Chi ha letto il post di ieri (reperibile in archivio) sa che sto dedicando due puntate alla presenza delle mafie nel Veneto e in particolare nel ciclo del cemento.
Ho deciso di farlo a seguito dell’accorato appello di Stefano Pellicciari, presidente dell’Ance Veneto, che ha messo in guardia dal rischio infiltrazioni nell’edilizia veneta.
Abbiamo visto che il suo appello è giunto dopo quello della magistratura, delle imprese, dell’artigianato e perfino…della politica. Sì, incredibile ma vero, quella politica, alla quale Pellicciari si rivolge per avere una mano ala soluzione dei problemi, dice di essersi accorta che in Veneto esistono le mafie. Incredibile la loro arguzia!
In realtà però, la presenza delle mafie nel ciclo edile veneto è datata. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi che ho tratto dal mio libro “Economia criminale – Storie di capitali sporchi e società inquinate”.
Perché lo cito? Perché il libro – andato bene in edicola al punto che l’Editore mi ha chiesto un nuovo volume per il 2001 – è stato venduto ovunque. Ma sapete qual è la regione che ha prestato meno attenzione a questo libro? Il Veneto, a testimonianza del fatto che la sensibilità sul tema delle mafie deve essere ancora sviluppato, così come gli anticorpi.
CEMENTO E IL BOSS LO PICCOLO
La passione dei boss di ogni latitudine sembra essere proprio il cemento, fonte inesauribile di riciclaggio del denaro sporco e di lenta ma inesorabile penetrazione nel territorio, nei suoi usi e nei suoi costumi.
Il 26 settembre 2008 – solo per rimanere con la cronaca degli ultimissimi anni – Il Gazzetino di Venezia apriva con un titolo a 9 colonne: “La mafia a Chioggia: ecco i piani e i complici – Tutte le mosse degli uomini del boss Lo Piccolo per conquistare il mercato immobiliare del litorale – Il nuovo piano regolatore nel mirino delle cosche – Gli operatori immobiliari della città: Ma le infiltrazioni sono difficili”.
La Procura di Palermo aveva scoperto che il clan Lo Piccolo aveva deciso di investire 8 milioni per mettere le mani su un’area immobiliare che doveva sorgere a Isola Saloni, pochi passi dal centro storico di Chioggia.
La coincidenza era fortuita: dopo 30 anni il Comune aveva deciso di sbloccare il piano regolatore.
DA CAORLE A JESOLO
Il Capo della Procura della Repubblica, Vittorio Borraccetti, in apertura di anno giudiziario 2010 rilasciò una dichiarazione amara sul fatto che molte indagini restano purtroppo senza prove. “Anni fa – dichiarò – indagammo a Cortina ma non si approdò a nulla. Solo in un albergo sul Nevegal emersero collegamenti con la banda della Magliana”.
Il procuratore generale, Ennio Fortuna, fece il filosofo: “la mafia va dove si sono i soldi ma non abbiamo elementi per sostenere che vi siano insediamenti criminali”.
Intanto, tra un sofismo e l’altro, la stampa locale evidenziava che il mercato del mattone era appetito tanto da Cosa Nostra quanto dalla camorra: da Caorle a Jesolo dove si stavano costruendo 5 milioni di metri cubi di nuovi edifici per un valore di 2,5 miliardi. Sorte diversa non toccava agli insediamenti turistici e alberghieri, un settore che in Veneto vale miliardi.
In quei giorni la stampa locale ricuce i fili di una trama economico-criminale che in Veneto sale poche volte alla ribalta ma che agisce sotto traccia.
Nel 1998 a Caorle fu arrestato Costantino Sarno, sospetto boss della camorra che aveva dato vita a una cellula camorristica attiva tra il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. La commissione parlamentare antimafia all’epoca, nella relazione sull’area, parlò di “illegalità nell’assunzione di manodopera e alcuni attentati a danno di cantieri o agenzie immobiliari ricollegabili all’aggiudicazione di lavori edili”. Nel Bellunese “alcuni pregiudicati pugliesi affiliati alla Sacra corona unita, al fine di assicurarsi il controllo su ditte facenti capo a cittadini pugliesi, imponevano l’assunzione di operai che percepivano stipendi senza, di fatto, lavorare e che erano incaricati di riscuotere il provento delle estorsioni”.
A Portogruaro il 15 gennaio 2005 fu arrestato Vincenzo Pernice, ufficialmente commerciante di pelli, cognato del presunto boss Pietro Licciardi. I Licciardi da anni sono sospettati di cospicui investimenti a Castelnuovo del Garda.
Il mattone, l’edilizia sono richiami irresistibile per le mafie italiane e, in genere, di ogni parte del mondo.
Il 9 aprile 2009 la Guardia di finanza di Rimini arresta un uomo dei Casalesi le cui attività spaziano dalla riviera romagnola a Portogruaro. E proprio qui aveva acquistato appartamenti, garage, terreni e negozi. Complessivamente 26 immobili per un valore di 7 milioni, tutti sequestrati. Erano il provento dell’attività usuraria.
Anche in questa occasione nessuno si accorge di nulla. Il sindaco Antonio Bertoncello, le cui dichiarazioni furono raccolte il 10 aprile dal Gazzettino di Venezia, disse che “non era mai accaduto nulla di simile nel nostro territorio. Ricordo che alcuni anni fa c’erano state delle verifiche tra le aziende che lavoravano per la costruzione delle tangenziale. Poi, però, non emerse nulla di anomalo. Ci fu un’indagine sui terreni dell’allora Perfosfati: in quella circostanza gli investigatori scoprirono che il terreno, contaminato da pirite, invece di finire smaltito andava nel meridione e poi tornava sotto forma di asfalto. Una storia poco chiara che in qualche modo era legata a un clan. In città non si è mai parlato di queste aggregazioni, tantomeno di estorsioni”.
L’ex Governatore del Veneto, Giancarlo Galan, attualmente ministro delle Politiche agricole e forestali, il 26 settembre 2008 tuona contro i giornali che titolano sullo sbarco della mafia a Chioggia.
“La vigilanza democratica antimafiosa – dichiara – è virtù da coltivare sempre e ovunque, ma non c’è forse una perdita del senso della misura in certi titoli?” Gianluca Amadori, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto risponderà che “sconcertano le dichiarazioni rese da Galan. Invece che preoccuparsi per un fenomeno che gli inquirenti denunciano da anni, quello del riciclaggio del denaro sporco in attività regolari, se la prende con i cronisti e li offende pesantemente definendo mafiosi i loro articoli semplicemente perché i giornalisti hanno fatto il proprio dovere raccontando le speculazioni programmate dalla criminalità organizzata”.
Detto, fatto. Il giorno dopo la felice intuizione e la felice uscita di Galan (sigh!), il Gazzettino di Venezia titola a 9 colonne (di più non si può): “Usura targata camorra tra Jesolo e San Donà”. E giù con il racconto dello smantellamento di una rete di usurai legata ai Casalesi e alla Sacra corona unita pugliese, che prestavano soldi al 200% di interesse, oltre a trafficare in droga e rilevare aziende fatte fallire. Alcuni
personaggi erano già stati condannati e incarcerati nel 2006 ma erano tornati allestendo un circuito illecito in grado di assicurare finanziamenti in contante e sull’unghia fino a 700mila euro.
Chissà se Galan ha letto il titolo (ancora a 9 colonne, disfattisti del Gazzettino!) del 23 marzo 2007 quando il giornale titolò: “Delitto in stile mafioso, ucciso un fruttivendolo”. E all’interno, pagina II della cronaca, riportando le reazioni dei commercianti amici, titolò in taglio basso (questa volta a 5 colonne, per fortuna e forse per queste concause è passato inosservato all’occhio vigile dell’ex Governatore): “Un delitto da mala del Brenta”.
Insomma la mafia nel Veneto non è un’invenzione di oggi né di ieri. Sono anni che continua a radicarsi e bene hanno fatto l’Ance e il suo presidente a (ri)sollevare l’attenzione sul problema infiltrazioni.
A fronte di questa situazione appare pazzesco che i veneti e gli abitanti del ricco (nonostante la crisi) Nord Est continuino a pensare che la mafia sia un problema degli altri. Il Gazzettino, il 30 novembre, alle pagine 16 e 17 ha pubblicato i dati di una ricerca di Demos, Osservatorio sul Nord Est. La ricerca – attualissima e freschissima – era sulla criminalità comune e sulla criminalità organizzata. Ebbene solo il 20% ritiene che Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra siano, nella propria zona, più gravi della delinquenza comune. Il Gazzettino, non si capisce se sconcertato o insensibile, ha titolato: “Per gli abitanti del Nordest qui la mafia non esiste”. Capite la miopia!
A volte dubito dell’intelligenza dei veneti e non si attenda Pellicciari (o chiunque altro) che sia la politica (questa politica) a risolvere i problemi quando i suoi stessi corregionali pensano ancora che la mafia la porti un Babbo Natale cattivo.
p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia nuova trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 21.00. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.
p.p.s. Il mio libro “Economia criminale – Storia di capitali sporchi e società inquinate” è ora acquistabile con lo sconto del 15% al costo di 10,97 euro su: www.shopping24.ilsole24ore.com. Basta digitare nella fascia “cerca” il nome del libro e, una volta comparso, acquistarlo.