La lettura dell’ordinanza Crimine 3 offre spaccati pazzeschi se solo si ha la voglia di leggere le 1.176 pagine e se solo si vuole andare oltre il mero e criminale narcotraffico, che transita per il porto di Goia Tauro, scoperto dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria (si vedano, a esempio, in archivio, i miei ultimi due post sul locale di Erba e sulle guerre tra ‘ndrangheta lombardo-calabrese e albanesi).
Nell’ordinanza, a esempio, si (ri)scopre un excursus recentissimo (perché già depositato agli atti nel 2009 in un diverso procedimento) sul pieno controllo che alcune cosche avevano (hanno?) sulle attività del Porto e si scopre, altresì, l’acqua calda: vale a dire il livello di complicità che c’era (c’è?) all’interno del Porto.
Complicità, potere – oltre che legami diretti delle cosche nella gestione – che molti continuano a smentire solo perché non ci sono sempre sviluppi giudiziari degni di questo nome.
Non sta a me sostituirmi ai magistrati e ai giudici. Faccio dunque il mero lavoro di cronista e lascio che – con questi due post che da oggi dedicherò al Porto di Gioia Tauro e a ciò che ruota intorno al sistema dei controlli interni ed esterni – ciascuno si faccia un’idea. La propria.
L’ISPEZIONE
Si scopre così, leggendo l’ordinanza Crimine 3 che il 15 dicembre 2006 l’Ufficio antifrode centrale delega alcuni funzionari dell’Agenzia delle Dogane ad effettuare un’ispezione presso la dogana del porto di Gioia Tauro. L’attività ispettiva, portata a termine tra il 2 ed il 12 gennaio 2007, si concentra, in particolare, su tre aspetti delle attività doganali ritenuti di maggiore criticità:
1) il circuito doganale di controllo;
2) l’intelligence e controlli all’atto dello sbarco dei containers;
3) l’analisi dei rischi e servizio vigilanza antifrode doganale.
VIGILANZA ANTIFRODE
L’ispezione, per quanto attiene i primi due punti, evidenzia alcune carenze generiche sulla fase di controllo delle merci (bassa percentuale di controlli a fronte del numero elevato di operazioni di sbarco dei containers) e, da parte delle agenzie marittime, l’utilizzo di procedure, soprattutto per quanto attiene le operazioni di transito, spesso non conformi e volte ad eludere il monitoraggio e controllo degli uffici preposti.
Di diversa natura risultava invece la criticità per quanto attiene “l’analisi dei rischi” e il Servizio di vigilanza antifrode doganale.
Il direttore tributario della dogana di Ancona, Teodoro Spadaccini, a capo della “commissione ispettiva”, denuncia infatti nel suo rapporto l’esistenza di un vero e proprio “centro di potere”, in grado di paralizzare le attività doganali od arrogarle in esclusiva a funzionari compiacenti, creando di fatto una gestione esclusiva di controlli sulle merci in arrivo o in transito nel porto di Gioia Tauro.
Tale “gruppo” compiacente, proprio per il ruolo verticistico rivestito da alcuni dei suoi componenti, risultava in grado di gestire tutte le verifiche doganali, tanto sulle merci importate, quanto su quelle in transito (operazioni di transhipment), avvalendosi, con particolare riferimento a quest’ultime operazioni, della connivenza di alcuni referenti del terminal contenitori.
La relazione, pur denunciando la gestione controllata delle operazioni di verifica sulle merci da parte di un ben definito “gruppo di potere”, non approfondiva le specifiche finalità di tale gestione, al di là del mero “esercizio del potere”.
Per quanto attiene il presunto “comitato criminale” di gestione delle attività di verifica doganale, le attività accertative svolte a gennaio 2007 dal Ros dei Carabinieri, consentivano di raccogliere interessanti elementi.
Oggi, però, mi fermo qui. La seconda puntata domani.
1 – to be continued
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