“Palazzolo wen stryd teen uitlewering” titolava il 15 giugno la versione online del quotidiano di Città del Capo Die Burger. Cosa vuol dire? Semplice e disarmante: in lingua afrikaans significa: “Palazzolo vince la lotta contro l’estradizione”. Si badi bene: è l’unico giornale sudafricano (di cui io almeno ho trovato traccia) ad aver dato la notizia che poi Repubblica ha dato nell’edizione del 20 gennaio e il giorno prima online.
Ebbene sì, nonostante il governo sudafricano di Pretoria avesse deciso di dare esecuzione alla sentenza italiana che il 5 luglio 2006 aveva condannato a 9 anni per associazione mafiosa il finanziere di Terrasini (sentenza confermata il 17 marzo 2009 dalla Cassazione dopo aver superato indenne anche l’appello), non c’è stato nulla da fare. Con una sentenza-capolavoro di 28 pagine, i giudici dell’Alta corte sudafricana Burton Fourie e Jakes Yekiso, hanno vanificato l’ultimo sforzo dei pm della Procura antimafia di Palermo, Gaetano Paci e Domenico Gozo, che da anni cercano di riportare in Italia Vito Roberto Palazzolo, alias Robert Von Palace Kolbatschenko, da tempo cittadino sudafricano.
E proprio questa cittadinanza – a lungo cercata e voluta – come vedremo ha permesso al finanziere siciliano, che Giovanni Falcone negli anni 80 definì il cassiere di Cosa Nostra, gli ha permesso, ancora una volta, di avere la meglio. Per il momento.
Sì, perché ormai è chiaro che se guerra è deve esserlo fino all’ultimo e la Procura di Palermo ha già trovato un punto di attacco. E’ una mera questione di orgoglio perché sia chiara una cosa: in Italia Palazzolo – al quale ho dedicato i post del 13, 14, 15 e 16 giugno – non tornerà mai più in Italia. Alle brutte le frontiere di Botswana, Angola e Namibia sono lì, pronte a essere saltate in un istante. Le coperture, i soldi e le amicizie non gli mancano di certo.
Ma andiamo con ordine, andando a vedere cosa dice la sentenza che – amati lettori del blog – ho tradotto dall’inglese in questo fine settimana. Non sarà perfetta (è perfezionabile ma il mio inglese, una volta fluente, ora è arrugginito e per di più è complicato da alcune espressioni molto tecniche) ma dice tutto. La troverete in calce a questo post e, per agevolarvi la lettura, vi ho evidenziato in grassetto le parti più gustose. E’ un documento esclusivo che dimostra – a mio giudizio – come a volte (sempre più spesso) il diritto possa essere la tomba della legalità. Perlomeno di quella italiana.
LE MOTIVAZIONI DELL’ALTA CORTE SUDAFRICANA
I giudici – sostanzialmente – dicono che Palazzolo non può essere estradato in Italia per scontare i 9 anni di detenzione inflittigli a titolo definitivo, perché il Sudafrica non riconosce il reato di associazione mafiosa e dunque no c’è reciprocità tra lo Stato richiedente (l’Italia appunto) e quello che dovrebbe cedere Palazzolo (il Sudafrica ovviamente). Per arrivare a questa decisione il buongiorno si vede dal mattino. Nelle prime righe, dopo aver riconosciuto che tra il Sudafrica e Palazzolo i rapporti sono stati, come dire, travagliati, i giudici se ne escono con una frase a effetto: “…il Governo sudafricano per molti anni sì è mosso con spirito di vendetta contro di lui…”.
Dopo un lungo richiamo alle convenzioni bilaterali e internazionali che disciplinano i rapporti tra i due Paesi in tema di estradizione, i giudici affermano che: “…Il ricorrente sostiene che il ministero nell’affrontare la notifica deve raggiungere una conclusione se la persona è passibile di essere estradata nel Paese richiedente. Le Autorità, da parte loro, affermano che tutto ciò che era richiesto dalla sezione 5 (1) (a) è assicurare sulla validità formale della richiesta di estradizione. E affermano che la decisione se una persona deve essere passibile di estradizione può essere raggiunta solo dal magistrato dopo un’inchiesta così come contemplata dalle sezioni 9 e 10 dell’Atto”.
Cosa vuol dire in soldoni? Che secondo la difesa di Palazzolo il ministero della Giustizia che negli ultimi tre anni per due volte sembrava aver dato il via libera all’estradizione, doveva decidere: Palazzolo è oppure non è passibile di estradizione. Tertium non datur.
Il Governo sudafricano, invece, dice una cosa (a mio modestissimo avviso) di buon senso: solo la magistratura può decidere, dopo un’inchiesta, se Palazzolo può o non può essere estradato.
Questo è un concetto che, in un modo o nell’altro, riecheggia più volte, come quando i giudici scrivono che: “…il ministro (della Giustizia ndr) ha il bisogno di considerare se, almeno in prima battuta, così come richiede la richiesta di estradizione, è stato accusato o condannato per un reato estradabile”.
E poi ancora: “… il ministro non è un mero e formale custode, ma a lui è richiesto dei formarsi un’opinione sull’estradabilità in base al reato”.
E poi l’affondo tutto d’un fiato: “ E’ evidente, secondo la documentazione della controparte, incluse le certificazioni giurare dei ministri Surty e Radebe, che né il ministro Surty né il ministro Radebe si son fatti venire in mente se il reato per il quale il richiedente (cioè Palazzolo ndr) era stato condannato in Italia fosse un reato passibile di estradizione.
In particolare entrambi hanno fallito nel considerare se la richiesta del Governo italiano mostrasse, almeno in prima battuta, che il richiedente (Palazzolo ndr) fosse stato condannato o accusato di un reato passibile di estradizione secondo le leggi sudafricane”.
NESSUNA CORRISPONDENZA DI REATO TRA ITALIA E SUDAFRICA
Ma anche se i ministri avessero dato ascolto a questo precetto e dunque si fossero peritati di capire se il reato fosse o meno passibile di estradizione, sarebbe stato tutto inutile. Perche? Leggete qui: “In ogni caso la richiesta di estradizione non statuiva o mostrava che la condanna per associazione aggravata di stampo mafioso (416 bis del codice penale italiano) avesse una corrispondenza nel diritto penale sudafricano e risultasse dunque nella sua essenza un reato passibile di estradizione. La fiducia della controparte (cioè del Governo sudafricano, tanto per esser chiari ndr) negli Atti del 1998 e del 2004, secondo la mia convinzione, è mal riposta. Questi Atti non criminalizzano l’associazione mafiosa secondo le caratteristiche del 416 bis del Codice penale italiano e non erano, in ogni caso, ancora state promulgate al tempo in cui il richiedente (sempre Palazzolo ndr) era asseritamente coinvolto in attività mafiose in Italia, che condussero alla sua condanna nel Tribunale di Palermo”.
E dunque visto che il Sudafrica non contempla il reato di associazione mafiosa, come si può estradare un cittadino oltretutto – aggiungo io – che ha una cittadinanza sudafricana da una vita?
I FALDONI PIENI DI ERRORI
E anche se – per assurdo – tutto questo non esistesse, bisogna tener conto, secondo i due giudici dell’Alta Corte, che in questo contenzioso ci sono stati errori a ripetizione, che hanno fuorviato tutto l’iter processuale. Nel fare riferimento alle testimonianze giurate degli ultimi due ministri della Giustizia succedutisi, scrivono infatti che: “…nello giungere alle rispettive decisioni, i ministri Surty e Radebe hanno avuto riguardo ai memoranda preparati dal Dipartimento. Hanno ammesso che nei memoranda erano stati mal informati dal Dipartimento circa il numero e la natura dei reati commessi dal richiedente (Palazzolo) in Italia. Il ministro Surty ha ammesso che il memoranda che il Dipartimento gli aveva consegnato “riferiva in maniera sbagliata che il richiedente era stato condannato per narcotraffico internazionale”. Il ministro Radebe ha ammesso che era stato mal informato che il richiedente era stato anche condannato per narcotraffico internazionale e riciclaggio”.
Le conclusioni sono ovvie: Palazzolo non può essere estradato e il collegio di difesa ha anche diritto al risarcimento delle spese sostenute. Punto. Per ora.
IL COMMENTO DELLA DIFESA
Come riporta Repubblica del 20 giugno, gli avvocati italiani di Palazzolo, Baldassare Lauria e Giannino Guisa, cantano vittoria. “Nel provvedimento dell’alta Corte – spiega Lauria – abbiamo dimostrato che il rapporto degli organi di polizia sudafricani su questo caso contiene dei dati falsi. I giudici danno conto inoltre dell’esistenza di alcune gravi violazioni del diritto di difesa avvenute nel processo italiano: abbiamo scoperto che alcuni funzionari del ministero della Giustizia sudafricano incontrarono i giudici di Palermo per decidere quali testimoni dovevano essere interrogati durante la trasferta del tribunale in Sudafrica. E poi il nostro cliente era stato già assolto dal reato di associazione mafiosa nel 1992 dal tribunale di Roma”.
Inutile ricordare, aggiungo io, come ho scritto anche negli altri post, che la Giustizia italiana aveva replicato che la sentenza di Palermo andava ben oltre il 1992 e descriveva un quadro, ancora attuale al 2006 e presumibilmente anche dopo, di pericolosità di Palazzolo. “La storia di Vito Rober
to Palazzolo deve essere riscritta – ha affermato ancora l’avvocato Lauria – per questo stiamo facendo ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo. La decisione dell’alta Corte ha intanto messo un punto autorevole a questa vicenda”.
LA REAZIONE DEI PM DI PALERMO
L’Ansa alle 16.06 del 19 giugno, riprendendo a sua volta il sito online di Repubblica, riporta le parole del Pm Gaetano Paci, da tempo impegnato nella caccia a Palazzolo. ''Vito Roberto Palazzolo e' uno dei piu' grandi riciclatori di Cosa nostra – dice il sostituto procuratore di Palermo, che con Gaetano Gozzo ha indagato sul finanziere – La decisione dell'alta Corte sudafricana rafforza ulteriormente il carisma e l'aura di imprendibilita' di Palazzolo, che e' ricercato non solo dall'Italia, ma anche dalle autorita' americane''. Sul sito di Repubblica si legge di più: “Vito Roberto Palazzolo è uno dei più grandi riciclatori di Cosa nostra – dice Paci – la sentenza della Cassazione che conferma le decisioni dei giudici siciliani dice che da almeno 20 anni Palazzolo è inserito nelle dinamiche associative mafiose, con funzioni rilevanti di cerniera tra il mondo imprenditoriale internazionale e l’associazione criminale, con lo scopo precipuo di consentire a Cosa nostra la gestione e il reimpiego dei capitali assunti illecitamente”.
E Secondo il magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, “il Sudafrica è obbligato a dare esecuzione alla richiesta di estradizione italiana in base alla convenzione sul crimine transnazionale firmata proprio a Palermo nel 2001. Nessuna violazione del diritto di difesa è stata fatta nel processo italiano a Palazzolo e la riunione fra i funzionari sudafricani e giudici di Palermo era puramente organizzativa”.
LA CONVENZIONE SUL CRIMINE DI PALERMO DEL 2001
E proprio dalla convenzione transnazionale firmata a Palermo nel 2001, siglata anche dal Sudafrica ma che nella sentenza non viene affrontata, dobbiamo concludere (e forse legare le speranze della Giustizia italiana di portare, con una possibilità su un fantastilione di miliardi, Palazzolo in Italia).
La Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, con i due protocolli – rispettivamente per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e di bambini il primo, e per combattere il traffico di migranti il secondo – sono stati aperti alla firma nel corso della conferenza tenutasi a Palermo dal 12 al 15 dicembre 2000. Nel maggio del 2001, l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato il terzo Protocollo, quello contro la produzione e il traffico illegali di armi da fuoco, delle loro parti, componenti e munizioni, aperto alle firme dal luglio del 2001. Il consenso sui testi delle bozze della Convenzione e dei protocolli è stato raggiunto in così breve tempo da non avere precedenti nella storia dell’elaborazione di Convenzioni internazionali di questo rilievo.
Che dire, delle due l’una: o il Sudafrica ha firmato questa convenzione transnazionale oppure no ma la musica non cambierebbe. In un modo o nell’altro (sempre legittimo, perché il Sudafrica è uno Stato sovrano) Palazzolo lì è e lì resterà. Con buona pace della Giustizia.
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IL TESTO DELLA DECISIONE
INTRODUZIONE
L’ALTA CORTE DEL SUDAFRICA
Causa n.4731/2010
Contenzioso tra
VITO ROBERTO PALAZZOLO (APPLICANT)
E
IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA E SVILUPPO COSTITUZIONALE (FIRST RESPONDENT)
IL PRECEDENTE MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E SVILUPPO COSTITUZIONALE (SECOND RESPONDENT)
IL DIRETTORE GENERALE: DELLA GIUSTIZIA E SVILUPPO COSTITUZIONALE (THIRD RESPONDENT)
IL DIRETTORE NAZIONALE DELLA PUBBLICA ACCUSA (FOURTH RESPONDANT)
GIUDIZIO ESPRESSO: 14 GIUGNO 2010
FOURIE, J:
(1) Gli eventi per i quali si procede percorrono un periodo di oltre 20 anni, Fin dal suo arrivo il 26 dicembre 1986, i rapporti tra Vito Roberto Palazzolo e le Autorità sono stati travagliati. Infatti deve essere tenuto a mente che, probabilmente a causa della sua reputazione come un membro influente della mafia italiana, il Governo sudafricano per molti anni sì è mosso con spirito di vendetta contro di lui.
(2) Nonostante questi rapporti travagliati gli fu garantita la cittadinanza sudafricana il 24 gennaio 1995.
La sua presunta appartenenza alla mafia, comunque, condusse a sei richieste di estradizione del Governo italiano nei confronti delle Autorità sudafricane.
Le prime cinque richieste, che furono effettuate tra il dicembre 1992 e l’agosto 2003, furono,
per una variegata serie di ragioni, infruttuose.
La sesta richiesta, datata 16 gennaio 2007, fu ricevuta il 5 febbraio 2007 ed è proprio questa la richiesta di cui si dibatte oggi.
(3) Quest’ultima richiesta di estradizione è basata sulla sua condanna, in contumacia, da parte del Tribunale di Palermo il 5 luglio 2006.
Palazzolo fu condannato per associazione mafiosa e condannato a 9 anni di reclusione. La condanna e la sentenza furono successivamente confermate dalla Corte d’appello di Palermo e dalla Cassazione.
LO SCHEMA LEGISLATIVO
(4) Una procedura di estradizione produce effetti sia sul piano nazionale che internazionale. Sul piano internazionale, la richiesta di uno Stato sovrano nei confronti di un altro Stato sovrano per l’estradizione di un particolare soggetto, e la risposta per la richiesta, sono governate da regole di diritto pubblico internazionale. Le regole legislative di base per l’estradizione sono il trattamento, la reciprocità o la disponibilità. Comunque, prima che lo Stato al quale viene avanzata la richiesta possa prendere in considerazione la richiesta per il singolo individuo, ci deve essere il rispetto per le sue leggi nazionali. Ciascuno Stato è libero di decidere quando e come una richiesta di estradizione sarà soggetta a trattazione e le procedure per l’arresto e la consegna dell’individuo in oggetto.
(5) Per quel che riguarda il caso in esame ci troviamo di fronte ad un trattato, chiamato Convenzione europea sull’estradizione (1957), che regola l’estradizione tra Italia e Sud Africa.
Sul piano nazionale, l’Atto di Estradizione n.67 del 1962 regola i modi in cui la richiesta di estradizione deve essere presentata nei confronti del Governo sudafricano e dei suoi Tribunali.
Il Sudafrica ha aderito alla Convenzione e ai due successivi protocolli, il 13 maggio 2003. L’articolo 1 della Convenzione ha dato vita all’obbligo internazionale per il quale i Paesi contraenti si impegnano a consegnare l’uno all’altro i soggetti che si trovano nelle condizioni sottoscritte nella Convenzione, tutte le persone contro le quali le Autorità competenti delle parti richiedenti stanno procedendo a causa di un reato oppure che sono ricercati per l’esecuzione di una pena o di un ordine di detenzione.
(6) L’articolo 2.1 della Convenzione dispone quanto segue:
“L’estradizione deve essere garantita nel rispetto della punibilità dei reati secondo le leggi della parte richiedente e della parte che riceve la richiesta di privazione della libertà o un ordine di detenzione per un periodo di almeno un anno o pene più severe…”.
Questo costituisce l’architrave della Convenzione reciproca contro la criminalità, tenendo conto che i reati rilevanti devono prevedere la punibilità per le leggi della parte che richiede e per la controparte.
(7) L’articolo 12 della Convenzione dispone le seguenti formalità:
“La richiesta deve essere scritta e deve essere comunicata attraverso i canali diplomatici. Altri mezzi di comunicazione devono essere stabiliti da accordi diretti tra due o più parti.
La richiesta deve essere accompagnata da:
a) la copia originale o una copia autenticata della condanna e della sentenza o dell’ordine di detenzione immediatamente eseguibile o dal mandato di arresto o altri ordini che producono lo stesso effetto e che sono basate sul rispetto delle procedure stabilite nelle leggi della parte richiedente;
b) �
160; l’elenco dei reati per i quali è richiesta l’estradizione. Il momento e il luogo in cui sono stati commessi, la loro descrizione e un riferimento alle pertinenti disposizioni di legge che devono essere definite nel modo più accurato possibile; e
c) una copia dei decreti in questione o, quando ciò non sia possibile, una dichiarazione delle leggi e una descrizione quanto più precisa possibile della persona per la quale si chiede l’estradizione, con ogni altra informazione che possa aiutare a stabilire l’identità e la nazionalità”.
(8) Le disposizioni pertinenti dell’Atto, che danno vita al meccanismo per l’estradizione di persone passibili di estradizione, possono essere riassunte come segue:
a) La richiesta per la consegna di persone a uno Stato straniero deve essere ueffettuata dal ministro della Giustizia
b) Al ricevimento di una notifica da parte del ministero per l’effetto che una richiesta per la consegna di una persona a uno Stato straniero è stata ricevuta, un magistrato può emettere un mandato per l’arresto di tale persona;
c) Ogni persona detenuta nell’ambito di una richiesta di arresto deve essere portata al cospetto di un magistrato nella cui giurisdizione tale persona è stata arrestata, dopo di che il magistrato deve essere titolare di un’inchiesta in vista della consegna di tale persona allo Stato straniero in questione;
d) Se a seguito delle prove alle quali porta l’inchiesta, il magistrato si convince che la persona portata di fronte a lui è passibile di essere consegnata a uno Stato straniero, può spedire la persona in carcere in attesa della decisione del ministero sulla sua consegna;
e) Il magistrato che ha emesso l’ordine di rinvio deve immediatamente spedire una copia degli atti del procedimento, insieme a tutti gli altri atti che dovesse ritenere utili, al ministro. Il ministro può ordinare o rifiutare la consegna, secondo determinati criteri, al Paese richiedente;
f) Ogni persona per la quale è stata presa una decisione, ha il diritto di appellarsi all’Alta Corte e nessun ordine di consegna può essere eseguito prima che il diritto di appello sia stato esercitato o istruito.
LA TRATTAZIONE DELLA SEZIONE 5 (1) (A) NOTICE
(9) La richiesta immediata di estradizione era rinviata al Dipartimento di Giustizia, in attesa dell’esito del ricorso di appello in Italia.
Quando la Cassazione finalmente chiuse la vicenda il 13 marzo 2009, il Dipartimento mise in moto le procedure per l’estradizione di Palazzolo. Questo è quanto risultava dal secondo interpellato (il ministro Surty) in una nota scritta secondo i termini della sezione 5 (1) (a) dell’Atto, il 23 aprile 2009. E’, comunque, fatto comune che la notifica non è stata ancora trasmessa al magistrato, così come contemplato dalla sezione 5 (1) (a) dell’Atto.
Quanto detto dal ministro Surty fu successivamente avallato dal ministro Radebe che il 16 luglio 2009 confermò la decisione di evidenziare la sezione 5 (1) (a) e non c’era ragione di discostarsene.
I PROVVEDIMENTI RICHIESTI DAL RICORRENTE
(10) Il rilascio della notifica da parte del ministro Surty e la successiva conferma da parte del ministro Radebe, hanno portato il ricorrente ad avviare le procedure di ricorso. Il ricorrente ha promosso richieste ad ampio raggio, ivi incluse la decisione confermata secondo i termini della sezione 5 (1) (a) dell’Atto. Sono stati avanzati anche provvedimenti ausiliari e alternativi ai quali farò riferimento in corso di trattazione.
SVILUPPO
(11) Nel determinare se la decisione di fare ricorso alla sezione 5 (1) (a) dell’Atto non è valida e deve dunque essere accantonata, è necessario esaminare qual è il dovere del ministro nel fare ricorso a tale notifica.
(12) Il ricorrente sostiene che il ministero nell’affrontare la notifica deve raggiungere una conclusione se la persona è passibile di essere estradata nel Paese richiedente. Le Autorità, da parte loro, affermano che tutto ciò che era richiesto dalla sezione 5 (1) (a) è assicurare sulla validità formale della richiesta di estradizione. E affermano che la decisione se una persona deve essere passibile di estradizione può essere raggiunta solo dal magistrato dopo un’inchiesta così come contemplata dalle sezioni 9 e 10 dell’Atto.
(13) Questo problema richiede una interpretazione delle previsioni rilevanti dell’Atto e della Convenzione. Nell’interpretare ogni legislazione, la sezione 39 (2) della Costituzione della Repubblica del Sud Africa, anno 1996, spinge i Tribunali a promuovere lo spirito, il significato e gli oggetti della Carta dei Diritti. L’Atto nulla dice sui requisiti del Ministero nel rilasciare la notificazione nei termini di quanto previsto dalla sezione 5 (1) (a), mentre la sezione 4 (2) si limita meramente a prevedere che la richiesta di estradizione di una persona dalla Repubblica, deve essere consegnata al Ministero. La sezione 5 (1) (a) dell’Atto si occupa del rilascio della notifica da parte del Ministero che innesca il processo a livello nazionale, così come il ricevimento da parte del magistrato autorizza lui o lei a emettere un mandato per l'arresto di una persona che deve essere estradata, che conduce poi alla richiesta di informazioni previste dalla sezione 10.
(14) La Convenzione, che regola le procedure sul piano internazionale, conferma l’obbligo delle parti di estradare e consegnare ciascuna all’altra parte i soggetti previsti nelle condizioni descritte dall’Atto, persone che hanno commesso reati punibili secondo le leggi delle parti richiedenti. Come indicato dopo, l’articolo 12 della Convenzione dettaglia le formalità attraverso le quali la richiesta e i documenti a sostegno devono essere compilati. Comunque, siccome la Convenzione si occupa solo del processo di estradizione sul piano internazionale, non descrive i modi in cui le parti che richiedono devono occuparsene a livello nazionale.
(15) Nelle previsioni dell’Atto è evidente che alla luce della presentazione di una richiesta di estradizione di una persona il Ministero deve prendere una decisione per quanto riguarda il destino della richiesta. E’ ovvio che il Ministero ha la possibilità di rifiutare o istruire nei termini della notifica della sezione 5 (1) (a). Una terza iniziale opzione appare accessibile, vale a dire richiedere un’informale richiesta che deve essere successivamente emendata o implementata.
(16) Quanto al rischio di prevedere l’ovvio, c’è da notare che l’Atto non descrive quale decisione deve essere presa dal Ministero, sicchè non statuisce che il Ministero è obbligato a emettere un avviso secondo quanto previsto dalla sezione 5 (1) (a).
Perciò logica vuole che al Ministero è richiesto di formarsi un’opinione su come deve essere o meno dato il via alla notifica che, come sempre stato dimostrato, attiva il processo di estradizione.
(17) La questione che si presenta ora, è quali considerazioni sono state tenute in conto dal Ministero nel decidere se ricorrere alla notifica di cui alla sezione 5 (1) (a). Dunque bisogna affidarsi alla Convenzione e all’Atto per ogni risposta. E’ chiaro, secondo la mia opinione, secondo le previsioni della Convenzione e dell’Atto,
che, in questa richiesta, la doppia incriminazione è alla base del processo di estradizione. Questo appare evidente dall’articolo 2.1. della Convenzione e dalle sezioni 2 e 3 dell’Atto.
(18) Il ruolo della doppia incriminazione richiede che “ il comportamento richiesto per costituire un crimine estradabile deve costituire un crimine in entrambi i Paesi”.
(19) La sezione 2 (1) (a) dell’Atto, dà poteri al Presidente di chiudere l’accodo di estradizione con gli Stati sovrani, che prevede la consegna su basi reciproche di persone accusate o condannate per aver commesso i reati passibili di estradizione specificate in tale accordo. La sezione 3 (1) dell’Atto, prevede che una persona accusata o condannata per un reato incluso in un trattato di estradizione, possa essere estradato. Come menzionato oltre, l’articolo 2.1. della Convenzione prevede che l’estradizione “deve essere garantita nel rispetto dei reati punibili nel rispetto della legge della parte richiedente e della parte a cui viene richiesta…”. Perciò, in questa vicenda, il richiedente può essere passibile di estradizione in circostanze in cui egli è stato condannato oppure è accusato di un crimine sottoposto a estradizione, o in alternativa un reato punibile per l’Italia e il Sud Africa. Si veda anche la definizione di “reato estradabile” nella sezione 1 dell’Atto.
(20) Sono d’accordo con la presentazione del richiedente, visto che il senso comune dice che, aldilà del fatto che la richiesta sia formalmente in ordine, il ministro ha il bisogno di considerare se, almeno in prima battuta, così come richiede la richiesta di estradizione, è stato accusato o condannato per un reato estradabile.
Questa visione è confermata dalla decisione di due giudici di questa Alta Corte nel 2001.
(21)Deve essere tenuto a mente che al ministro non è richiesto, prima di fare ricorso alla notifica nei termini dettati dalla sezione 5 (1) (a) dell’Atto, di essere soddisfatto dal fatto che la persona in questione è davvero passibile di essere consegnata allo Stato richiedente. E al ministro non è neppure richiesto di investigare nei meriti della richiesta di estradizione. Ciò che fu deciso in una causa del 2001, è che prima che il ministro faccia ricorso alla sezione 5 (1) (a), la richiesta stessa deve certificare o mostrare che la persona in questione è accusata o condannata per un reato estradabile o in alternativa un reato incluso in un trattato di estradizione.
(22) Rispettosamente io concordo con l’approccio adottato nella causa del 2001 (causa Abel). Al contrario, non sono d’accordo con la presentazione, a nome di quanti hanno risposto che, prima di fare ricorso alla notifica di estradizione nelle forme di cui alla sezione 5 (1) (a), al ministro non era richiesto di raggiungere conclusioni o di formarsi un’opinione o almeno in prima battuta se riteneva che il richiedente fosse accusato o condannato per un reato sottoposto a estradizione. Questo approccio della controparte ridurrebbe la funzione del ministro al ruolo di un custode che deve semplicemente verificare se vengono soddisfatti i requisiti formali. Come fa presente il richiedente (che è sempre Palazzolo ovviamente, ndr) è difficile comprendere perché, se l’analisi del ministro deve essere solo formale, questo compito deve essere legislativamente assegnato al ministero del Governo nazionale.
(23) Ma uno deve anche tenere a monte che la Corte costituzionale ha statuito che, quando ricorrono i termini della sezione 3 (2) dell’Atto, il Presidente consente la consegna di una persona ad uno Stato straniero nelle circostanze in cui tale Stato straniero non fa parte di un accordo di estradizione; lui o lei deve avere riguardo al fatto che la persona in questione è stata condannata o e stata accusata di condotte criminale nello Stato richiedente e che il reato è punibile di estradizione.
(24) La decisione Geuking porta acqua a questa visione secondo la quale, quando il ministro agisce nei termini previsti dalla sezione 5 (1) (a), il ministro non è un mero e formale custode, ma a lui è richiesto dei formarsi un’opinione sull’estradabilità in base al reato.
(25) E’ stato sostenuto dalla controparte che, così come è stato statuito nella causa Abel secondo la quale il ministro oltre a fare ricorso alla notifica nei termini della sezione 5 (1) (a) deve avere una richiesta che attesta o mostra che la persona in questione è accusata o condannata di un reato passibile di estradizione, il giudizio è chiaramente sbagliato. Non sono d’accordo. Al contrario, per le ragioni fornite, credo che, così decidendo nella causa Abel, la Corte ha correttamente richiesto che il ministro si formi un’opinione sulla estradabilità del reato in questione. Quindi il requisito che la richiesta deve statuire o mostrarlo.
(26) Sono d’accordo con questa visione, sebbene l’Atto nulla preveda su cosa sia richiesto al ministro prima di ricorrere alla sezione 5 (1) (a), consegue comunque che al ministro è richiesto di concludere, almeno in prima battuta, così come si presenta la richiesta, se il bersaglio della richiesta (cioè sempre il Palazzolo in questo caso ndr) è stato condannato o accusato di reato passibile di estradizione. Se questo requisito non c’è, si giungerebbe all’assurdità di una richiesta di estradizione per una persona per un reato non passibile di estradizione.
(27) Deve essere tenuto a mente che istruire una richiesta di estradizione così come disciplinato dalla sezione 5 (1) (a) può portare all’arresto della persona e l’arresto è l’anticamera di un’inchiesta così come disciplinata dalle sezioni 9 e 10 dell’Atto. I diritti costituzionali di un cittadino sudafricano arrestato in questo modo non possono, indubitabilmente, essere violati. Vengono alla mente i diritti di libertà, sicurezza, libertà di movimento e residenza, libertà di associazione, lavoro.
(28) E così la prova del budino è mangiarlo (modo di dire che sta a significare che la prova è nei fatti ndr). E’ di tutta evidenza che le precedenti richieste del Governo italiano per l’estradizione del richiedente (Palazzolo ndr) sono state rifiutate prima della fase di accertamento, anche per la ragione che il reato evidenziato non era un reato sottoposto ad estradabilità.
(29) Ed ora torno a considerare che, nel fare ricorso alla richiesta disciplinata dalla sezione 5 (1) (a) in questo preciso caso, il ministro si è formato la convinzione che il richiedente (Palazzolo ndr) è stato arrestato o condannato per un reato passibile di estradizione. E’ di tutta evidenza alle parti che la decisione operativa è quella del ministro Surty. Come riporterò oltre, il ministro Radebe ha meramente confermato o approvato la decisione del suo predecessore e ha deciso che non c’era motivo di discostarsene.
(30) E’ altresì di tutta evidenza che le sole fondamenta per la richiesta italiana di estradizione del richiedente (Palazzolo ndr) è la convinzione di associazione mafiosa aggravata del codice penale italiano. L’opinione espressa dl ricorrente deponente per rispondere alla certificazione giurata (affidavit) della controparte è che non era necessario per il ministro determinare se il reato è uno di quelli per i quali può essere concessa l’estradizione secondo la legge sudafricana. La controparte snocciola come segue il paragrafo 405 della certificazione giurata (affidavit):
“Il ministro non ha bisogno di soddisfare l’esigenza, prima della richiesta secondo le modalità della sezione 5 (1) (a), che il reato in questione sia invece un reato passibile di estradizione. Questo è uno di quei fatti giurisdizionali che il magistrato (e il ministro se si considerano i risultati ai quali giunge il magistrato) deve soddisfare in sede processuale come risultato della notifica di estradizione in base al ricorso alla sezione 5 (1) (a)”.
(31) E’ evidente, secondo la documentazione della controparte, incluse le certificazioni giurare dei ministri Surty e Radebe, che né il ministro Surty né il ministro Radebe si son fatti venire in mente se il reato per il quale il richiedente (cioè Palazzolo ndr) era stato condannato in Italia fosse un reato passibile di estradizione.
In particolare entrambi hanno fallito nel considerare se la richiesta del Governo italiano mostrasse, almeno in prima battuta, che il richiedente (Palazzolo ndr) fosse stato condannato o accusato di un reato passibile di estradizione secondo le leggi sudafricane.
(32) Nella sua dichiarazione giurate (affidavit) il ministro Surty affermò che aveva capito che aveva discrezione se ricorrere o meno alle procedure di cui alla sezione 5 (1) (a) ma dichiarò che non vedeva ragioni per usare questa discrezione contro lo Stato richiedente (l’Italia ndr). Nella sua dichiarazione giurata il ministro Radebe confermò che anche lui aveva notato la discrezionalità ma anche lui non aveva trovato ragioni per ricorrervi contro lo Stato (italiano ndr). Appare chiaro che entrambi, secondo le dichiarazioni giurate, hanno fatto ricorso alla loro discrezione scolpendo nella propria mente che il richiedente (Palazzolo ndr) “