A furia di sentirci raccontare che la lotta alle mafie fa passi in avanti, non solo finiamo con il crederci ma perdiamo di vista la realtà che procede.
E’ questa la sensazione che ho avuto – ancora una volta – leggendo la relazione della Dia (la Direzione investigativa antimafia guidata dal generale Nunzio Antonio Ferla) relativa al 1° semestre 2015, consegnata da pochi giorni al Parlamento.
Non solo – infatti – le mafie italiane continuano a imperversare ma da un po’ di tempo a questa parte anche le mafie straniere si aggiungono allo scenario criminale, non più con un ruolo di mero sostegno a Cosa nostra, ‘ndrangheta, casalesi e Sacra corona unita ma di vero e proprio protagonismo criminale.
Non è neppure quest’ultima una novità assoluta ma stride in maniera evidente con il prolungato e continuo torpore dell’opinione pubblica sulla quale le evoluzioni della criminalità organizzata scivolano come olio sull’acqua.
CONVERGENZE
Le organizzazioni mafiose autoctone e i gruppi criminali stranieri non si muovono su piani necessariamente contrapposti – si legge nella relazione della Dia – ma manifestano sempre più frequentemente convergenze in cui questi ultimi diventano strumentali a strategie criminose di più ampia portata.
È il caso dell’indagine “Aemilia”, ricorda la Dia, condotta contro la cosca Grande Aracri di Cutro (Catanzaro). Le investigazioni hanno svelato il ruolo di un uomo e di una donna di origini tunisine pienamente inseriti nelle attività criminose e parti attive nelle operazioni di reimpiego dei proventi illeciti. Parallelamente, due prestanome cinesi erano preposti alla gestione di un locale notturno, mentre un albanese concorreva nelle attività estorsive. «Ne emerge uno spaccato significativo di una compenetrazione criminale multietnica che vede i criminali stranieri superare, a volte – si legge nella relazione – la posizione di meri gregari nell’ambito dell’organizzazione».
Questo apporto, sebbene con modalità meno partecipative e più rivolte a forme di cooperazione, si registra anche al sud, dove le attività illecite rimangono comunque subordinate al diretto controllo della criminalità organizzata. Il traffico di droga ne è un esempio classico. Si assiste, infatti, sia a traffici internazionali nei quali gli stranieri sono chiamati a svolgere attività collaterali meno remunerative, che ad operazioni in cui è evidente la capacità di gestione dell’intera filiera del narcotraffico. È il caso delle consorterie albanesi, che non solo hanno consolidato le loro basi su tutto il territorio nazionale, ma che si sono anche affermate per una capacità di operare in posizione paritaria con gli omologhi italiani inseriti in contesti mafiosi.
I PROFILI EVOLUTIVI
E’ nel paragrafo sui profili evolutivi che deve però accentrarsi l’attenzione dell’opinione pubblica. La criminalità straniera, secondo gli analisti della Dia, ha abbandonato il ruolo di manovalanza subordinata che ne aveva caratterizzato la prima fase, andando ad integrare e talvolta a sostituire i sodalizi autoctoni nella gestione di alcuni mercati illeciti. «Emblematica di questo più evoluto potenziale criminogeno – si legge da pagina 166 della relazione consegnata alle Camere – è l’operazione “Vrima”, che ha consentito agli investigatori della Dia di Bari di scoprire una raffineria di eroina, allestita e gestita sul suolo italiano da criminali albanesi».
Si profila così uno scenario in cui le manifestazioni criminali dei gruppi stranieri non attengono più esclusivamente a delitti di immediato allarme sociale (ad esempio furti e rapine) ma si proiettano verso forme di delinquenza più sofisticate. Quali? Il riciclaggio e il reimpiego diretto dei capitali illecitamente accumulati, specie nel campo immobiliare e commerciale, nelle infrastrutture turistico-ricettive, sfruttando anche le leve dei mercati finanziari. «Proprio su quest’ultimo fronte – si legge nella relazione – tali organizzazioni potrebbero ideare nuove strategie ed avvalersi di canali non ancora noti, per far circolare velocemente grossi flussi di denaro e sfuggire ai controlli delle autorità statali».
L’azione repressiva – soprattutto nell’aggressione ai patrimoni oltre che nella repressione dei reati ad opera della magistratura e delle Forze dell’ordine delegate – funziona sempre più ma ciò che manca ancora, oltre ad una diversa coscienza pubblica e ad una diffusione della cultura della legalità, è un’azione legislativa (dunque politica) davvero al passo con i tempi. Non solo in ambito nazionale ma internazionale. Alla globalizzazione delle mafie – in altre parole – non si contrappone un’analoga globalizzazione dell’azione preventiva. In tutti i campi e non solo in quello legislativo.
r.galullo@ilsole24ore.com