Anche pochi giorni fa – come sta accadendo a più riprese da oltre un anno – la stampa nazionale riproponeva la possibilità di clamorose novità sulla morte di Aldo Moro, statista Dc ucciso dalle Brigate Rosse.
Non so se quanto vi racconterò oggi è destinato a sconvolgere le sorti della storia di quella morte ma so che si inserisce in un filone sul quale credo che non si siano ancora scoperte tutte le carte. O forse molte ne sono state coperte.
Il filone è quello della presenza nelle fasi del rapimento e magari anche successive, della ‘ndrangheta, con un ruolo da protagonista o di finto gregariato (erano la fine degli anni Settanta le cosche calabresi si stavano, come dire, irrobustendo).
Tante volte ne ho scritto su questo umile e umido blog e oggi torno a farlo perché – a mio modestissimo avviso – la novità è importante. Il filo narrativo e investigativo (della Commissione e non solo) sulla presenza della ‘ndrangheta lo potete trovare nei link a fondo pagina.
Ebbene il 22 gennaio 2015, in trasferta a Genova, una delegazione della Commissione bicamerale di inchiesta sul sequestro e la morte di Moro incontra il generale (in pensione) dei Carabinieri Nicolò Bozzo.
La carriera militare del generale Bozzo inizia nel 1956, quando viene ammesso a frequentare il corso preliminare allievi ufficiali di complemento. Nel gennaio 1957 è sottotenente di complemento dell’Arma. Dopo la nomina a tenente, nel 1964, viene trasferito a Milano dove ricopre diversi incarichi in differenti comandi e successivamente, divenuto tenente colonnello, a Genova, Messina e Catanzaro. Nel 1993 diviene generale di brigata e l’anno seguente torna in Lombardia. Nel 1996 cessa dal servizio permanente per età con il grado di generale di divisione ed è collocato in ausiliaria. Negli anni Settanta e Ottanta è stato tra i protagonisti della lotta contro le formazioni terroristiche, collaborando strettamente con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e ricevendo nel 1982 un encomio solenne dal Comando generale dell’Arma per i brillanti risultati conseguiti grazie alla sua azione di coordinamento dei reparti antiterrorismo nell’Italia settentrionale nel periodo 1978-81. I momenti nei quali l’attività operativa del generale Bozzo ha riguardato il caso Moro sono essenzialmente tre.
Il primo, alla fine del 1977, quando venne a conoscenza della circostanza che le Br cercavano una persona che potesse eseguire lavori di muratura in un alloggio a Roma.
Il secondo, quando durante il sequestro Moro fu chiamato a Roma e tornò a Milano dopo circa dieci giorni.
Il terzo, alcuni mesi più tardi, quando guidò l’azione investigativa che condusse alla scoperta del covo di via Monte Nevoso, nel quale i Carabinieri fecero irruzione il 1o ottobre 1978.
Una domanda (apparentemente) innocente
Quasi sul finire dell’audizione, il presidente della Commissione d’inchiesta, Giuseppe Fioroni (Pd) fa scivolare una domanda apparentemente innocente: «Lei conosceva il generale Delfino?». Fantastica la reazione del generale Bozzo: «All’anima!».
E’ bene – prima di proseguire – aprire una parentesi sul generale Francesco Delfino, figlio di “massaru peppi”, brigadiere dei Carabinieri di Platì (Reggio Calabria). Nel 1994 Saverio Morabito (pentito di ‘ndrangeta) racconta che il 16 marzo del ’78, in via Fani, insieme al commando Br, era presente anche Antonio Nirta, detto “due nasi”, presunto confidente del generale Delfino. I magistrati di Milano cercano riscontri, non ne trovano e la vicenda finisce archiviata.
Il collega Goffredo Buccini, sul Corriere della Sera del 16 ottobre 1993 scriverà: «Francesco, Franco, si fa carabiniere. In paese qualcuno lo chiama “Francu u sbirru”, ma lui se ne frega. Presto diventa un castigamatti sui sequestri. Perchè è di Platì ? Perché gli basta una telefonata in calabrese per trovare la dritta giusta? Maldicenze di gente invidiosa. Merito delle soffiate di Antonio Due Nasi? “Non ho mai conosciuto nessun Nirta durante tutta la mia carriera”, assicura “Francu u sbirru”, che nel frattempo ha combattuto i brigatisti rossi, ha lavorato a New York e al Cairo per il Sismi, è stato nominato generale. Come non credergli? In fondo, contro di lui, c’e’ solo la parola di quel piccolo garzone del ciabattino che s’è fatto mafioso. Si , la parola di Morabito. Infamie? Antonio Delfino non ha dubbi, ha solo tanta rabbia in corpo. Spiega di sentirsi offeso, calunniato. Morabito? Una razza nuova, difficile da capire…». Nel libro di Maurizio Torrealta “Il quarto livello” si legge che Delfino al pm milanese Alberto Nobili che aveva raccolto le dichiarazioni di Saverio Morabito dirà: «C’è senz’altro un errore. Non ero io quello che aveva infilitrati nelle Brigate Rosse».
Prosegue Torrealta: «Il sostituto procuratore Antonio Marini indaga e incontra un’altra pretesa comparsa di Delfino, Alessio Casimirri, brigatista rosso che secondo quanto dichiara Delfino è un suo confidente: Casimirri gli avrebbe raccontato che era in preparazione il rapimento Moro e Delfino avrebbe passato la notizia al Sismi invece che avvertire i magistrati. Il 6 giugno 1978 Delfino viene promosso al Sismi con incarichi in diverse città: Ankara, Bruxelles, Il Cairo e negli Stati Uniti. Ma le sue dichiarazioni vengono presto smentite. Il 15 giugno del 2010 Casimirri dichiara a Sette, il magazine del Corriere della Sera: “Con il sequestri di Aldo Moro non ho mai avuto niente a che fare…non ho mai conosciuto il capitani dei Carabinieri Francesco Delfino, non ho mai fatto parte del Sismi e mai ho collaborato con i servizi” ».
Torniamo alla domanda di Fioroni
Il presidente Fioroni, vista la reazione “entusiastica” del generale Bozzo, coglie la palla al balzo e va avanti di corsa per non perdere il treno. Ecco a voi lo scambio di battute tra i due e con il parlamentare della Commissione Miguel Gotor (Pd).
Presidente Fioroni. Le risulta che il generale Francesco Delfino avesse come confidente o come soggetto che forniva notizie tal Antonio Nirta, appartenente alla ’ndrangheta ? L’ha mai inteso dire ?
Generale Bozzo. Sì.
Miguel Gotor. Come lo chiamavate voi, il generale Delfino? Come lo chiamava lei? Vi davate del tu, no ?
Bozzo. Sì.
Gotor. Come lo chiamava ?
Bozzo. Franco.
Gotor. Franco, non Francesco.
Bozzo. Franco.
Gotor. Perfetto. Mettiamolo a verbale, perché è interessante. Grazie.
Bozzo. Io non l’ho mai chiamato Francesco. Lo chiamavo Franco. L’ho conosciuto per una vita.
Presidente Fioroni. Di questo Nirta, però, lei non ha inteso mai parlare.
Bozzo. Ne ho sentito parlare, ma, se lei mi chiede notizie più profonde, non saprei.
Presidente Fioroni. No, vorrei sapere se lei ha in qualche modo l’idea che a Franco Delfino girasse intorno questo Nirta. Questo è importante.
Bozzo. Tutti quelli che hanno fatto attività di polizia giudiziaria stretta e netta a un dato momento hanno girato attorno, io compreso.
Presidente Fioroni. Due ultime cose. È possibile che Delfino conoscesse, fosse in rapporto o utilizzasse un brigatista rosso che si chiamava Casimirri?
Bozzo. No.
Presidente Fioroni. Mentre di Nirta ha memoria, di Casimirri no.
Bozzo. No.
Il generale Delfino, morto il 3 settembre 2014, non potrà replicare ma la sensazione è che il capitolo “’ndrangheta” nel libro oscuro della vicenda Moro si sia definitivamente riaperto. Ammesso e non concesso che fosse stato mai definitivamente chiuso.
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