Sono le 11.26 del 5 ottobre quando la Procura della Repubblica di Palmi (Rc) comincia a verbalizzare in 17 pagine la nuova denuncia di Antonino De Masi, imprenditore di Rizziconi e a capo della sezione meccanica di Confindustria Reggio Calabria. De Masi è alla testa di un gruppo che dà lavoro ad oltre 250 persone e nella Piana di Gioia Tauro, a parte Medcenter container terminal che opera all’interno del porto, è l’impresa più grande.
La denuncia (di cui scrivo oggi sul Sole-24 Ore nel dorso di finanza), presentata anche alle Procure di Roma, Reggio Calabria e Catanzaro, questa volta, è contro Banca d’Italia per gravi reati finanziari ed è una conseguenza della sentenza della Procura generale di Reggio Calabria che il 2 luglio ha sostanzialmente confermato in appello che tre banche – Banca Di Roma, Bnl e Banca Antonveneta – avevano tenuto una condotta usuraia. Avevano cioè praticato all’imprenditore alcuni tassi usurari nel periodo 1999-2002. Assolti, perché nei loro confronti il fatto non costituiva reato, i tre presidenti dell’epoca (in primo grado per non aver commesso il fatto). La sentenza di primo grado era stata emessa a Palmi l’8 novembre 2007 e comunque l’imprenditore reggino, dal 2002 al 2009, ha presentato altre 4 denunce contro gli stessi gruppi bancari. Secondo le perizie che ha fatto svolgere, oltre ai 69 casi di sforamento per i quali la giustizia si è già pronunciata definitivamente (a meno di un intervento della Cassazione) ci sono complessivamente 200 casi di usura, con un conseguente illecito profitto, secondo De Masi che lo scrive, per le banche, di 949mila euro su 6 milioni di interessi.
Proprio la sentenza d’appello ha dato lo spunto all’imprenditore per fare un gesto inconsueto e chiamare direttamente in causa Bankitalia per omessa vigilanza del sistema creditizio, concorso in usura e in riciclaggio, falso in bilancio, appropriazione indebita e truffa ed estorsione, oltre che turbativa di libero mercato. Solo ora si viene a sapere che contro Banca d’Italia De Masi aveva già presentato un’analoga denuncia il 29 giugno di quest’anno, ma questo nuovo atto assume un rilievo profondo essendo stato elaborato alla luce della sentenza d’appello.
In realtà De Masi richiama anche la motivazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, mandata a Banca d’Italia e a De Masi stesso per conoscenza, nella quale si sottoponeva all’attenzione della banca centrale la circostanza che “in alcune aree del Paese, tra le quali la Regione Calabria, le banche praticavano tassi di interessi superiori alla legge (tassi oltre il 20%)”. “Questo drammatico dato rilevato ed indicato dall’Autorità garante – commenta l’imprenditore reggino – non è comprensivo delle spese e della famelica commissione di massimo scoperto così come previsto dalla legge e dalla pronuncia della Corte di Cassazione (sez. II pen, n.262 del 19-2-2010), valori questi che portano il costo del denaro al 25/30%”.
“Nel mio caso gran parte delle somme illecitamente sottrattemi dalle banche – scrive De Masi nella denuncia – provenivano da erogazioni pubbliche concesse dalla Regione, dallo Stato e dalla Comunità europea per realizzare attività imprenditoriali e creare occupazione. Tali importi, sottrattimi illegalmente, configurano quindi un’appropriazione indebita di soldi pubblici, giungendo perfino al reato di truffa ai danni dello Stato e della Comunità europea”.
LE ACCUSE A BANKITALIA
Nel dettaglio ciò che De Masi addebita alla Banca d’Italia, sul cui comportamento chiama a pronunciarsi ben 4 Procure è descritto in 10 punti (riporto testualmente):
1) Omessa vigilanza del sistema creditizio. Disattendendo i delicati obblighi previsti dalle leggi e dalla Costituzione (art. 47), non controllando l’operato delle banche;
2) Concorso in usura. Per aver avallato senza intervenire in alcun modo, nemmeno dopo la conoscenza del reato e le ripetute segnalazioni, compreso un atto stragiudiziale di diffida, le procedure illegali da parte delle banche di applicazione di tassi, spese e commissioni fuori dai limiti imposti dalla legge ed, in ogni caso, sproporzionati rispetto al credito erogato;
3) Concorso in riciclaggio. Per aver consentito alle banche di riciclare denaro di provenienza illecita (usura); come da sentenza del Tribunale di Palmi e da molteplici altre sentenze civili e penali emesse dai tribunali di tutta Italia.
4) Concorso in falso in bilancio. Per aver consentito alle banche di inserire nei propri bilanci poste attive di ricavi frutto di azioni illecite (anatocismo, usura), importi che in base alla legge non sono dovuti.
5) Concorso in appropriazione indebita. Per aver consentito alle banche di appropriarsi di soldi dei risparmiatori (come nel caso dell’anatocismo), senza intervenire e omettendo ogni dovuta azione.
6) Concorso in truffa. Per aver consentito alla banche di appropriarsi illegalmente, con l’applicazione di tassi, oneri e spese illegali, di soldi pubblici stanziati da Regione, Governo e Comunità Europea, e destinati allo sviluppo di aree disagiate ad obiettivo 1.
7) Turbativa del libero mercato. Per aver consentito alle banche di operare illegittimamente, turbando la concorrenza ed il libero mercato, in quanto avallando scelte commerciali illecite, come lo spropositato costo del denaro in alcune aree del paese, ha di fatto messo fuori mercato e fuori dalla sana competizione il sistema delle imprese locali.
8) Mancata applicazione della L.231/01 sulla responsabilità penale delle persone giuridiche. La Banca d’Italia, omettendo ogni dovuto intervento per evitare il proseguire dell’azione illegale delle banche, ha, anche, impedito che sulle stesse si operasse l’applicazione della normativa suddetta.
9) L’aver avallato un comportamento illegale da parte di un perito da essa stessa indicato, tendente a condizionare l’esito di un processo.
10)Concorso in estorsione. Le banche hanno utilizzato la minaccia della segnalazione in sofferenza presso la centrale rischi della Banca d’Italia, per ottenere il pagamento di somme non dovute (anatocismo, tassi usurari, spese non contemplate, CMS) e, pur dinnanzi a diverse segnalazioni, questa non è intervenuta per porvi rimedio. Nel caso in specie, il Gruppo De Masi per evitare tale segnalazione ha pagato somme rilevanti e non dovute per come accertato nei giudizi civili e nella sentenza penale emessa dal Tribunale di Palmi.
La chiamata in causa di Bankitalia arriva a pagina 14 del lungo esposto. “L’operato di Bankitalia – mette a verbale la Procura di Palmi – che anche grazie ad ambigue circolari (forse non disinteressate visto l’evidente conflitto d’interessi) ha consentito l’applicazione distorta della legge antiusura a danno dei cittadini risparmiatori, senza controllare compiutamente in quale (distorto) modo operasse il sistema bancario nel suo complesso”.
E ancora, sempre a proposito di Bankitalia, De Masi fa verbalizzare a pagina 5 che “… la pesantezza dei rilievi mossi dalla Corte D’Appello di Reggio Calabria sull’operato della Banca d’Italia allorquando nella sentenza, a pag. 66, ha evidenziato come le istruzioni formulate dall’istituto centrale sulla metodologia di calcolo del Teg ai fini dell’applicazione della legge antiusura “hanno comportato molteplici ambiguità suscitando confusione tra la clientela bancaria e prima ancora tra gli operatori
bancari e finanziari”. Orbene tale dichiarata ambiguità certifica ancora di più la totale inefficienza, da verificare sino a che punto voluta, della funzione di gestione e controllo della Banca d’Italia nel confronti del sistema bancario e finanziario italiano (la Banca d’Italia è una società di capitali i cui azionisti sono le banche stesse controllate, come si vedrà meglio in seguito)”.
I PROCESSI CHE VERRANNO
Come ho scritto sopra, oltre al procedimento in appello conclusosi sostanzialmente con la conferma del reato e le responsabilità emerse dei vertici delle banche, sono state depositate negli uffici della Procura ulteriori denunce per gli stessi reati, per i periodi successivi rispetto a quelli già oggetto di causa.
Queste denunce hanno portato all’avvio di altri procedimenti che sono attualmente in corso presso il Tribunale di Palmi, precisamente:
A) proc. penale nr. 1877/09 R. G.N.R., nei confronti di due funzionari bancari, già iniziato il 15 dicembre 2009;
B) proc. penale nr. 2540/08 R.G.N.R. (R.G. GIP 390/09), per il quale è stata recentemente depositata la richiesta di rinvio a giudizio per 14 imputati e si è in attesa della fissazione dell’udienza;
C) proc. penale nr. 841/09 R.G.N.R. GIP (R.G. GIP 3585/09), scaturente dalle risultanze della sentenza di primo grado del Tribunale di Palmi, per il quale è stata recentemente depositata la richiesta di rinvio a giudizio per 11 imputati con la fissazione dell’udienza preliminare per il 20 gennaio 2011;
D) proc. penale nr. 923/09 R.G.N.R. per denunce depositate il 5 marzo 2009 per la reiterazione del reato e che trovasi in fase di indagini preliminari.
“Dalle perizie di parte effettuate da nostri consulenti – fa mettere a verbale De Masi – seguendo le chiare disposizioni della legge 108/96 e le altrettanto chiare pronunce della Corte di Cassazione sul corretto metodo di calcolo da seguire per la rilevazione del tasso di usura, sono emersi i seguenti risultati: nei rapporti bancari oggetto del procedimento penale nr. 2540/08 R.G.N.R. (R.G. GIP 390/09), sono stati rilevati 76 casi di usura per un totale di interessi e competenze da rimborsare alle aziende pari ad € 603.435,03; nei rapporti bancari oggetto del procedimento penale nr. 923/09 R.G.N.R., sono stati rilevati nr. 130 casi di usura per un totale di interessi e competenze da stornare di € 345.654,51”.
La denuncia, che è stata spedita anche alla Consob, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, ha raggiunto per conoscenza anche Bankitalia alla quale l’imprenditore reggino chiede di prendere atto delle storture e ripristinare le condizioni di legalità. Bankitalia, per il momento, preferisce non commentare e si è limitata a osservare che sta studiando il caso.
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