Parto da un episodio personale. Nel lontano (giornalisticamente parlando) 2007, l’allora direttore del Sole-24 Ore, Ferruccio de Bortoli (sul quale a fondo articolo tornerò) mi chiese di seguire a Catanzaro l’indagine Why Not di un magistrato napoletano che – nomen omen – si chiama Luigi De Magistris.
Dovevamo recuperare terreno visto che gli altri media stavano cavalcando l’onda. Noi no. Rimediammo con una lunga serie di servizi a mia cura che poi si interruppero, come spesso capita nei giornali, senza un perché.
Un collega calabrese mi mise in contatto con De Magistris, che la prima volta mi diede appuntamento in un giardino pubblico di Catanzaro. Di vederci nel suo ufficio non ne voleva proprio sapere.
MASSONI SOPRA E SOTTO
Quando ci incontrammo, convenevoli e presentazioni a parte, come prima cosa gli chiesi perché stavamo seduti, come due anziani, sulla panchina di un parco lontano dalla Procura. La sua risposta fu fulminea e fulminante: «In Procura i massoni ce l’ho sopra, sotto, a destra e a sinistra. Anche le mura degli uffici sono iscritte a una loggia».
Capii subito, dunque, che la sua indagine non sarebbe andata avanti di un millimetro. Leggendo gli atti, altrettanto chiaramente, capii che aveva fotografato un mondo marcio. Peccato che la sua non potesse essere una fotografia giudiziariamente provabile fino alle estreme conseguenze. Ogni singola pagina di quell’indagine provocava un voltastomaco etico e morale a chiunque facesse del rigore, dell’onesta e della legalità (come chi vi scrive) la propria ragione di vita. Una fotografia perfetta dell’Italia (a partire dal suo ombelico putrefatto, vale a dire la Calabria) corrotta e corruttrice. Insomma, lo sciantoso (enorme suo limite) pm napoletano aveva messo il dito nel corpo putrido, nauseabondo e moribondo dello Stato e, proprio per questo, da quello stesso Stato corrotto e corruttore sarebbe stato espulso e rigettato con clamore “educativo”. Gli anticorpi di Giginiello o sciantoso poco o nulla avrebbero potuto contro la batteria chimica dello Stato marcio.
Già criticabile per una pesca a strascico, che ho sempre evidenziato nei servizi sul Sole-24 Ore quando altrove facevano piovere elogi al matador napoletano e ancor più criticabile per una serie di affastellamenti indiziari, era chiaro che il cuore della sua indagine era la caccia ai poteri occulti che dominano la Calabria e l’Italia tutta.
Vi siete mai chiesti perché questa è forse l’unica indagine calabrese degli ultimi decenni in cui la ‘ndrangheta non compare neppure di striscio? Il motivo è evidente: il livello che inseguiva il duo di coppia De Magistris-Genchi era superiore e riservato. La caccia era a quella logge occulte e deviate all’interno delle quali le cosche della ‘ndrangheta sono quota parte ma non azioniste di maggioranza. Lo stesso sogno (o errore) che commise, qualche anno prima, tal Agostino Cordova che da quel di Palmi voleva dimostrare che si poteva rompere la reale catena di comando che soffoca la Calabria e su per li rami l’Italia intera (e non solo).
Ora, al netto del fatto che la cabina di regia individuata da De Magistris aveva una filiale (o sede principale?) a San Marino e che il suo impianto investigativo non resse alla prova dei fatti (la violazione della cosiddetta legge Anselmi crollò rapidamente, forse troppo rapidamente), è proprio nelle successive dichiarazioni rese dall’attuale sindaco di Napoli ai suoi ex colleghi di Salerno (nel 2008 la Procura campana ordinò il sequestro dei vari fascicoli in mano a De Magistris ipotizzando complotti di varia natura) che ritornano e vanno quindi riscoperti e ritrovati i motivi della resistenza alla sentenza che in primo grado lo ha condannato a un anno e tre mesi per abuso d’ufficio insieme al suo sodale Gioacchino Genchi, mister “banca dati”. Sentenza che non giudico mentre invece credo che alla luce della decisione del prefetto di Napoli, Francesco Musolino, di considerare applicabile la sospensione derivante dalla cosiddetta legge Severino, De Magistris (volente o nolente) debba lasciare per 18 mesi la carica di sindaco, continuando, come del resto ha annunciato, da altri scranni la battaglia.
QUI SALERNO
Negli interrogatori resi a Salerno si capisce che la battaglia di De Magistris è contro un sistema marcio e corrotto che invade e pervade lo Stato e che vede nei grembiulini sporchi e fuori da ogni “legge e ufficiale loggia” i registi occulti. Per questo non vuole mollare, al punto da credere che quella sentenza di condanna sia fuori da ogni apparente logica. Seguendo il suo ragionamento logico, quelle logge deviate e quelle reti occulte che ha cercato di combattere non solo lo hanno estromesso dalla magistratura (ripete infatti spesso che le indagini gli sono state sottratte) ma, colpendone uno per educarne cento, in un modo o nell’altro hanno continuato e presumibilmente continueranno a perseguitarlo fino ad annientarlo.
Ora, al di là di come ciascuno di noi possa pensarla e prima di passare alla lettura di quanto da lui espresso a verbale nel biennio 2007/2008 (in attesa delle successive dichiarazioni di cui ha promesso contezza), è indubitabile che chi tocca i fili del potere (quello vero, quello marcio) in Italia non ha scampo.
Ci ha provato Cordova, ci ha provato Giginello ‘o sciantoso, ora ci stanno provando altri pm e procuratori generali a Palermo, Caltanissetta e Reggio Calabria e i venti di guerra si ripropongono con maggior forza. Ma a Palermo c’è una rete di protezione sociale che può supportare la ricerca della verità, a Catanzaro e in Calabria no. Per questo, pur tra mille difficoltà e minacce il pg Roberto Scarpinato e i pm impegnati nel processo sulla trattativa Stato-mafia possono proseguire anche nella ricerca dei presunti collegamenti tra massoneria deviata, eversione nera, Stato deviato, cosche e politica marcia. A Reggio, invece, il capo della Procura Federico Cafiero De Raho e i pm Francesco Curcio e Giuseppe Lombardo devono guardarsi di sopra, di sotto, a destra e a sinistra, fuori e…dentro.
DESTINI INCROCIATI
Ciascuno può farsi l’idea che crede. Delle due l’una: 1) De Magistris è un pazzo che crede di essere perseguitato dai poteri occulti che a sua volta cercava di perseguire come fantasmi; 2) De Magistris l’aveva vista giusta solo che l’aveva solo vista ma, per un motivo o per l’altro, non è riuscito a dimostrare nulla o molto poco. Tertium, credo, non datur. Ragionamento che, mutatis mutandum, vale per Agostino Cordova.
Del resto il destino dei due è incrociato. Il 19 aprile 2007 venne presentata un (ulteriore) interrogazione parlamentare contro De Magistris. Ecco lo stralcio del resoconto stenografico della seduta n. 144 in cui prende la parola l’allora onorevole Lino Iannuzzi.
Iannuzzi (Forza Italia). … Voglio ricordare solo le tappe fondamentali: questo è un contesto che è necessario richiamare, altrimenti si rischia di star qui a «fare le pulci» a questo o a quel magistrato, dimenticando il disastro che c’è stato nell’amministrazione della giustizia in Calabria e le cause che hanno portato alle attuali macerie. Si cominciò – come il qui presente Sottosegretario saprà benissimo, perché prima di occupare giustamente il posto che occupa è stato un valente avvocato ed ha partecipato ad una grande quantità di processi, che ricordo – con una famosa inchiesta sulla massoneria, per colpire la ‘ndrangheta e la mafia, che faceva capo ad un magistrato di prestigio: Agostino Cordova. Ci furono centinaia e centinaia di intercettazioni, di pedinamenti, una spesa enorme per il bilancio dello Stato e mandati di cattura.
Ad un certo momento la documentazione raccolta assunse una tale proporzione che non ci fu più la possibilità di mantenerla a Palmi, dove il dottor Cordova operava. Dovettero utilizzare un camion e il Ministero della giustizia, a Roma, dovette affittare un appartamento per ospitarla.
Dopo nove anni, i magistrati di Roma archiviarono il tutto – ma la documentazione è rimasta per l’assoluta assenza della minima possibile traccia di reato.
Successivamente – lo voglio sottolineare – dallo stesso ufficio diretto da Cordova parti la richiesta di sequestro delle liste elettorali di Forza Italia (fu una costola della richiesta di Cordova), perché si supponevano che fossero zeppe di massoni. Arrivò a Roma – l’ho anche conosciuta – una sostituta che non era calabrese, ma era delegata per questa area. Il nostro attuale presidente Berlusconi si dovette precipitare all’alba al Quirinale, dove trovò il Presidente della Repubblica in pigiama. Il Presidente della Repubblica intervenne e le liste di Forza Italia non furono sequestrate.
Ma veniamo alle dichiarazioni rese dal sindaco (ex?) di Napoli.
L’ACCELERAZIONE
Il 27 novembre 2007 (pagina 611 del decreto di sequestro probatorio) De Magistris, interrogato dai suoi colleghi salernitani dirà: «…non è un caso, penso, che l’accelerazione di iniziative nei miei confronti sia avvenuta poco tempo dopo che in un intervista utilizzai in modo chiaro e preciso il termine di massoneria e poteri occulti. Ritengo anche che avessero un forte timore delle capacità investigative non solo di chi vi parla ma anche dei miei due principali ctu, il dottor Genchi e il dottor Sagona, con i quali stavamo ricostruendo le reti occulte che condizionano in modo non secondario anche il funzionamento di apparati di primo piano delle istituzioni repubblicane. Debbo anche dire, alla luce del fatto che l’accelerazione delle iniziative avviate nei miei confronti ed anche nei confronti del dott. Genchi sono avvenute di pari passo con gli straordinari progressi investigativi che stavamo delineando, che sia io che i miei più stretti collaboratori siamo potuti essere stati oggetto di attività di controllo illegale. Questo perché ho spesso registrato uno strano sincronismo tra progressi delle investigazioni, iniziative intraprese contro le indagini e strumentali campagne di stampe».
LA NUOVA P2
Il 3 gennaio 2008, sempre di fronte ai suoi colleghi di Salerno, De Magistris (pagina 377 del decreto di sequestro probatorio) farà mettere a verbale: «Voglio ribadire, essendo già stato ritengo sufficientemente esaustivo sul punto, che il lavoro di delegittimazione e disintegrazione professionale nei miei confronti si è profondamente consolidato dopo che ho cominciato a contestare la violazione della cosiddetta legge Anselmi. Ritengo che con le investigazioni pendenti presso il mio ufficio (ed in particolare Why Not, Poseidone e Toghe lucane, ma non solo) ho individuato quella che, in gergo atecnico, potrebbe definirsi una sorta di “Nuova P2′. Questo l’ho potuto accertare attraverso escussione di persone informate sui fatti, acquisizione di elenchi e di nominativi, analisi di tabulati e flussi informatici, accertamenti economico- finanziari ed altre attività investigative che erano mio funzionale patrimonio personale indiscusso. Una ”rete” di soggetti che, dall’interno delle istituzioni, erano in grado di influire ad ogni livello, con collusioni di non secondaria rilevanza proprio all’interno della magistratura. E’ anche per questo che ho subito un ‘evidente “attività” nei miei confronti proprio dall’interno dell’ordine giudiziario (revoca della designazione nell’indagine Poseidone, deliberazioni di organi dell’Anm, ispezioni, dichiarazioni di componenti del Csm, richiesta di trasferimento cautelare, avocazione, procedimenti disciplinari ed altro ancora)».
LE ISTITUZIONI
Il 10 gennaio 2008 De Magistris proseguirà così (pagina 380 del decreto di sequestro probatorio) con gli ex colleghi di Salerno: «…e non posso non rilevare che quando fui titolare di un delicatissimo procedimento sulla massoneria – indagine delegata al predetto Nucleo della Gdf comandato dal…omissis …- potetti notare che egli non gradiva particolarmente tali tipo di indagini ed anche gli stessi sottufficiali non perdevano occasione nel manifestarmi la loro “difficoltà”ad operare con la dirigenza del predetto ufficiale». L’omissis è mio perché l’ufficiale non era in alcun modo indagato né coinvolto da indagini.
DE BORTOLI
E veniamo, infine, all’editoriale del direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli sulla cui interpretazione autentica si sono lanciati i suoi (falsi) amici, i suoi nemici e gente la qualunque.
Se c’è una cosa che evito sempre è quella di leggere (come hanno fatto in questi giorni i predetti) il pensiero altrui. Da giornalista mi limito ai fatti e mi pongo domande. E i fatti dicono che de Bortoli chiede, infine, che il famoso patto del Nazareno tra Silvio Berlusconi e la sua immagine riflessa allo specchio (Matteo Renzi) venga liberato «dallo stantio odore di massoneria».
Se c’è una cosa che ho capito in questi anni è che non esiste “la” massoneria ma “le” massonerie. Ora la domanda che io pongo è: e se la massoneria alla quale si riferisce de Bortoli fossero quelle «reti occulte che condizionano in modo non secondario anche il funzionamento di apparati di primo piano delle istituzioni repubblicane», come plasticamente illustrava De Magistris di fronte ai colleghi salernitani? Quelle reti a cui hanno dato invano la caccia De Magistris, prima di lui, Cordova e che oggi sono la ragione di vita professionale (che qualcuno vorrebbe tramutare in morte fisica) ad esempio dei pm Roberto Scarpinato, Luigi Patronaggio, Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, Sergio Lari, Domenico Gozzo, Lia Sava, Federico Cafiero De Raho, Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio?
Del resto la P2 – che oggi appare a molti come un collegio di educande rispetto alle successive evoluzioni – non era un’invenzione dei giornali. O si?
r.galullo@ilsole24ore.com