Il 15 luglio la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catanzaro ha convalidato il sequestro di 200 milioni dell’imprenditore lametino Salvatore Mazzei, richiesto dalla Procura di Lamezia Terme, retta con piglio, autorevolezza e capacità da Salvatore Vitello (tutte qualità indigeste alle cosche che infatti lo hanno nel mirino).
In Calabria anche i sassi (scusate l’involontaria ironia) sanno che Mazzei (da anni conosciuto alle cronache giudiziarie) fonda il suo enorme potere sulla cava per l’estrazione di inerti di San Sidero. Impressionante per dimensioni: sarebbe per materiale estratto (1,4 milioni di metri cubi) una delle più estese del Sud.
Quella cava – ora sotto sigilli – mi dà lo spunto (in realtà l’ultimo in ordine di tempo) per fare un discorso articolato sulle cave, oggetto di un recentissimo dossier di Legambiente.
Le cave sono una delle spine dorsali dell’economia mafiosa (oltre che, ovviamente, di chi vive legalmente). Lo sanno tutti ma tutti fanno finta di non saperlo ed eludono di mettere in mano ad un mondo che cercherò di descrivervi da oggi e per i prossimi giorni partendo proprio da quello che la stessa Legambiente ha definito “Far West Calabria”.
FAR WEST CALABRIA
In Calabria si può cavare senza che sia vigente alcuna legge regionale che regoli il settore nonostante a fine 2009 la legge regionale 40/2009!
Ma come è possibile vi chiederete? Ma ragassi, ooooooo, la Calabria è la regione dove la fantascienza è realtà!
Come (in verità) in altre regioni del Mezzogiorno, si può continuare ad estrarre qualunque tipo di materiale senza pagare alcun contributo agli enti locali. In Calabria le cave attive risultano essere 216 mentre non esiste un censimento di quelle abusive né tantomeno dei siti abbandonati (sono comunque, pare, migliaia!). “Il problema più sentito – si legge nel “Rapporto cave” di Legambiente dato alle stampe lo scorso mese dopo 4 anni di attesa dal precedente – riguarda il controllo che le ecomafie esercitano sull’attività di cava, che permette di tenere sotto controllo il ciclo del cemento e di riutilizzare le aree abbandonate come discariche abusive con presenza di rifiuti pericolosi”. Gli effetti sono evidenti nel paesaggio calabrese, con torrenti e fiumi deviati (come il Torbido e il Neto), boschi e aree di interesse comunitario (!) cancellati.
Una delle vicende più note è quella che riguarda ben quattro cave abusive nel territorio di Dune di Rovereto, nel Comune di Isola Capo Rizzuto, una zona particolarmente pregiata e a ridosso dell’area marina protetta.
Le buche venivano ricoperte con terra per simulare una coltivazione agricola. Un altro esempio importante che evidenzia la condizione di queste attività in Calabria è quella del cantiere di lavorazione degli inerti, situato nel Comune di Rocca di Neto. Questo sito, prima del sequestro, veniva costantemente alimentato con l’attività di estrazione illegale, causando in questo modo vere e proprie voragini nel terreno.
Per rimanere (solo) agli ultimi mesi si può fare riferimento al sequestro della cava in località Sciacca nel Comune di Monterosso Calabro (Vibo Valenza) nel marzo del 2011. Qui il Nucleo investigativo di Polizia ambientale e forestale del Corpo Forestale dello Stato, nell’ambito di un servizio di controllo finalizzato alla prevenzione e repressione di illeciti ambientali nei pressi dell’Oasi naturale del Lago Angitola, ha scoperto la ripresa dell’attività estrattiva in una cava di circa 30mila metri quadrati, già sottoposta parzialmente a sequestro penale pochi mesi prima. I materiali estratti venivano trattati mediante un vecchio impianto per il lavaggio e la selezione degli inerti.
Sempre nel 2011 il Corpo Forestale dello Stato di Montalto Uffugo (Cosenza) ha posto sotto sequestro una cava abusiva usata per l'estrazione di materiale inerte. L’area posta sotto sequestro, in contrada "Insidia", è una proprietà privata di 3.500 metri quadrati, sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico, dalla quale veniva cavata sabbia e ghiaia senza alcuna autorizzazione comunale e regionale, senza l’utilizzo delle obbligatorie misure di sicurezza.
IL RECUPERO
Per quanto riguarda il recupero delle aree una volta cessata l’attività di cava in tutte le regioni (ancora una volta, ohibò, Calabria esclusa perché ancora in attesa del Regolamento di attuazione della legge approvata nel 2009) è previsto a carico del proponente. Il progetto di coltivazione deve essere comprensivo di quello di recupero una volta dimessa l’attività.
E’ emblematico il caso di molte regioni dove non è previsto nessun piano di recupero per le aree di cave dismesse: dal Piemonte alla Valle d’Aosta, dalla Provincia di Bolzano al Friuli Venezia Giulia e poi Liguria, Campania e Puglia.
Per ora mi fermo qui. Ma non perdete la puntata di lunedì su quanto accade in Campania, Puglia e Sicilia.
1 – to be continued
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