Chissà che cosa devono aver pensato, il 24 ottobre, il procuratore della Repubblica di Firenze, Giuseppe Quattrocchi e i sostituti procuratori Tommaso Coletta ed Ettore Squillace Greco.
Quel giorno si erano recati in Commissione parlamentare antimafia per parlare della presenza della criminalità organizzata nella loro regione. Non si sarebbero mai aspettati, in apertura di audizione, di veder volare gli stracci tra due membri della stessa Commissione: Laura Garavini (Pd) ed Amedeo Laboccetta (Pdl).
Forse – i tre magistrati – al termine dei lavori, si saranno convinti di due cose: 1) fare il parlamentare è sempre meglio che lavorare; 2) pranzare e poi mettersi subito al lavoro – l’audizione è iniziata alle 14.20 – è pericolosissimo in politica. Blocca la digestione e annebbia il cervello. Meglio digiunare. O non entrare in Parlamento.
LA FUGA DI NOTIZIE
A tirare la volata al caso – che esiste, sia ben chiaro, in tutta la sua gravità – è stata Garavini che, in apertura di seduta ha sollevato nei confronti del presidente Beppe Pisanu una vicenda recente. “La nostra Commissione ha subito nei giorni scorsi una vicenda davvero poco felice – ha esordito Garavini – nonché perseguibile penalmente: lo stralcio di un documento sottoposto a segretezza è uscito su due quotidiani nazionali. Nel testo dei due articoli si legge che il componente della Commissione, onorevole Laboccetta, è artefice e responsabile del fatto che lo stralcio di questo documento segretato sia arrivato all'opinione pubblica”.
Garavini si riferiva al fatto che il 19 ottobre due quotidiani nazionali avevano reso pubblica una lettera – in vero già parzialmente diffusa dal Corriere della Sera nel 2003 – del magistrato fiorentino Gabriele Chelazzi, scritta il 16 aprile 2003 al capo dell’ufficio Ubaldo Nannucci. Nella lettera Chelazzi – che non farà in tempo a spedirla perché la notte stessa morirà d’infarto – si lamentava per la solitudine con la quale stava lavorando alle stragi mafiose di Milano, Firenze, Palermo e Roma che avevano causato 10 morti, decine di feriti e danni irreparabili al patrimonio artistico. Chelazzi, che doveva e stava indagando su mafia e zona grigia, sentiva intorno a sé tutto lo scetticismo per quella indagine..
Ora quelle carte riemergono grazie all'impegno di Laboccetta che le ha cercate prima alla procura di Firenze poi alla Commissione antimafia, scriveranno quasi all’unisono (guarda te il caso) il 19 ottobre Libero e Il Giornale, notoriamente di sinistra. «Lo hanno abbandonato al suo destino – racconta ai giornali Laboccetta – e proprio mentre squarciava il velo di una trattativa inconfessabile che solo oggi comprendiamo».
Il giorno stesso Garavini, parla con l’agenzia di stampa Agenparl, alla quale dichiara: “Strumentalizzare i morti è un atto spregevole, farlo violando le regole di riservatezza della Commissione antimafia sarebbe una seria aggravante che dovrebbe spingere l’onorevole Laboccetta a dimettersi da questo organismo parlamentare. Avevamo già sollevato la questione della totale inopportunità della presenza dell'onorevole Laboccetta in Commissione antimafia perché è sotto indagine per aver sottratto prove all'autorità giudiziaria. Oggi emerge anche che potrebbe divulgare materiali dell'archivio della Commissione antimafia sottoposti a segreto funzionale”.
In vero, il 7 febbraio, parlando sempre con l’attenta e puntuale Agenparl, Garavini aveva dichiarato: “Ho posto da tempo il problema della partecipazione ai lavori della Commissione Antimafia dell'onorevole Amedeo Laboccetta, indagato per aver favorito il figlio di un noto mafioso sottraendo un computer nel corso di una perquisizione. Purtroppo, non è stato dato nessun seguito a questa mia richiesta e oggi abbiamo dovuto assistere alla assurda circostanza della partecipazione di Laboccetta all'ufficio di Presidenza della Commissione, sia pure riunito in via informale, in rappresentanza del Pdl. E' evidente che questa situazione è intollerabile e dimostra il poco rispetto per una istituzione così importante. Dovrebbe essere lo stesso Pdl a sentire il peso della responsabilità, chiedendo all'onorevole Laboccetta di dimettersi dalla Commissione antimafia, piuttosto che chiedergli di essere presente in Ufficio di Presidenza, rendendo di fatto impossibile il proseguimento dei lavori”.
GARAVINI ATTACCA
Con queste premesse, il 24 ottobre in Commissione antimafia, Garavini non poteva che attaccare. “Mi preme ricordare, Presidente– -dice rivolgendosi a Pisanu – che la legge istitutiva della nostra Commissione prevede l'obbligo di segretezza e l'impossibilità di violare il segreto per tutti i componenti; violazione che, qualora avvenga, comporta appunto la reclusione da sei mesi a tre anni, quindi si è perseguibili anche penalmente. Lei, Presidente, sa bene che come Gruppo del Partito Democratico già in passato avevamo posto la questione all’attenzione di questa Commissione, dal momento che l'onorevole collega Laboccetta è attualmente sotto indagine per avere sottratto prove all'autorità giudiziaria in un'altra vicenda. Credo, dunque, Presidente, che alla luce di questo ulteriore episodio, che lede in modo pesante anche l'autorevolezza di questa Commissione, non sia ulteriormente accettabile la presenza del collega tra di noi”.
Pisanu risponde serafico di aver disposto accertamenti da parte degli uffici sull’episodio, le cui conclusioni verranno portare all'attenzione dei colleghi dell’Ufficio di presidenza, come richiesto da Garavini.
LABOCCETTA RISPONDE
Laboccetta la mette sul signorile. “Una cosa è la politica, altra cosa è la strumentalizzazione – esordisce – e mi fa piacere che i nostri ospiti ascoltino anche queste valutazioni e chiedo loro scusa se devono ascoltarle perché, sicuramente, al loro lavoro non interessano, ma evidentemente si devono rendere conto che il clima è questo”.
Poi si scatena. “Signor Presidente, da tempo la collega Garavini, che credo non parli a titolo personale, ma a nome del Partito Democratico – dichiara Laboccetta davanti alla Commissione e ai tre pm di cui immagino l’imbarazzo – non perde occasione per provare ad attaccarmi con comunicati e dichiarazioni alla stampa che, sfortunatamente per lei, sono ripresi molto poco e in maniera marginale dalle agenzie. Anche oggi non ha perso occasione per fare una polemica nei miei confronti. Penso che quello dell'onorevole Garavini sia non solo un problema di contrapposizione politica, ma forse un interesse di carattere psicologico
. Vorrei ricordare – e spero che l'onorevole Garavini lo comprenda una volta e per sempre – che non spetta a lei determinare chi possa o non possa far parte di questa Commissione, sia perché non rientra nelle sue attribuzioni sia perché non mi pare che lei abbia particolari doti che la pongono in condizione di indicare i buoni e i cattivi. A mio parere, la collega Garavini, la quale ha la responsabilità di rappresentare in Commissione uno dei maggiori Partiti del nostro Paese, farebbe meglio a rivolgere la sua attenzione al merito delle questioni al nostro esame. Abbiamo sottratto del tempo utile per colpa dell'onorevole Garavini ad un incontro importante, ma spero, Presidente, che lei ne tenga conto per il futuro anche nelle sue valutazioni”.
ULTIMA ORA
La sensazione è che assisteremo presto ad un nuovo round in realtà inconcepibile. Mi domando, infatti, che cosa aspetti l’Ufficio di presidenza della (inutile) Commissione parlamentare antimafia a prendere una decisione sulla legittimità a permanere in seno alla stessa di Laboccetta.
Due giorni fa infatti le agenzie di stampa, cito la Adnkronos, ha dato notizia che la Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati il deputato Amedeo Laboccetta e Francesco Corallo nell'ambito dell’inchiesta sulla Bpm.
L'iscrizione segue il mancato sequestro a Roma di un computer che si trovava nell’abitazione di Corallo, soggetta a perquisizione da parte della Gdf. In quell'occasione il deputato rivendicò la titolarità del pc e lo portò via. Per questo Laboccetta risponde ora di favoreggiamento, mentre Corallo è indagato per falso. Corallo e Laboccetta, prosegue l’agenzia, hanno fornito tre versioni diverse su quel computer. Dalla relazione della polizia giudiziaria emerge che, in un primo momento, Corallo ha dichiarato che il computer era di una sua impiegata sudamericana presente nell'abitazione al momento dell'arrivo della Guardia di Finanza. Subito dopo, la donna diventava però ufficialmente un'assistente del deputato. Quindi, con l'ingresso nell'abitazione di piazza di Spagna di Laboccetta, il pc cambiava per la terza volta proprietario e diventava di esclusivo possesso del deputato.
I magistrati milanesi considerano il pc un corpo di reato e, stando a quanto ha appreso l’Adnkronos, nel tentativo di recuperarlo si rivolgeranno alla Camera per ottenere l'autorizzazione a sequestrarlo.
Chissà che aria tirerà alla prossima audizione in Commissione antimafia…
r.galullo@ilsole24ore.com