Pino Masciari, il testimone di giustizia che da anni testimonia in giro per l’Italia la sua esperienza di imprenditore reggino che ha avuto il coraggio di denunciare la ‘ndrangheta e che per questo sta pagando un prezzo altissimo, mi ha spedito una lettera (che pubblico volentieri) per dare seguito al dibattito che il 30 dicembre ho avviato sul futuro della Calabria “senza calabresi”.
Un dibattito che – finora – ha una vasta eco. Questo vuol dire che questo blog viene considerato un libero, democratico e incondizionato luogo di incontro e scambio di idee e tutto ciò non può che farmi piacere. E non è un caso che – nei prossimi giorni – pubblicherò altre lettere che mi sono giunte di cui, però, non anticipo ancora nulla.
Ho letto e riletto la lettera di Pino Masciari – che conosco da sei anni e di cui, tra i primi giornalisti in Italia, ho raccontato e seguito la storia non solo sul Sole-24 Ore ma anche su Radio 24 con le mie trasmissioni – e francamente non capisco proprio in cosa mi dia torto.
E’ così che, infatti, inizia la sua lettera: comprende le mie parole ma mi da torto.
Strano perché in tutta la lettera non ho trovato un solo punto di disaccordo dal mio pensiero.
La sua lettera potrei averla scritta anche io: condivido ogni parola che scrive Pino Masciari.
Poi ho capito che, forse, Pino contestava proprio il titolo del primo servizio che ho scritto: “Ho un sogno: la Calabria senza calabresi”.
“Chi deve andarsene – scrive infatti l’amico Pino – sono i calabresi marci e non quelli come me”. E’ giusto. E’ corretto. E’ esatto. E’ condivisibile.
Il punto – però – è che oggi la parte marcia della Calabria sta lentamente divorando, infettando e ammuffendo l’intera regione e – si badi bene – l’intera Italia. I colpevoli sono proprio quelli che indica Pino Masciari: i politici ma, aggiungerei io, l’indolenza dei calabresi che troppo a lungo, come gran parte dei meridionali, hanno pensato che barattare la propria dignità in cambio di diritti scambiati per favori, fosse logico e dovuto.
Nonostante gli accorati appelli di Pino Masciari, i richiami ai giovani del Senatore Luigi De Sena (si veda in archivio la sua lettera al blog del 7 gennaio, oltre ai servizi del 30 dicembre 2010, 3 e 5 gennaio 2011), le speranze dei tanti commentatori che hanno voluto lasciare la propria traccia su questo blog, resto convinto che la Calabria sana da sola non può e non potrà mai farcela.
Per cacciare quella parte marcia – e non i tanti Masciari che la Calabria ha l’orgoglio di aver generato – c’è bisogno di uno Stato forte, di una rinascita culturale (i semi non mancano e la terra, sono sicuro, darà buoni frutti ma troppa strada deve essere ancora percorsa) ma anche di togliere le leve del comando – e subito – ai centri di governo marci delle istituzioni pubbliche calabresi.
Questo è il senso delle mie parole. Questo è il senso puro e profondo dalla “Calabria senza calabresi”. Su questo, caro Pino, non potremmo non essere d’accordo.
r.galullo@ilsole24ore.com
IL TESTO DELLA LETTERA
Caro Roberto,
anche se comprendo le tue parole, non posso condividere quanto da te scritto.
Se la Calabria è arrivata a questo punto è perché non c’è stata la forza e la volontà di cambiare, la politica in questo ha numerosissime colpe, è rimasta sempre lontana dai calabresi e ha sfruttato tutto ciò che poteva per i propri interessi. Molti miei conterranei sono emigrati, fuggiti altrove in cerca di maggior fortuna, portando economia e ricchezze in altri luoghi.
Chi deve andarsene dalla Calabria sono i calabresi “marci” e non quelli come me, che hanno fatto e fanno di tutto per difendere la propria terra, anche a costo della vita.
Io sono calabrese e amo la mia Calabria e come me ci sono altre persone.
Apprezzo profondamente il tuo lavoro quotidiano, oggi però mi trovo a darti torto.
Non prendertela e cerca di capirmi: ho passato gli ultimi 15 anni della mia vita, forse gli anni migliori, a lottare contro mostri inimmaginabili insieme alla mia famiglia.
Ho denunciato gli ‘ndranghetisti e tutti coloro che erano collusi. Ho fatto nomi e cognomi, ho subito attentati, minacce e quant’altro ma non ho desistito, nemmeno per un secondo. L’ ho fatto come un atto normale, un dovere civico e mai avrei potuto immaginare ciò che mi aspettava.
Sono stato allontanato dalla Calabria di notte, come un fuggitivo per l’elevatissimo rischio che correvo.
I miei figli a quell’epoca avevano meno di tre anni e certo non possono dirsi calabresi oggi. Sono divenuto un testimone di giustizia, credendo che tutto sarebbe tornato alla “normalità” entro breve, così come mi era stato promesso. Credevo anche che lo Stato mi sarebbe sempre rimasto a fianco, proteggendo me e la mia famiglia.
Abbiamo cambiato numerose località protette, case spoglie, fredde, tutt’altra cosa rispetto alle ricchezze e proprietà che ho lasciato in Calabria. Non è stato, come si potrebbe pensare, un cambio di stile di vita, piuttosto è stato come smettere di vivere, senza identità, senza famiglia, amici, senza un lavoro e lontano dalla mia Terra, tanto amata quanto martoriata. Lo Stato non si è dimostrato sempre forte e vicino a me e alla mia famiglia, ho dovuto persino ricorrere al Tar del Lazio (competente in materia di Protezione e Sicurezza dei Testimoni di Giustizia) perchè non mi venisse tolta la scorta, per chiedere sicurezza e tutela. Mi è capitato di tutto, anche di dovermi recare ai processi da solo, senza scorta.
Ho dovuto lottare per ottenere i più semplici diritti, come quello di poter rivedere (dopo numerosi anni) mia madre, di poter votare etc.
Fortunatamente la società civile si è accorta di noi, del nostro “non esistere” e alcuni anni fa ho iniziato a mostrarmi in pubblico, invitato a numerosi incontri ho raccontato la mia storia, cercando di trasmettere, nonostante tutto, fiducia nelle Istituzioni e quell’alto senso dello Stato che tutt’oggi non mi abbandona.
Ho incontrato numerosissime persone, moltissimi giovani e alcuni di loro hanno scelto di “organizzarsi” per starci vicino, diventando degli amici insostituibili.
Mi hanno sostenuto, accompagnato nei processi, sono stati vicino a mia moglie e ai miei figli quando io ero lontano.
Hanno dato vita a un blog, divulgato la mia storia in ogni regione italiana, in Europa e anc
he oltre oceano, insomma, mi sono stati accanto nei momenti più difficili. Sono persone di ogni estrazione sociale, di età diverse e provenienti da ogni parte di Italia, alcuni anche dalla Calabria. Sono infinitamente orgoglioso di questi amici, anche loro sono la mia famiglia ed è per loro che ho scritto un libro,
“Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la ‘ndrangheta” (AddEditore), dove ho raccontato tutta la mia vita, tutto quello che in questi lunghi anni abbiamo vissuto.
Oggi sono uscito dal programma di protezione, vivo ancora sotto scorta perchè sappiamo bene che le mafie non dimenticano, la mia vita, ora, è ad un nuovo punto di partenza.
Non so cosa mi aspetta, quanto ancora dovrò lottare, non so se un giorno potrò tornare a lavorare o se la mia Terra un domani sarà pronta ad accogliermi e, soprattutto, se ci vorrò tornare.
Vedi caro Roberto, il mio rapporto con la Calabria è estremamente complesso, mi sono sentito esule, deportato e privato di tutto, ho continuato a chiedermi quale normalità ci fosse nell’allontanare un imprenditore onesto, mentre i mafiosi e collusi rimanevano nella mia Terra a godersi le loro ricchezze sporche del sangue della mia gente.
Ogni volta che torno in Calabria soffro, mi arrabbio e vengo preso dallo sconforto nel vedere che la società civile non reagisce, non spera e continua a girarsi dall’altra parte.
Certo, non tutta la Calabria è collusa ma la società, come sottolinei anche tu, non appare pronta al cambiamento, è appiattita su un sistema che prima o poi dovrà collassare e la politica si sta dimostrando marcia, invischiata quasi interamente in questo sistema, a fare la differenza, sono ancora pochi e isolati esempi di uomini coraggiosi, mentre la maggioranza della popolazione sembra resti a guardare.
Bisogna, invece, individuare le mele marce e smascherarle, tutti insieme, nel quotidiano, tenendo sempre gli occhi aperti e non lasciando sole quelle persone che hanno già deciso da che parte schierarsi, diventare a nostra volta quelle persone.
Credimi, se tornassi indietro rifarei tutto.
La mia è l’unica scelta possibile, quella che mi permette di guardare i miei figli negli occhi ogni mattina, insomma, quella vincente. Mi è costato molto, ma oggi le cose sono diverse, ci sono le leggi, ci sono Associazioni e Istituzioni che negli anni novanta non ci sognavamo nemmeno.
Per questo ho deciso di scriverti e di darti palesemente torto.
Non potrebbe essere altrimenti nel mio specifico caso: ho dedicato 15 anni della mia vita a combattere questi mostri, lottando insieme alla mia famiglia e a coloro che mi sono stati vicini negli ultimi anni, non posso certo mollare ora, non ti pare?
L’onorevole Lo Moro ha ragione, “la Calabria può essere altro”, non possiamo perdere la speranza, rassegnarci, lo dobbiamo ai nostri figli e a tutti coloro che hanno pagato a caro prezzo la scelta di ribellarsi a questo stato di cose.
La soluzione non è abbandonare la Calabria o i calabresi.
Dobbiamo comprendere che più legalità significa meno costi e più servizi per tutti, dove ci sono mafie ci sono più costi e meno servizi, insomma conviene a tutti cambiare questo stato di cose.
In Italia siamo sull’orlo di un precipizio, sta venendo meno lo stato sociale, dunque, non abbiamo alternative se vogliamo dare un futuro ai giovani, uscire dalla crisi come una nazione matura e democratica.
Dove c’è la criminalità organizzata non c’è democrazia e rispetto della Costituzione, non si è tutelati nei principi fondamentali come il diritto al lavoro, allo studio, alla pari dignità sociale, è la stessa sovranità popolare a venir messa in discussione.
La forza delle mafie è il denaro, il suo potere di corruzione, dobbiamo toglierle questo potere, creare alternative credibili e politiche serie di sviluppo economico, sociale e culturale.
C’è bisogno di uno sforzo unitario che veda protagonista la società civile, lo Stato, le Istituzioni. Non c’è più tempo, dobbiamo agire. Bisogna che tutti lavoriamo a questo cambiamento, serve mettere in campo politiche di sviluppo, di tutela dei diritti e di formazione. Dico sempre: “loro sono organizzati, noi no” ed è proprio questo che siamo tenuti a fare, partendo dalle scuole, dobbiamo “organizzare il coraggio”, “facendo squadra tra onesti” come scrive il senatore Luigi De Sena.
Questo vorrei vedere nella società civile italiana oggi: l’organizzazione delle coscienze.
Io ho ancora speranza.
Un caro saluto
Pino Masciari
www.pinomasciari.it
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