A pochi – spero – sarà sfuggito che pochi giorni fa il Governo ha dato vita al Gruppo interforze ricostruzione Emilia Romagna. In acronimo: Girer.
Il prefetto di Bologna, Angelo Tranfaglia, ha sottolineato che svolgerà, nell'ambito dei lavori di ricostruzione nelle zone colpite dal sisma, una approfondita attività di monitoraggio e analisi delle informazioni, per rendere maggiormente efficace l'azione di prevenzione e contrasto dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata.
Insomma: sarà il baluardo contro il rischio – più che concreto – che le cosche di Cutro e i clan Casalesi, che in Emilia Romagna sono presenti da anni, mettano mano alla ricostruzione.
Punto. C'è poco altro da aggiungere su questa notizia se non augurare a chi la coordinerà -Cono Incognito, vicequestore in servizio presso la Direzione centrale della polizia criminale, che fece parte del gruppo che catturò Bernardo Provenzano e i Lo Piccolo – buona fortuna. Una scelta straordinaria.
Ma oggi qual è la situazione in questa regione? Il punto lo ha fatto molto di recente – il 5 giugno 2012 – il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi in Commissione parlamentare antimafia.
Di seguito la relazione che non ha bisogno di alcun commento perchè è esaustiva e mette in conto alcune cose che riassumo:
1) Bologna è cosa a parte rispetto al resto della regione e qui, nel capoluogo, non esiste una supremazia tra 'ndrangheta e camorra
2) lo stesso discorso vale per la Romagna
3) A Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza è forte la 'ndrangheta che non colonizza ma delocalizza (e per capire appieno il significato di questo ragionamento rimando ai miei post in archivio del 19, 21 e 22 giugno).
4) c'è il rischio che dopo il terremoto naturale arrivi il terremoto criminale
Buona lettura
PARLIAMO DI BOLOGNA
Parlerei, distintamente di Emilia e di Romagna, e parlerei anche della zona di Bologna, quindi dell'area della capitale della Regione, e della zona emiliana settentrionale, quella che contiene le Province di Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia, che – lo dico subito – è la zona più interessante dal punto di vista della espansione del crimine organizzato; questa, infatti, è la zona con riferimento alla quale si può ragionare in termini quasi tradizionali di crimine organizzato. Bologna, il territorio del capoluogo di Regione, è una terra di tutti e, nella misura in cui è terra di tutti, è terra di nessuno.
Nel territorio del capoluogo sono presenti fenomeni criminali indistinti e indiscriminati, nazionali ed esteri, che si occupano di tutto, dal traffico degli stupefacenti allo sfruttamento della prostituzione, alla organizzazione e gestione del gioco d'azzardo, anche ai livelli più elevati, direi quasi elevatissimi, alla tratta degli esseri umani. In questo territorio si assiste ad un coacervo di operazioni criminali che tante volte non si è in condizione di classificare, operazioni criminali che si manifestano soprattutto attraverso gli effetti economici dello svolgimento delle azioni delittuose; si tratta di attività che possono vedere un tale Barbieri Vincenzo, ad esempio, esercitarsi nella compravendita di grossi insediamenti immobiliari, strutture alberghiere o strutture del divertimento, senza che si capisca di che cosa si tratta fino a quando Barbieri Vincenzo non viene violentemente soppresso; a quel punto si scopre che, in realtà, il personaggio era collegato alle più importanti e pericolose centrali del narcotraffico, tutte ovviamente di origine calabrese e di marca 'ndranghetista (così come l'origine del Barbieri, nativo della provincia di Vibo Valentia) e ovviamente collegate con le centrali estere del narcotraffico, soprattutto sudamericane, narcotraffico che era poi la causa, l'origine della disponibilità di questi grandi proventi.
Questo riguarda l'area del capoluogo, sulla quale non possiamo affermare con sicurezza la presenza di strutture organizzate come quelle che noi conosciamo, né di marca 'ndranghetista, né di matrice camorrista, anche se nel territorio del capoluogo sono presenti uomini della 'ndrangheta e uomini della camorra. Già questo è indicativo di un fatto: se sono presenti entrambi i tipi di crimine organizzato significa che nessuna di queste organizzazioni criminali è insediata e strutturata nel territorio così come noi riteniamo che si possa insediare e strutturare nel territorio un'organizzazione di tipo mafioso. E il fatto che convivano, che coesistano, significa che non hanno interesse ad insediarsi e a controllare il territorio, ad instaurare rapporti e collegamenti con l'altro da sé (politica, economia, finanza e quant'altro) ma, disponendo di una piazza interessante, ricca, variegata, operano nell'area, sfruttandone le potenzialità, così come faceva Barbieri il quale, vista la ricchezza della piazza, aveva investito in quei settori ai quali ho fatto prima riferimento.
UN CONTO E' LA ROMAGNA
Un fenomeno abbastanza corrispondente a quello che riguarda il capoluogo di provincia caratterizza la Romagna. Dire Romagna significa fare riferimento alle località turistiche di Rimini, Riccione, Cattolica, cioè a quei territori che attirano per le opportunità che offrono di fare soldi e di investire soldi. Anche in quel territorio troviamo presenze di gruppi e persone provenienti dall'area camorrista, così come di gruppi di persone provenienti dall'area della 'ndrangheta, senza che, peraltro, si verifichino anche in questo territorio – almeno per quanto è noto, ovviamente, alle indagini – consistenti fenomeni che consentano di ipotizzare l'esistenza di associazioni per delinquere di tipo mafioso nei confronti delle quali intervenire ipotizzando il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale. Infatti, con riferimento a questi territori, nulla di tutto questo si è verificato, mentre le capacità che questi gruppi e gruppetti (che spesso sono anche promanazione di organizzazioni criminali blasonate, sia campane, che calabresi) hanno di coagulare attorno a sé un potere e una forza criminali non indifferenti consente loro di investire questi territori con il narcotraffico, che è molto sviluppato in quelle zone, proprio a cura e per iniziativa di persone di marca camorrista o 'ndranghetista (ma – ripeto – senza che in questo territorio costoro si organizzino per fare altro). D'altra parte, sarebbe probabilmente controproducente per loro stessi avere velleità di controllo del territorio in una zona che non è necessario controllare, in quanto c'è da fare per tutti, soprattutto nei periodi estivi, e ci sono tanta ricchezza che circola e tante persone disposte a spendere, provenienti soprattutto dai Paesi dell'ex Unione Sovietica.
UN CONTO E' TUTTO IL RESTO
Il discorso è diverso per l'altro territorio della Regione Emilia-Romagna: mi riferisco alle Province di Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza, dove c'è l'altra 'ndrangheta. L'altro giorno – signor Presidente, lei
si ricorderà – parlavo di quella che ho definito l'altra 'ndrangheta, nella misura in cui non si inserisce in quella 'ndrangheta che ormai si comincia a conoscere molto bene, ossia quella che viaggiava sull'asse Milano – Reggio-Calabria. Per di più, proprio in questi giorni – non so se ieri o oggi – sono state depositate le motivazioni del cosiddetto processo "Infinito" di Milano (da non confondere con il cosiddetto processo "Il Crimine" di Reggio-Calabria). Sono state depositate le motivazioni e, quindi, oggi si può leggere, a chiare lettere, quale era il meccanismo criminale messo su da questa 'ndrangheta (per non confonderla con l'altra) e cosa si era verificato in Lombardia al punto da potersi dire che quella zona era colonizzata. Nelle motivazioni del giudice che ha steso la sentenza si parla proprio di un'autonomia quasi completa della «Lombardia» (lo dico tra virgolette, perché è il termine che si usa nelle sentenze e che usavano gli stessi affiliati).
CUTRO DETTA LEGGE
PRESIDENTE. Nelle Province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza si verifica lo stesso fenomeno della Lombardia?
PENNISI. Negativo, signor Presidente.
PRESIDENTE. Qui non c'è colonizzazione?
PENNISI. Nelle Province di Reggio Emilia, Parma, Modena e Piacenza, c'è l'altra 'ndrangheta, cioè quella che non colonizza, ma delocalizza.
Difatti avevo collegato il fenomeno criminale emiliano a quello veneto, proprio per via della delocalizzazione e nel corso della precedente audizione vi avevo parlato dell'esistenza di una sentenza definitiva emessa dal tribunale di Piacenza. La bella, morbida e mite Piacenza ha un tribunale che ha emesso una sentenza di condanna per il delitto previsto e punito ai sensi dell'articolo 416-bis del codice penale. Nessuno ci potrebbe credere, eppure è l'unico documento che metterò a disposizione: ovviamente non la sentenza nella sua interezza, perché ho i dispositivi con i capi di imputazione della sentenza di primo e secondo grado (in caso contrario avrei dovuto portare 1.000 pagine di carta). Peraltro, ove la Commissione volesse disporre dell'intero documento, potrei farvelo pervenire con supporto informatico.
In questo modo si può comprendere ciò che si verificava: la sentenza del tribunale di Piacenza risale al dicembre 2008 e vi è poi stata la sentenza della Corte di appello del 2011. Essa, quindi, è diventata definitiva, anche se i fatti risalgono al 2002. Ripeto: questa sentenza, signor Presidente, prende in considerazione vicende dell'anno 2002. Vedremo se, con il passare degli anni, la situazione si è conservata, modificata, evoluta, oppure se è tornata indietro.
Come dicevo, basta scorrere i capi di imputazione e guardare il primo, che descrive il delitto di associazione per delinquere. Il primo degli imputati si chiama Lamanna Francesco. Per comprendere cosa è la delocalizzazione occorre leggere il capo di imputazione: «Perché facevano parte, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso che si avvaleva (…), per acquisire (…), nonché per commettere delitti, estorsione, detenzione e vendita di sostanze stupefacenti (…) Lamanna Francesco quale alter ego di Grande Aracri Nicolino, con il compito di sovrintendere a tutta l'attività criminosa svolta dall'associazione e di acquisirne i proventi». Vi ricordate cosa ho detto nel corso della precedente audizione? Si commette un errore se si pensa che il Nord Italia sia solo luogo di reinvestimento dei capitali provento dell'attività del crimine organizzato. Succede anche questo, ma non è l'essenza dell'esistenza di organizzazioni criminali di tipo mafioso nel Nord Italia. Queste organizzazioni ci sono ed esistono per produrre ricchezza, non per utilizzare la ricchezza prodotta altrove, tanto è che, già allora, si faceva l'ipotesi – poi i fatti hanno dato ragione a chi ipotizzò quanto sto per leggere – relativa a Lamanna Francesco, alter ego di Grande Aracri Nicolino. Grande Aracri Nicolino all'inizio del processo viene sottoposto ad indagini, ma ne viene subito escluso, perché quello non è il posto suo. Si tratta di Piacenza. Per chi non lo sapesse, Grande Aracri Nicolino è uno dei più grossi esponenti del crimine organizzato calabrese dell'altra 'ndrangheta, è il signore di Cutro e, in quanto tale, vista la supremazia che in questo momento ha acquisito questo centro del crotonese, il signore dell'intera provincia di Crotone. A Catanzaro, città e provincia, non esiste una 'ndrina. A Catanzaro signori, pur capoluogo della regione, non c'è una 'ndrina degna di tale nome. È stata sempre …
IL VUOTO DA RIEMPIRE
LAURO. Riempiamo questo vuoto.
PENNISI. Non è necessario riempire questo vuoto, perché nel territorio circostante ci sono tali e tanti potentati mafiosi che fanno impallidire anche quelli della provincia di Reggio Calabria, quelli insediati su Lamezia, quelli insediati nel vibonese e quelli insediati nel crotonese – per non parlare della 'ndranghetina della provincia di Cosenza – e che bastano e avanzano per riempire quel territorio e anche altri territori.
Torno a leggere: "tutta l'attività criminosa svolta dall'associazione e di acquisirne i proventi per rimetterli" – la delocalizzazione, l'impresa madre, che poi crea una sua rappresentanza in un altro luogo, mettendovi a capo, per usare un termine del diritto commerciale, un institore – "allo stesso Grande Aracri".
Il dato importante è questo: già nel 2003, quando si iniziavano le indagini, da parte della procura di Bologna ci si riteneva in condizioni di procedere – i fatti hanno dato ragione alla DDA di Bologna anche da un secondo punto di vista, cioè non solo quello dell'esistenza della associazione mafiosa, ma anche quello della competenza – e si è giustamente proceduto senza cadere nella tentazione di prendere gli atti e trasmetterli per competenza ad un'altra procura della Repubblica, che avrebbe potuto essere quella di Catanzaro, perché un'operazione di questo genere avrebbe letteralmente distrutto l'indagine e allontanato i fatti dai luoghi in cui si erano verificati.
Dico questo perché, in altre occasioni e in periodo successivo, tra il 2002 e i nostri tempi, questo si è verificato per scelte strategiche delle direzioni distrettuali antimafia che, alcune volte, preferiscono lavorare sugli effetti del crimine mafioso, altre volte preferiscono lavorare sul crimine mafioso stesso. Lo stesso è avvenuto a Milano, perché dopo l'esplosione dei processi per associazione mafiosa della fine degli anni '90 e dei primissimi anni 2000, mi riferisco ai processi relativi alle operazioni "Wall street", "Count down", "I fiori della notte di San Vito" e altri, dal 2004 in poi si è preferito lavorare non più sul crimine mafioso in quanto tale, bensì sui suoi effetti, salvo poi riprendere questa attività di indagine dal 2007 in poi, anche, debbo dirlo, perché non bisogna fingere di non valere, per effetto dello stimolo della Direzione nazionale antimafia, che segnalava alla procura di Milano, l'opportunità, se non la necessità, anzi la necessità, di riprendere le indagini per 416-bis nel suo territorio.
IL CASO PIACENZA
Dicevo, ottima e giusta fu la scelta della DDA di procedere per 416-bis. Così si accertava, con la sentenza del tribunale di Piacenza, diventata poi definitiva, che in quel territorio operava questa organizzazione criminale. Ma si può leggere nel capo di imputazione che la stessa organizzazione criminale invadeva anche la limitrofa reg
ione Lombardia e entrava nei territori della provincia di Cremona e altri territori della stessa regione Lombardia. Ciò significava che questa struttura criminale delocalizzata era riuscita nei suoi compiti di insinuarsi e strutturarsi in quelle zone con quelle finalità e con quel meccanismo della delocalizzazione del quale abbiamo parlato.
Sono passati gli anni (i fatti sono del 2002-2003). La sentenza di primo grado è intervenuta nel 2008. Ci si è messo molto tempo. Con ogni probabilità il tribunale di Piacenza – la direzione distrettuale antimafia era quella di Bologna, ma il giudice era il tribunale di Piacenza – dal punto di vista organizzativo non era in condizioni di reggere un processo di questo tipo, ma va detto a onore di quei giudici che sono stati capaci e sono riusciti a comprendere il senso del crimine mafioso, riconoscendone l'esistenza in un territorio in cui probabilmente avrebbero forse voluto che non si affermasse l'esistenza di quel tipo crimine.
Dicevo, e mi avvio alla conclusione, signor Presidente, sono passati gli anni. C'è stata una stasi, ripeto, per scelte di politica criminale della DDA di Bologna. Per alcuni anni c'è stata una quiete di attenzione verso quei fenomeni criminali, anche perché, non manifestandosi così come essi si manifestano in altre zone, credetemi, sono difficilissimi da individuare e da accertare. Quindi, un ufficio di procura può anche ritenere di colpire le attività criminali più evidenti e più redditizie dal punto di vista dei risultati giudiziari e anche economico-patrimoniali; la procura di Bologna, infatti, è stata estremamente attiva nel settore delle misure di prevenzione e nei sequestri di beni anche all'interno del meccanismo processuale. Negli ultimi tempi, invece, è ripresa l'attenzione verso quei fenomeni criminali e i riflettori si sono nuovamente indirizzati verso le province di Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza. Pertanto, la strategia della DDA di Bologna è cambiata, debbo dire anche per iniziativa dell'ultimo procuratore distrettuale, ancora una volta – mi piace dirlo – proveniente dal nostro ufficio.
A questo punto, signor Presidente, sono costretto ad andare con i piedi di piombo, perché non si parla più del passato, che è pubblico perché è consacrato in sentenze definitive, ma del presente e rispetto a questo posso senz'altro dire che il fenomeno è sempre lo stesso.
IL TERREMOTO CRIMINALE
PRESIDENTE. Se lo ritiene opportuno, possiamo segretare questa parte della seduta.
PENNISI. Signor Presidente, la segreterà se lei lo ritiene opportuno, perché questo lo posso dire. Il fenomeno rimane lo stesso, anche perché, signor Presidente, vi sono manifestazioni pubbliche dello stesso spesso esternate, ad esempio, dal prefetto di Reggio Emilia, che ha svolto un'intensissima attività di interdizione nei confronti di imprese aggiudicatarie di appalti, che si sono viste negare la certificazione antimafia proprio perché gravemente sospettate (e in quel caso siamo nell'ambito di un intervento di natura amministrativa) di essere legate, collegate, finanziate o comunque di avere i vertici legati al crimine organizzato calabrese dell'altra 'ndrangheta. Infatti, in fondo questo perdurare del fenomeno ci dà ulteriore contezza del fatto che non si tratta di un'attività criminale da quattro soldi (consentitemi il termine), ma di un'attività criminale facente capo a organizzazioni di 'ndrangheta molto blasonate, come dicevo prima.
La realtà attuale è caratterizzata dalla presenza di questo fenomeno e debbo dire che fino a un certo momento (e forse potremmo dire anche fino ad oggi) gli effetti della presenza del crimine organizzato si sono manifestati nelle sue manifestazioni più virulente verso corregionali: mi riferisco agli attentati, alle attività estorsive e a quanto di più violento possa essere realizzato nel corso di un'attività criminale di tipo mafioso. Oggi, invece, comincio a temere che, per effetto della grave crisi economica che attanaglia il Paese, l'attività criminale di tipo mafioso possa e anzi cominci a investire indiscriminatamente (persone e imprese) attraverso quel veicolo formidabile utilizzato dalle mafie per impadronirsi delle attività economiche e imprenditoriali dei territori in cui queste organizzazioni si manifestano che è l'usura. Le grandi difficoltà che anche in Emilia, così come nel Veneto, le aziende affrontano, soprattutto per far ricorso ai finanziamenti, rendono le imprese medio-piccole facilmente aggredibili da parte dei soggetti che si presentano mostrando ampia e illimitata disponibilità di denaro.
Concludendo, se questa è la realtà, ritengo che i pericoli non siano indifferenti, signor Presidente, e che forse ad accentuarli può valere l'attuale situazione determinata dal terremoto. Con il suo consenso, signor Presidente, visto che ho parlato di terremoto, non posso non esprimere il mio pensiero verso queste popolazioni così duramente colpite dai fenomeni naturali. Vorrei – e questo sarà il lavoro del mio ufficio DNA e della direzione distrettuale antimafia di Bologna – che non fossero colpite dal terremoto criminale più di quanto già lo siano state da quello naturale.
Vi è poi un altro pericolo, rappresentato dai rapporti con la politica che, a differenza di quanto ho detto per il Veneto, nel territorio emiliano esistono, sono esistiti nel 2007, quando ci furono le elezioni amministrative di quell'anno, e non escludo che ci siano stati anche con riferimento alle elezioni amministrative del corrente anno.