Due o tre cose sulla vicenda Gratteri – a mente fredda – mi sento di scriverle.
Quasi inutile ricordare il caso: alcuni giorni fa, un figlio del pm calabrese è stato raggiunto a Messina da una coppia di falsi poliziotti. Insospettito, il giovane si è barricato in casa e da lì è scoppiato – doverosamente – un putiferio che per fortuna ha garantito tutela al figlio e maggiore protezione al padre, che già vive blindato.
Nel putiferio – purtroppo – si sono inseriti i politici (che hanno fatto a gara a portare la propria solidarietà di facciata nel 101% dei casi) e molti giornalisti che hanno sapientemente mischiato in un minestrone disgustoso le intimidazioni a Gratteri figlio e quelle verso alcuni politici locali.
Come se fosse la stessa cosa e solo per dire – o far passare il messaggio – che in Calabria politica e magistratura sono sullo stesso piano: entrambe fanno della lotta ai sistemi criminali evoluti una ragione di vita. Balle. La politica calabrese (come del resto quella italiana) se ne fotte della lotta alle mafie e spesso se ne alimenta in un perverso circuito che regge in piedi una baracca che distrugge ciò che resta di questo martoriato Paese.
Vorrei sottolineare che non una parola una si è levata dall’Associazione nazionale dei magistrati (Anm) che sul proprio sito, in alto a destra, orgogliosamente riporta: «L’Anm è l’associazione a cui aderisce circa il 90% dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l’indipendenza e l’autonomia della magistratura». Maurizio Carbone, segretario generale dell’Anm, nel corso dell’ultimo congresso nazionale aveva ribadito: «Oggi l’Anm ha la rappresentanza del 90% dei magistrati italiani e abbiamo il dovere di difendere la storia e i valori in cui ci riconosciamo».
Ho controllato sul sito dell’Anm: dal 28 ottobre 2009 al 25 settembre 2015 sono stati diffusi 51 comunicati di solidarietà a magistrati intimiditi. Di Gratteri neppure l’ombra (e dire che il magistrato di Locri/Gerace potrebbe riempirci un album di figurine Panini).
Non fidandomi, nella funzione “cerca” del sito ho digitato “Gratteri”. «Trovati zero documenti» la scontata (a questo punto) risposta.
Ho verificato anche tra i comunicati stampa: l’ultimo è dell’11 novembre 2015 (delega sulla depenalizzazione).
Poi sono andato sul sito dell’Anm calabrese. L’ultimo comunicato stampa di solidarietà ad un magistrato intimidito e minacciato è del 12 dicembre 2012.
Ho verificato infine se la Rete riportasse prese di posizione individuali di singoli magistrati nei confronti del loro (fino a parola contraria) collega: a meno di abbagli di cui chiedo venia, zero.
E il Csm? Zero carbonella.
Le conseguenze traetele voi. Qualunque mio pensiero aggiunto sarebbe superfluo. Evidentemente l’Anm, la magistratura e i magistrati trovano il tempo di scoprire che c’è un collega (non iscritto) che si chiama Gratteri solo quando costui rischia di diventare ministro della Giustizia (iattura da evitare per il carico di idee innovative, alcune delle quali a scapito della sua stessa categoria, che porterebbe con sé). Ma – comunque – senza mai farne neppure il nome. «L’inopportunità che un magistrato in servizio vada a ricoprire una funzione apicale del potere esecutivo come quella di ministro della Giustizia deriva dalla necessità di non confondere i ruoli. A prescindere dai nomi e dalle qualità delle persone. Se vogliamo difendere l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione, occorre una distinzione netta con l’ambito dell’attività politica e di governo»: così si esprimeva il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli dopo la nomina del Guardasigilli nel governo Renzi (Corriere della Sera, 23 febbraio 2014).
A mio parere – ma ovviamente sbaglio – trovo che se ci fosse (e se ci fosse stato) un abbraccio in più di un collega magistrato a Gratteri (e chissenefrega se iscritto all’Anm o alla bocciofila di Rocca Cannuccia) e un comunicato stampa in meno di un qualunque politicante calabro, Gratteri sarebbe meno solo e più forte e con lui la sua famiglia e l’intera società.
Gratteri – inutile negarlo – è sempre stato isolato e lasciato ai margini del pensiero dominante (l’unico che conta) “della” e “sulla” Giustizia, che lo ha sempre tollerato con fastidio, anche alla luce del fatto che parla senza peli sulla lingua, in un mondo nel quale la lingua serve per altro. «Si occupa di droga» – è il pensiero più mite che gli ho sentito rivolgere da parecchi suoi colleghi e qualche iscritto (purtroppo) al mio stesso Ordine – come a voler dire che è figlio di un dio minore. Senza ritegno, come a voler inoltre sottolineare che loro, invece, si occupano di “ben altro”. Altro cosa? Molto qui ci sarebbe da dire ma preferisco restare aderente a queste riflessioni, sottolineando una cosa talmente banale che la capirebbero persino i suoi (tanti) detrattori: il traffico di droga ha permesso alle mafie nazionali e internazionali di cambiare la società nella quale viviamo, inquinare l’economia e stravolgere le regole della convivenza. Chi è quell’idiota (in mala fede) che può ancora pensare che dare la caccia al narcotraffico è attività residua? In vero, penso con orrore al momento in cui Gratteri lascerà l’incarico a Reggio Calabria: chi proseguirà con la stessa forza, conoscenza, rete di relazioni e conoscenze nel mondo, quella vitale battaglia dal fronte reggino?
Ammesso e non concesso (e non è infatti vero) che Gratteri si sia occupato solo di narcotraffico, faccio fatica a pensare che il gesto – indiretto – di intimidazione sia legato solo a qualche vendetta (sull’asse Italia/Sud America) di cosche e famiglie i cui guadagni milionari sono andati in fumo.
No, non sarebbe sufficiente e – soprattutto – per un gesto così eclatante non sarebbe bastata la sola scelta di qualche mammasantissima, senza una benedizione più alta e corale. E quando scrivo più alta e corale mi riferisco al fatto che la ‘ndrangheta – nella cupola che governa le sorti della Spa criminale – è azionista di minoranza seppur di grandissimo e mortale peso. Una cupola – date rette ad un vecchio imbecille come chi vi scrive – che mette nel conto di perdere qualche carico di droga ma che non tollera invadenze dei magistrati capaci in altri campi, meno redditizi ma dai quali si gioca la partita del governo delle leve marce del Paese.
Le analisi e i commenti dei più tendono a descrivere il fatto accaduto a Messina come una “prova di forza” con la quale mandare un ulteriore messaggio di morte a Gratteri. Ma siamo sicuri che quel gesto non avrebbe dovuto avere ben altro finale drammatico se il giovane non fosse stato così sveglio da tapparsi in casa? Credo che staremmo a parlare e scrivere d’altro se davvero il finale doveva essere diverso.
Chissà, forse in quel caso avremmo trovato un comunicato stampa in più.
r.galullo@ilsole24ore.com