1563 / 98, giudice Alfonso Amatucci statuì: «Il giudice massone può essere ricusato dall’imputato, in quanto l’appartenenza a logge preclude “di per sé l’imparzialità” del magistrato» perché «essere iscritti alla massoneria significa vincolarsi al bene degli adepti, significa fare ad ogni costo un favore. E l’unico modo nel quale un magistrato può fare un favore è piegandosi a interessi individuali nell’emettere sentenze, ordinanze, avvisi di garanzia».
L’art 2 comma 6, della legge n.150 del 2006, nel tipizzare gli illeciti disciplinari dei magistrati, infine, ha previsto che costituisca illecito disciplinare, al di fuori delle funzioni «la partecipazione ad associazioni segrete o i cui vincoli siano oggettivamente incompatibili con l’esercizio delle funzioni giudiziarie. In precedenza, il Consiglio Superiore, con due risoluzioni rispettivamente del 22 marzo 1990 e 14 luglio 1993 aveva stabilito l’incompatibilità tra iscrizione alla massoneria ed esercizio della funzione giudiziaria».
Al termine di questa ricognizione disciplinare, normativa e di interpretazione ripongo la domanda: e se a Vibo ci fossero magistrati e giudici iscritti alle stesse logge degli avvocati?
Gli “uccellini” di Vibo cinguettano che nel passato (cinguettano sempre del passato perché del presente han paura e dunque l’omertà vince sula sete di verità) questa era una cosa che capitava e gli stessi “uccellini” cinguettano che poi quegli stessi magistrati e giudici hanno avuto successo anche fuori dai propri profili professionali, nel momento in cui hanno intrapreso altre strade. Cinguettii sui quali – mi domando – se mai il Csm abbia messo il nasino. Domanda retorica, lo so.
I SANDALI NELLA POLVERE
Una massoneria talmente importante quella vibonese – le radici affonderebbero addirittura nel 1784 – che il volume “Massoneria Vibonese – Storia della Loggia Michele Morelli nelle carte e nella memoria del Gran Maestro d’oriente Ugo Bellantoni” scritto da Francesco Deodato e Rosario F. Dibilio edito per i tipi di Calabria Letteraria Editrice, ha contato sulla presentazione dell’avvocato Marcello Colloca, presidente del collegio circoscrizionale dei maestri venerabili della Calabria e sulla prefazione del Gran maestro del Goi Stefano Bisi mentre la postfazione è stata redatta da Luigi Milazzi, Sovrano gran commendatore del Rito scozzese antico e accettato per l’Italia. L’avvocato Colloca il 4 marzo 2014 in occasione dei 220 anni della massoneria, disse che «la massoneria calabrese, forte delle sue tradizioni e della sua cultura, rappresenta una splendida realtà e un lievito sempre più potente e vigoroso per una regione che ormai da troppo tempo ha particolarmente bisogno di uomini che credono anche nelle cose impossibili, se non addirittura nelle utopie».
Una massoneria talmente importante, quella vibonese, che l’avvocato Ugo Bellantoni è stato Gran II Sorvegliante dal 20 marzo 2004 al 5 aprile 2009 del Goi.
E già, la massoneria vibonese ha un ruolo straordinario innanzitutto in Calabria e in tutta Italia e dunque non può sorprendere che Bisi il 14 febbraio 2015, proprio nella loggia Morelli, dirà che «lascerò la Calabria con sempre negli occhi questa grande e sentita partecipazione di tantissimi fratelli. Ai quali voglio ricordare questa bella frase che mi è stata scritta da un vostro corregionale e che dice: Bisogna andare avanti con i sandali nella polvere e la testa nel cielo. Noi massoni dobbiamo farla nostra e cercare di attuarla sempre nei pensieri e nelle azioni. Dobbiamo capire tutti che c’è un tempo per parlare ed un tempo per tacere. Il rispetto dei ruoli e delle regole deve essere chiaro. Chi fa delle litigiosità un modo di vita si pone al di fuori dell’Istituzione» (fonte: Erasmo notizie, Angelo Di Rosa).
Non c’è dubbio alcuno che Vibo e tutta la Calabria «vanno avanti con i sandali nella polvere e la testa nel cielo».
r.galullo@ilsole24ore.com