Sono sempre stato convinto e lo ripeterò sempre, che la verità giudiziaria non è e non può essere l’unica verità con la quale leggere i processi evolutivi della delinquenza e della criminalità (organizzata o meno).
Questo ragionamento – un’opinione personale, condivisa da molti ma, ahimè non moltissimi, attratti alla bisogna da circhi mediatici di ben altro interesse – ben si attaglia a quanto sta accadendo in questi ultimi anni, in questi ultimi mesi, in queste ultime settimane, in questi ultimi giorni, in queste ultime ore al procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato.
Per lui (come per altri pm, a partire da quelli applicati al processo palermitano sulla trattativa tra Stato e mafia) è un crescendo di minacce di morte ma soprattutto di raffinatissimi avvertimenti, che tanto hanno, purtroppo, il sapore del conto alla rovescia tra Uomini di Stato e quaquaraqua di mafia, tra Stato di diritto e Stato infedele.
Tentativi, estremi e disperati, di fermare un Uomo (Uomini) che ha (hanno) messo (da decenni) il dito nella piaga marcia di uno Stato putrescente nel quale (anche) Cosa nostra è agenzia di servizio mortale a disposizione di sistemi criminali evoluti. Sempre più evoluti.
Sono altresì sempre stato convinto e lo ripeterò sempre, che ancorarsi all’idea di mafia come ce l’hanno fatta colpevolmente conoscere fino agli anni Settanta/Ottanta è un errore mortale per la democrazia, un vulnus per la crescita economica e sociale e, al tempo stesso e drammaticamente, una porta aperta a chi non vuole investigare e indagare in altre direzioni (magari facendo per questo, a tutti i livelli e in tutta Italia, carriere prodigiose), una via di fuga per una classe dirigente che sta affossando il nostro Paese e una rappresentazione plastica ad uso di una collettività che da “amministrata” diventa “ammaestrata”.
Badate, come accennavo sopra, che investigatori, inquirenti, politici e giornalisti, quando continuano a battere su questi tasti e ricercare la completa verità sui sistemi criminali evoluti, pagano un doppio prezzo: rischio di isolamento da parte dei soloni del sapere (spesso a gettone) e rischio di esposizione alla delegittimazione. Le spalle sono grosse ma il peso alla lunga sfianca, disabilita e porta i più deboli a mollare. Magari solo per un momento. Magari per sempre.
I magistrati palermitani se non avessero avuto e non avessero una rete di protezione sociale, movimenti, parte dei media e parte dell’opinione pubblica a sostegno, sarebbero stati esposti al pubblico ludibrio, all’isolamento e alla delegittimazione molto di più di quanto non stia accadendo per voce di quei poteri marci che non vogliono la verità sulle trattative che (a mio giudizio prima e dopo le stragi) hanno sempre visto a braccetto mafie (si badi bene: mafie), Stato deviato, politica corrotta, eversione nera e massoneria deviata. In Calabria, tanto per dire, pubblico ludibrio, delegittimazione e isolamento sono all’ordine del giorno, in assenza di massa critica nell’opinione pubblica e in assenza di movimenti credibili.
Questa lunga premessa è (ancora una volta) necessaria per spiegare quanto sta accadendo intorno al Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, per il quale (sempre a mio modestissimo avviso) avvertimenti e minacce di fermarsi non provengono dai quaquaraquà di Cosa nostra ma hanno una regia raffinatissima nello Stato deviato. Lo stesso copione che è stato (e che sarà) utilizzato per i pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.
Per Scarpinato avvertimenti e minacce arrivano da quel sistema criminale, nel frattempo ancora più evoluto, che ebbe l’ardire di contrastare 20 anni fa senza riuscire a dimostrare giudiziariamente (ecco l’aggancio alla premessa) la tesi investigativa sulla quale stava lavorando. Lui stesso, con enorme onestà intellettuale e rigore professionale, il 21 marzo 2001 chiese all’ufficio Gip di Palermo l’archiviazione dell’indagine, appunto, denominata “Sistemi criminali”.
La memoria lunga di quel sistema criminale, evoluto come i Pokemon e ora di nuovo sotto scacco con le nuove indagini e i nuovi elementi indiziari o probatori della procura e della procura generale, è portata dunque a risvegliarsi e attaccare non direttamente (l’eliminazione fisica è opzione estrema ma sempre drammaticamente presente) ma attraverso la batteria di bugiardi a gettone, servitori infedeli dello Stato che emergono a comando, giornalisti allineati e coperti al potere marcio, delegittimatori professionisti, inquinatori a chiamata e infine silenzi che, soprattutto quando provengono dai ranghi della magistratura, appaiono più mortali di un attacco verbale.
Con questo sistema trasversale di potere corrotto e corruttore intraneo allo Stato, Scarpinato, i pm di Palermo, quelli di Caltanissetta e quelli di Reggio Calabria devono fare i conti.
Un sistema criminale che affonda le radici nel passato. Un passato che data anni Novanta e che riemerge ancora più forte di prima. Un passato presentissimo sul tavolo dello Stato deviato che ho deciso di riproporvi anche domani perché ritengo che, da italiano ancor prima che da giornalista, sia doveroso accedere i riflettori su chi ha deciso, rischiando, di dedicare la propria vita umana e professionale per la ricerca di una verità da provare fino al terzo grado di giudizio.
Domani vedremo insieme quale è il sistema criminale che torna alla luce a Palermo, ancor più evoluto e ancor più forte.
r.galullo@ilsole24ore.com
1 – to be continued