Il 24 marzo 2015, alla fine dell’audizione del capo della Procura di Tivoli Luigi De Ficchy, il presidente della commissione parlamentare d’indagine sul rapimento e la morte di Aldo Moro, Giuseppe Fioroni (Pd) fu risoluto: «Credo che possiamo decidere, senza andare in ufficio di presidenza, di dare delega al dottor Donadio (Gianfranco Donadio, pm consulente, ex procuratore della Direzione nazionale antimafia, ndr) di seguire anche, oltre alla vicenda di Nirta e di tutti gli altri elementi della ’ndrangheta, anche le piste, che a me colpiscono molto, di Selis e della banda della Magliana, di Cutolo e della mafia, in relazione a quanto ci ha riferito il dottor De Ficchy circa la mancata reperibilità di coloro che erano interessati per la ricerca di Moro».
E’ stato di parola e, come ha raccontato questo blog nel corso degli anni precedenti all’insediamento della Commissione parlamentare e poi seguendone espressamente il profilo dell’eventuale presenza e/o gestione del rapimento da parte delle mafie, il 22 gennaio 2015, in trasferta a Genova, una delegazione della Commissione bicamerale di inchiesta sul sequestro e la morte di Moro aveva già incontrato il generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo (si veda http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/10/07/esclusivo-il-generale-nicolo-bozzo-riapre-il-capitolo-della-presenza-della-ndrangheta-nel-sequestro-di-aldo-moro/) .
Il 4 febbraio 2015 Donadio ha presentato una prima relazione concernente possibili adempimenti istruttori riguardanti la strage di via Fani (verosimilmente anche per questo il 22 febbraio 2015 la polizia scientifica ha effettuato nuovi rilievi con tecniche all’epoca impensabili in Via Fani, con l’auspicio di trovare novità rilevanti, espresso dal vicepresidente della Commissione Gero Grassi) e l’Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 18 febbraio ha incaricato Donadio di effettuare due missioni, rispettivamente, a Trieste e a Reggio Calabria, per svolgere attività ricognitiva di documentazione e di risultanze di indagini (si legga http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/03/04/morte-aldo-moro-riesplode-il-mistero-sulla-ndrangheta-in-via-fani-donadio-in-missione-in-calabria-i-racconti-dei-pm-marini-e-ionta/).
Il 21 gennaio di quest’anno Il Messaggero di Roma, con un articolo di Italo Carmignani, ha pubblicato una foto che risale al 16 marzo 1978. Ritrae la Fiat 130 che ospita il presidente della Dc, l’Alfa Romeo della scorta, i corpi dei carabinieri uccisi dalle Br, i curiosi e un uomo con la sigaretta, dall’aria amletica tra l’indifferente e l’interessato. Quella foto del reporter Gherardo Nucci darà ancora più sprint alla commissione parlamentare, che decise di dare un’identità a quell’uomo misterioso comparandolo con la faccia di Antonio Nirta, esponente di spicco della ‘ndrangheta.
Di Nirta questo blog ha raccontato tanto negli anni e dunque rimando ai link a fondo pagina. Riassumo però brevemente: Nirta, nato a San Luca (Rc), l’8 luglio del ’46, è il nipote del capo clan suo omonimo, morto a 96 anni nel 2015. A tirarlo in ballo per il caso Moro fu inizialmente il pentito della ‘ndrangheta Saverio Morabito, secondo cui Nirta, detto ”due nasi” per la sua confidenza con la doppietta, sarebbe stato confidente del generale dei carabinieri Francesco Delfino e uno degli esecutori materiali del sequestro di Aldo Moro.
Il 21 gennaio 2016, giorno del servizio del Messaggero, la Commissione parlamentare ascolta Ansoino Andreassi, che durante le settimane del sequestro Moro, dirigeva il commissariato del quartiere Montesacro di Roma. All’inizio del giugno del 1978 fu trasferito alla Digos di Roma, dove rimase fino al gennaio 1984. Ha seguìto varie indagini, anche in contatto con organi di polizia di altri Paesi europei, relative al sequestro e all’assassinio di Aldo Moro e alla strage della sua scorta.
Ad un certo punto il presidente Fioroni gli chiede: «Ha mai inteso parlare nella sua attività di passaggi di armi tra una parte della ’ndrangheta e le Br anche prima del sequestro Moro?». E Andreassi: «Ne ho sentito parlare, ma… ». Fioroni: «Non se ne è mai occupato». Chiude Andreassi: «Non me ne sono mai occupato. Nirta, ma… ».
La Commissione d’inchiesta va avanti su questa pista senza tentennamenti e il 22 aprile 2016 il colonnello dei Carabinieri Leonardo Pinnelli, consulente della Commissione, deposita una nota, riservata, con allegata fotografia di Antonio Nirta risalente al 1976-1977 (poco prima del rapimento e dunque confrontabile)
Il 13 maggio 2016 il colonnello Pinnelli deposita una nota, riservata, relativa ad Antonio Nirta, con allegata documentazione fotografica.
Il 17 maggio 2016 la Commissione incarica il Reparto investigazioni scientifiche dell’Arma dei carabinieri di svolgere una comparazione sulla documentazione fotografica relativa a Antonio Nirta.
Il 24 maggio 2016 il colonnello Pinnelli trasmette una nota, riservata, con allegata documentazione fotografica relativa a Antonio Nirta, che sarà trasmessa al Reparto investigazioni scientifiche dell’Arma dei carabinieri.
Infine il 13 luglio 2016 Fioroni dirà: «Grazie alla collaborazione del Ris dell’Arma dei carabinieri, possiamo affermare con ragionevole certezza che il 16 marzo del 1978 in via Fani c’era anche l’esponente della ‘ndrangheta Antonio Nirta. Il comandante del Ris, Luigi Ripani che ringrazio per la collaborazione, ha inviato in questi giorni l’esito degli accertamenti svolti su una foto di quel giorno, ritrovata nell’archivio del quotidiano romano Il Messaggero, nella quale compariva, sul muretto di via Fani, una persona molto somigliante al boss Nirta. Comparando quella foto con una del boss, gli esperti sostengono che la statura, la comparazione dei piani dei volti e le caratteristiche singole del volto mostrano una analogia sufficiente per far dire, in termini tecnici, che c’è l’assenza di elementi di netta dissomiglianza. E’ in corso una analoga perizia sul volto di un altro personaggio legato alla malavita e che comparve tra le foto segnaletiche dei possibili terroristi il giorno dopo il 16 marzo: si tratta di Antonio De Vuono, killer spietato, morto nel 1993 in un carcere italiano. Le informazioni che abbiamo fin qui acquisito – conclude Fioroni – ci consentono di dire che la relazione di fine anno sulla nostra attività sarà di grande interesse per tutti coloro che chiedono di conoscere la verità del delitto di via Fani».
Onore al merito della perseveranza di una Commissione che ha lavorato sottotraccia, senza clamore, con perseveranza e professionalità. Chi pensava (tantissimi) che il suo compito fosse inutile, è servito. E le soprese d’indagine e investigative non sono certo finite.
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