Cari amici di blog, da ieri, su questo umile e umido blog, sto raccontando alcuni particolari dell’indagine con la quale la Procura di Milano e quella di Reggio Calabria hanno posto fine alla scalata della cosca mafiosa Bellocco di Rosarno ad alcune aziende (di cui alcuni esercizi commerciali ma sul punto ritornerò nei prossimi giorni) in Lombardia.
Tra queste la società di call center “Blue Call srl”, che nel 2010 aveva quasi 900 dipendenti, scesi a circa 400 nel 2010, che si è realizzata in un tempo relativamente breve. I soci calabresi fanno ingresso pieno nella società nel gennaio 2011 e già nel settembre dello stesso anno ne hanno il totale controllo. Tra le due date intervengono rimostranze e lamentele da parte degli originari e spogliati proprietari, minacce dei soci calabresi, inutili tentativi di liquidarli per farli uscire dalla compagine sociale, finte assunzioni e costanti distrazioni di denaro.
La vicenda della Blue Call, afferma il Gip milanese Giuseppe Gennari che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per 14 persone, può essere utilizzata come paradigma della tecnica di infiltrazione ‘ndranghetista in attività di impresa in Lombardia.
E per questo alcuni passaggi vanno evidenziati in modo particolare.
Prima di tutto, scrive Gennari, è allarmante e gravissimo il fatto che la ‘ndrangheta entra nell’attività di impresa non imponendosi con la forza e la intimidazione, ma come socio speciale invitato al tavolo della proprietà.
AGENZIA DI SERVIZI
L’imprenditore che ha necessità di prestazioni “particolari”si rivolge alla più efficace agenzia di servizi esistente sul mercato. Il movente può essere necessità di denaro liquido, desiderio di affrontare il mercato della concorrenza con una marcia in più, competenze nella gestione di territori difficili come quelli del sud Italia o altro.
Nel caso i soggetti “spogliati” delle proprietà si rivolgono ai Bellocco per ottenere il più classico dei servizi mafiosi: protezione e capacità estorsiva.
I due imprenditori nordici avranno modo di spiegarlo una volta eseguita la ordinanza cautelare. Tuttavia, da quanto ascoltato dalle intercettazioni sembra che i Bellocco dovessero liberare la Blue Call dalla presenza di altri personaggi della stessa “pasta” originari di Isola di Capo Rizzuto. E poi i Bellocco avrebbero dovuto garantire tutela e sicurezza per il futuro. E’ vero che i calabresi non versano soldi e non pagano il 30% che gli viene riconosciuto ma al capitale sociale non si conferisce solo denaro. Si possono conferire anche beni in natura. E la famiglia Bellocco conferisce “mafiosità”, che è una componente che ha un preciso valore economico.
Quello che al Gip appare incredibile è che Andrea Ruffino, con Tommaso Veltri, in principio rispettivamente titolari reali di quote pari all’80% e 20%, dopo l’esperienza con il calabresi, continua a parlare di protezione mafiosa anche con riferimento alle sue residue attività. Emblematico – scrive Gennari – è il colloquio con …OMISSIS… il 24 settembre 2001 (“Ma ti proteggono anche loro, o no!? … Antimafia, antimafia!”). E sarà curioso capire anche chi è questa …OMISSIS…. Perché di protezione mafiosa i protagonisti non mafiosi – o che tali si presume che dovrebbero essere – parlano con una naturalezza veramente inquietante (Ruffino: “Gli do diecimila euro al mese per trenta mesi. Ma che cazzo vogliono e mi fanno anche la protezione!”). Come se fosse un dato ormai digerito dalla comunità imprenditoriale. Il tema è tranquillamente discusso con …OMISSIS….( C’è quello là che… a cui… a cui diamo lo stipendio, che siccome è un capomafia, garantisce che… che le truppe stiano tranquille, per dire, no!”), …con OMISSIS… per non dire nulla della …OMISSIS ….la quale – pur provenendo da un Paese molto diverso come il Marocco – ha fatto presto ad assorbire i costumi italici (“così siamo coperti da altri merdoni”).”
Questa riflessione porta a due ulteriori considerazioni.
La prima è la stupefacente potenzialità criminale presente in soggetti apparentemente “normali”, che apparentemente pretenderebbero di essere solo degli imprenditori.
PIACERE, SONO LATITANTE E RISOLVO PROBLEMI!
Non solo – si legge nell’ordinanza firmata da Gennari – Ruffino e Veltri consapevolmente sostengono la latitanza di Umberto Bellocco, finanziandola. Ma Ruffino – e questo pare a Gennari veramente incredibile – pretende (e forse ottiene) di incontrare il latitante Umberto Bellocco. Ruffino se ne va giù in Calabria usufruendo della rete di contatti di un capo mafia in fuga ! Evidentemente non vi è la percezione del disvalore insito nel fatto di rivolgersi ad un gruppo mafioso per risolvere problemi.
La seconda è l’altrettanto stupefacente grado di superficialità e presunzione che caratterizza queste scelte imprenditoriali. Ruffino (e, per lungo tempo, Veltri) sono veramente convinti di potere convivere con la ‘ndrangheta e poi, quando non più utile, di liberarsi di quei “merdoni” a loro piacimento, pagandoli quattro soldi e dandogli il benservito. “Il grande errore – scrive Gennari – è considerare solo degli ignoranti incapaci facili da truffare gente che invece ha una visione complessiva e una “metodologia” che il Ruffino di turno neanche si sogna. Ci sono volute le botte di Longo e un coltello puntato al petto per risvegliare Ruffino. Per fargli capire che la sua forza di contrattazione con quella gente era semplicemente pari al nulla, inesistente. Le amare considerazioni finali (la ‘ndrangheta mi ha minacciato! Proprio mi hanno anche fatto male, quindi… eh… per… me li sono trovati un giorno di nuovo in casa ed ho detto << Basta, io non ne voglio più sapere… della ‘ndrangheta … Tra l’altro l’ho… l’ho svenduto”) sono solo la meritata conclusione di un macroscopico errore di valutazione”.
Chiarito chi è che apre la porta alla ‘ndrangheta, il seguito procede secondo schemi conosciuti.
La componente mafiosa si presenta come socio credibile e possibile. Ben presto, tuttavia, si fa palese come questo socio non sia affatto interessato alla normale attività di impresa, ma solo a perseguire obiettivi propri. E quali sono questi obiettivi ? Non il riciclaggio, in questo caso, perché i Bellocco non mettono nulla di loro e non intendono investire in Blue Call. Sono obiettivi che seguono una logica fortemente parassitaria.
QUEL CHE LO STATO NON SA FARE
Ad esempio svuotare le casse sociali attraverso una continua emorragia di denaro contante utilizzato
sia per il “benessere” personale dei componenti della cosca che per finalità più propriamente illecite. “Abbiamo visto – scrive Gennari – come il denaro di Blue Call venga indiscutibilmente impiegato per sostenere la latitanza di Umberto Bellocco. Ad esempio dare una sistemazione e un reddito parassitario a individui senza competenze e senza professionalità alcuna. Macroscopico è il caso di Rullo e Belcastro. Quest’ultimo è talmente inesistente come amministratore che durante le riunioni dorme. Un campionario delle conversazioni del giovane Belcastro è significativo: “L’altro giorno mi sono addormentato quando eravamo in riunione eravamo qualche… quindicina. Tutti li conosco, però, non è che non li conosco”, “Loro che parlano di questo e di quello che cazzo capisco io, Michela! Parlano di… di questi computer << Si, si, si, va bene, si >>”, “Ora si divertono tutti con me che si spaccano dalle risate … Che mi vedono che sono il malato, che vado sempre scherzando”, “L’altro giorno se n’è venuto Carlo con una busta di salsicce e pane di casa … pane e salsiccia, mangiando”.
Ad esempio creare consenso sociale attraverso la produzione di posti lavoro. Non dimentichiamo che Blue Call è una realtà che ha mille dipendenti al suo apice ed è una realtà che ha diverse sedi al sud, proprio in Calabria. Controllare una realtà del genere vuol dire controllare un notevole indotto lavorativo, di grande interesse soprattutto in questo periodo di difficoltà economiche e occupazionali. Emblematica è la telefonata tra la tal Carmen e …omissis…. È una richiesta di lavoro. E assumendo persone e procurando lavoro la ‘ndrangheta acquista consenso, dimostrando di essere in grado di fare quello che lo Stato non sa fare”.
LE AZIONI SI PESANO, DICE CUCCIA
Questi obiettivi vengono progressivamente imposti. Prima facendo balenare l’idea che soddisfacendo questa o quella richiesta si riuscirà a sganciare il socio mafioso. Poi cominciando con minacce e intimidazioni più o meno velate. Le minacce al figlio di Veltri (Ma gli hanno già detto che vogliono andare a menargli il figlio. E a menare a lui e al figlio contemporaneamente), le minacce a Ruffino (Oh… mi stai rompendo i coglioni adesso… adesso io mi sto rompendo… vieni qua e vedi cosa devi fare… altrimenti vengo io stasera a trovarti… ora mi hai rotto le palle…. adesso mi hai rotto i coglioni… mi hai rotto le palle… vaffanculo tu e tutta la razza tua… pezzo di cornuto che non sei altro… mi hai rotto le palle… mi stai facendo esaurire… mi hai rotto… vedi che vengo e ti prendo stasera a casa e ti spacco di botte a te e a tutta la razza tua… pezzo di merda che non sei altro… e vaffanculo tu e tutto sto cornuto… bastardo che non sei altro… mi hai rotto… guarda che mi hai fa… mi stai facendo fuori di testa e se devo avere qualche problema per te ti faccio pentire pure che sei nato…cornuto che non sei altro… bastardo!… Eh… poi ti dico io a te… intanto qua non vieni più… tu… e anzi… ma guarda sto pezzo di merda… guarda… guarda… vabbò… (rivolgendosi a…omissisis…) Tè… tè… che altrimenti lo vado a prendere e lo scanno!”), le singolari telefonate augurali a Ruffino, fanno parte di questo campionario. Poi, se qualcuno è un po’ duro come Ruffino, passando alle percosse e alle minacce fisiche con armi.
“Perché la verità è quella che dice Longo, citando una famosa frase di Enrico Cuccia – conclude Gennari – : le azioni non si contano, si pesano. E quelli dei calabresi pesano di più”.
2 – to be continued (la precedente puntata è stata pubblicata ieri, 29 novembre)
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