Con l’operazione denominata ”Paesan Blues”, coordinata ieri, 10 marzo, dalla Procura di Palermo che ha emesso provvedimenti di fermo nei confronti di 27 indagati accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, riciclaggio, estorsione, tentato omicidio e traffico di droga, è stata (potenzialmente) destrutturata la famiglia di Santa Maria di Gesu' di Palermo e le sue ramificazioni negli Stati Uniti, tra Miami e New York.
Le cosche palermitane, decimate dagli arresti degli ultimi mesi, tentavano di riorganizzarsi. E ai vertici tornano boss storici.
E' una delle circostanze emerse dall'indagine condotte dagli investigatori dell`Fbi, del Servizio centrale operativo, della Squadra mobile di Palermo e degli special agents del Fbi di Miami e New York, che hanno lavorato in sinergia per oltre 2 anni.
Al centro dell'inchiesta la ''famiglia'' di Santa Maria di Gesu' tornata sotto la guida di Gioacchino Corso, detto Ino, e del fratello Giampaolo, entrambi arrestati. Ad eseguire le disposizioni dei due boss altri due esponenti di vecchia data dell'organizzazione mafiosa come Giuseppe Lo Bocchiaro, condannato per l'omicidio di Pietro Marchese, assassinato nell'82 mentre era detenuto all'Ucciardone, nell'ambito della guerra di mafia. A Pietro Pilo, uomo di fiducia del boss storico Cosimo Vernengo, con cui ha gestito importanti traffici di droga, era stata assegnata invece la gestione della cassa dell'organizzazione.
Ed è ancora il racket delle estorsioni la cassaforte dell’organizzazione mafiosa. Nel corso dell'indagine gli investigatori hanno trovato una prova importante della gestione del racket da parte della famiglia di Santa Maria di Gesu': una sorta di libro mastro con l'indicazione delle vittime del pizzo e delle cifre pagate all'associazione mafiosa. A casa del cassiere della cosca e' stato sequestrato anche del denaro che, secondo gli inquirenti, sarebbe il frutto del taglieggiamento. Nei confronti di chi si rifiutava di pagare l'organizzazione reagiva con attentati, danneggiamenti. Dure le sanzioni adottate anche nei confronti di chi non si adeguava alle decisioni della cosca: e' il caso di Gioacchino Stassi, un pregiudicato ferito a colpi di arma da fuoco nel 2009.
Ma, alla luce di questi arresti e di quello non meno importante (due giorni fa) di un boss a Catania, quali sono gli scenari dentro Cosa nostra siciliana? E quanto è ancora valido l’asse Palermo-Trapani? E qual è il ruolo delle altre province, inclusa quella storicamente vitale per gli interessi socio-economici, di Catania?
Proviamo a rispondere con un documento esclusivo: la relazione 2009 della Direzione nazionale antimafia che, per la parte siciliana, ho sulla mia scrivania.
LA PROVINCIA DI PALERMO
La provincia di Palermo – scrivono nella relazione che hanno consegnato a fine 2009 al capo della Procura nazionale Piero Grasso, i sostituti Roberto Alfonso, Gianfranco Donadio e Maurizio de Lucia – è quella in cui permane l’egemonia criminale di Cosa Nostra, estesa a tutti i mercati illegali.
Dopo l’arresto di numerosi esponenti dell’organizzazione collocati ai vertici e la cattura di molti pericolosi latitanti è evidente che gli esponenti di spicco di Cosa Nostra palermitana devono risolvere il problema di come dotarsi di una struttura rappresentativa e funzionale al vertice dell’organizzazione, essendo naufragato il tentativo di ricostituzione delle strutture grazie agli esiti dell’operazione Perseo.
L’indagine, che ha portato all’individuazione e alla cattura di circa 100 esponenti
Di Cosa Nostra, ha disvelato il tentativo fermo al dicembre 2008, dell’organizzazione medesima di ristrutturarsi secondo le regole tradizionali e in particolare di ricostituire la commissione provinciale di Cosa Nostra, massimo organo di governo.
Questa nuova fase comporta un rischio di aumento della pressione estorsiva e
di conflitti per il controllo dei flussi derivanti dal pizzo. Proprio come l’operazione italo-americana “Paesan blues” dimostra.
Il circuito carcerario tende ad assumere un peso sempre più significativo, visto il vuoto di potere determinatosi a seguito dei continui successi dell’azione investigativa e giudiziaria.
Prosegue intanto incessantemente l’azione dei
tribunali e delle Corti, anche nel settore delle misure di prevenzione di carattere personale e patrimoniale che, per altro, ha registrato la sperimentazione di nuove e più moderne modalità investigative.
LA PROVINCIA DI TRAPANI
L’asse Palermo-Trapani (e/o viceversa) sembra tenere.
L’analisi dei dati che ancora emergono dalle più recenti indagini sulla criminalità
mafiosa conferma che le connotazioni della Cosa Nostra trapanese non divergono da quelle relative alla provincia di Palermo: stesse modalità operative, settori di interesse, ordinamento gerarchico, analoga suddivisione del territorio: una vicinanza rafforzata dall’assunzione della carica di rappresentante da parte di Matteo Messina Denaro, conferma della struttura verticistica ed unitaria dell’organizzazione criminale.
L’organizzazione continua a mantenere un penetrante controllo del territorio e a
riscuotere consensi. In particolare, le indagini indirizzate nei confronti del fenomeno delle estorsioni, sempre più caratterizzato da una riscossione a tappeto di prezzi di modesta entità e da forme di intermediazione hanno indicato la trasformazione della vittima in mediatore o collettore del pizzo.
In generale, la pressione estorsiva nei confronti degli operatori economici del
territorio provinciale non accenna a diminuire; così come continua a mancare la
collaborazione delle popolazioni con le istituzioni.
Il settore degli appalti e quello della captazione di flussi di finanziamento
pubblico ad attività imprenditoriali si confermano come un ambito primario
dell’operatività di Cosa Nostra, sintomatico della sua strategia di inabissamento
e di controllo sistematico dei rapporti economici e produttivi.
Dalle indagini nel settore dei pubblici appalti continua infatti ad emergere la
presenza di Cosa Nostra, in particolare nella fase di esecuzione dei lavori, non
soltanto con la ben nota pressione estorsiva, ma anche con l’imposizione di
fornitori vicini all’organizzazione mafiosa.
LA PROVINCIA DI AGRIGENTO
Le strategie di contrasto giudiziario al fenomeno mafioso nella provincia di Agrigento hanno incontrato, nel tempo, notevoli difficoltà a causa della compresenza sul territorio agrigentino, oltre che di Cosa Nostra, di altre organizzazioni mafiose comunemente conosciute col termine di “stidde”, che da tempo ormai contendono il controllo delle attività criminali a Cosa nostra.
Ancora oggi, vi sono alcuni centri di quella provincia, dove operano gruppi criminali non inquadrati in Cosa Nostra (le cosiddette ”famigliedde”) ed i cui esponenti realizzano le attività criminose che rientrano nel programma criminoso “tipico” della tradizionale organizzazione mafiosa, con la quale, inevitabilmente, entrano in contrasto.
L’articolazione agrigentina di Cosa Nostra resta un pilastro per l’intera organizzazione regionale e, rispetto a quest’ultima, è sicuramente la più rigidamente ancorata alle regole, forse proprio per l’esiguità del fenomeno delle collaborazioni : le numerose operazioni giudiziarie che hanno intaccato vertici e manovalanza della Cosa Nostra agrigentina, insieme alla cattura di pericolosi latitanti, hanno però, negli ultimi due anni, determinato un proliferare di collaborazioni con l’Autorità giudiziaria da parte di diversi uomini d’onore provenienti dalle diverse aree territoriali.
Tuttavia Cosa Nostra della provincia di Agrigento ha subito pochi cambiamenti strutturali, pur essendo caratterizzata da eventi che segnano una notevole instabilità degl
i equilibri e dei rapporti di forza tra le varie famiglie.
In riferimento alle aree di agevolazione degli interessi criminali, va ancora segnalato il ruolo delle imprese “favaresi” il cui numero è assolutamente sproporzionato in eccesso rispetto al contesto economico-sociale nel quale sorgono.
LA PROVINCIA DI CATANIA
Sono trascorse poche ore dall’arresto in una squallida stalla del quartiere San Cristoforo di Catania del boss latitante Sebastiano Lo Giudice, detto Ianu Carateddu, ritenuto il capo indiscusso della cosca dei Carateddi, considerata la frangia militare della cosca Cappello. Il summit di mafia nel corso del quale è stato arrestato era finalizzato alla spartizione di una grossa partita di marijuana.
Il questore di Catania, Domenico Pinzello, ha spiegato che l'attività illegale legata alla droga del clan dei Carateddi variava dai 30 ai 40 mila euro al giorno.
Sabato scorso, invece, sempre a Catania e sempre nello stesso quartiere, è stato assassinato Salvatore Tucci. Tucci avrebbe fatto la cresta al suo clan, quello dei Carateddi, sull'incasso di una partita di droga.
Questi due fatti – l’arresto di un latitante di grosso calibro e l’uccisione di un “soldato” – hanno un filo comune: il traffico di droga che continua ad alimentare le tasche delle famiglie di Cosa nostra.
Catania non è Palermo – vale a dire non è l’epicentro di Cosa nostra – ma è una provincia che gioca un ruolo fondamentale negli equilibri interni ed esterni della mafia e della società.
Per questo vale la pena di raccontare ciò che di solito non viene raccontato dai giornali, vale a dire parte del lavoro della Procura distrettuale antimafia sta raggiungendo (tra mille difficoltà) anche a seguito di una riorganizzazione che ai profani non dirà nulla ma che ai più curiosi richiama alla memoria la costituzione di pool dedicati alla lotta a Cosa nostra, che ebbero il loro momento più alto con la squadra di lavoro palermitana messa in piedi dal giudice Antonino Caponnetto.
IL METODO DI LAVORO
Il 14 luglio 2008 è stato il giorno che ha segnato la riorganizzazione della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catania.
La novità più significativa, contenuta nel provvedimento di riorganizzazione, è nella disciplina dei rapporti fra la Dda stessa, il Procuratore nazionale antimafia e il magistrato della Direzione nazionale antimafia (Dna) delegato al collegamento investigativo.
Nella riorganizzazione sono state, infatti, individuate aree criminali omogenee:
1) gruppi Pillera, Cappello, Sciuto, Laudani e quelli della zona di Niscemi;
2) famiglia catanese di Cosa ostra guidata da Benedetto Santapaola, clan Mazzei, e grandi appalti;
3) clan Attanasio (ex Urso-Bottaro), gruppo S. Panagia, e gruppo Nardo-Aparo-Trigila;
4) gruppi stiddari e di Cosa nostra operanti nella zona di Ragusa e in particolare a Vittoria. Di ciascuna delle aree indicate si occupa un gruppo di magistrati secondo le indicazioni fornite in un successivo provvedimento del 17 luglio 2008.
I risultati si sono visti quasi subito anche grazie alla collaborazione spontanea di molti colleghi della Procura ordinaria, il che la dice lunga sulla volontà di lavorare dei magistrati anche a fronte delle in
efficienze croniche del sistema giudiziario.
Nel periodo 2008/2009 sono state richieste 59 misure di custodia cautelare in carcere per complessive 474 persone indagate per mafia e sono stati gestiti, per i piani provvisori e per i programmi speciali di protezione, 15 collaboratori della giustizia, per i quali sono state avanzate nuove proposte di misure di protezione. Sono state inoltre avanzate 54 misure di prevenzione personali e 22 misure di prevenzione patrimoniali.
“Nonostante la pressione giudiziaria esercitata sulle cosche – si legge nella relazione 2009 della Direzione nazionale antimafia – queste ultime riescono comunque a gestire i tradizionali affari: estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti e l’aggiudicazione illecita degli appalti”. Il che lascia dunque capire che la forza, nonostante i colpi inferti, se non è rimasta intatta, ha comunque un enorme capacità di “autoriprodursi”.
TRAFFICO DI DROGA E NUUOVI SCENARI
Come dimostrano tanto l’arresto di Lo Giudice quanto l’assassinio di Tucci, il traffico di droga è ancora in testa ai pensieri di Cosa nostra: rende e dà gloria a molti.
Al punto che gli scenari stanno velocemente cambiando e la frammentazione dei poteri ai quali si assiste richiama più la polverizzazione camorristica che la verticalizzazione siciliana.
A proposito della provincia di Catania e delle province limitrofe, ecco cosa scrive il magistrato Roberto Alfonso nella relazione che ha consegnato a fine 2009 nelle mani del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. “…si conferma anche per quest’anno l’espansione in tutto il distretto del traffico degli stupefacenti, sempre saldamente controllato dalla criminalità organizzata, anche se, da una riflessione dei colleghi della Dda, era emerso, già negli scorsi anni, che nella zona di Ragusa sono attivi dei gruppi che non hanno alcun collegamento con i gruppi mafiosi tradizionalmente operanti nella zona (clan Dominante), i quali non sono, comunque, in grado di poter condizionare o impedire l’attività di persone ad essi estranee che trafficano in sostanze stupefacenti. La novità emersa dalle più recenti indagini è però costituita dal fatto che i gruppi suddetti sono riusciti a darsi una struttura organizzativa più complessa e meglio articolata, tale da renderli molto più efficienti. Nella zona di Catania operano invece sia soggetti collegati ai clan mafiosi sia altri, fra cui anche sudamericani, assolutamente estranei ai gruppi mafiosi. Nella zona di Siracusa il traffico viene, invece, gestito ancora in maniera capillare dai gruppi mafiosi operanti nella zona medesima”.
IL CLAN SANTAPAOLA E I RAPPORTI CON PALERMO
Con questi assetti mutanti e mutabili, di riffa o di raffa, dovrà fare i conti anche il clan per eccellenza di Catania. Quello di Nitto Santapaola. E anche qui le novità non mancano e anche in questo caso il mondo è in evoluzione.
Dalle più recenti acquisizioni investigative si è appreso che il clan Santapaola è
composto dai seguenti gruppi:
1) Villaggio S. Agata, cha ha assorbito il Gruppo della Zia Lisa;
2) Monte Po;
3) Civita;
4) Picanello;
5) Montepalma;
6) Stazione;
7) via Ottantapalmi;
8) Giarre e Fiumefreddo;
9) Acireale e Acicatena;
10) Paternò.
Anche per quanto riguarda i rapporti fra la famiglia catanese e Cosa nostra palermitana, la Dna ribadisce “che negli ultimi anni esse hanno mantenuto costanti rapporti mediante periodici incontri dei rispettivi rappresentanti, fra i quali Angelo Santapaola ed Enzo Aiello e hanno assunto iniziative comuni nel campo degli appalti e delle estorsioni, come risulta dalle dichiarazioni dei collaboratori della giustizia palermitani Franzese Francesco, Nuccio Antonino e Pulizzi Gaspare. Ciò conferma, ove ce ne fosse bisogno, il legame sinergico che unisce le due organizzazioni criminali. Anche a Catania, tuttavia, si è potuta osservare l’esistenza della spaccatura all’interno della famiglia catanese fra i Santapaola e i Mazzei. Frattura catanese che rispecchia quella palermitana fra gli affiliati vicini a Bernardo Provenzano e quelli schierati con Vito Vitale, a cui sono legati i Mazzei”.
Interessante sarà vedere l’evoluzione dei gruppi mafiosi più pericolosi a Catania (Santapaola appunto, Laudani, Brunetto, Cappello e la sua articolazione dei “Carateddi”, i primi due contrapposti agli altri, i Mazzei, detti carcagnusi e Pillera-Di Mauro, detti i puntina). “Si tratta infatti – scrive Alfonso – di vicende caratterizzate da grandissima rilevanza strategica per i gruppi in contrapposizione, essendo esse destinate a incidere sull’assetto criminale della città di Catania e delle zone limitrofe per molti anni”.
roberto.galullo@ilsole24ore.com