Ecco l’ennesima idea demagogica nella lotta alla mafia. Viene dalla Sicilia. Viene dal Movimento 5 Stelle. Viene dal deputato dell’assemblea regionale Gianina Ciancio. Non la conosco. Non so chi è.
“Dal prossimo anno scolastico l’educazione antimafia tra le materie di insegnamento delle scuole siciliane medie e superiori”, recita il comunicato stampa sul sito del movimento grillino siciliano, che dà notizia di un disegno di legge che mira a introdurre per la prima volta in maniera sistematica nelle scuole dell’isola l’“Educazione allo sviluppo della coscienza democratica contro le mafie e i poteri occulti” e nasce in risposta alle sollecitazioni a più riprese avanzate da centinaia di scuole della Sicilia e da migliaia di docenti e alla condizione di inadeguatezza da essi avvertita rispetto al diffondersi in tutto il paese delle organizzazioni mafiose e antidemocratiche.
Il Ddl – al quale hanno collaborato, ahinoi, un certo numero di docenti, professori e attivisti – “riempirebbe parte dei vuoti della quota oraria della dotazione scolastica riservata dalle leggi nazionali alle regioni – si legge nel comunicato – e da queste, finora, largamente inutilizzata”.
Oltre la corposa sfida alla lingua italiana contenuta in questa parte del comunicato stampa, si entra nel vivo con un preambolo. «La scuola – dichiara Maria Pia Fiumara, che ha contribuito alla stesura del disegno di legge – deve essere in grado di attuare strategie utili a garantire tutte le occasioni di crescita, riflessione, operatività regolare e quotidiana, in un tema così delicato come l’educazione antimafia, che deve essere curricolare e non affidato alle risorse e alle energie di pochi».
Anche in questo caso l’italiano è quel che è (cosa voglia dire “educazione curricolare” è uno dei misteri aggiunti dalla natura matrigna) ma andiamo avanti.
Per l’insegnamento della disciplina – si legge nello stesso comunicato stampa – sono previsti specifici moduli didattici, suddivisi in unità teoriche e di laboratorio, caratterizzati da itinerari di carattere storico-sociale e artistico-culturale, atti ad illustrare i fenomeni delle mafie, delle organizzazioni criminali, dei poteri occulti e delle azioni politiche e sociali di contrasto. Il ddl prevede l’insegnamento della nuova materia per una durata non inferiore alla due ore settimanali.
«Il ddl – afferma, suppongo trionfante, il deputato Gianina Ciancio – prevede la creazione di un fondo nel quale potranno confluire, oltre a finanziamenti regionali, statali o donazioni volontarie, anche i proventi dei beni confiscati alla mafia. È un modo di restituire alla società, sotto forma di educazione e cultura, quanto dalle organizzazioni criminali le è stato sottratto».
Ieri sera – quando ho letto questa notizia – all’interno del sito del Movimento 5 Stelle siciliano c’erano 15 commenti che, oltre all’incitamento doveroso, interno al movimento e dunque partigiano, segnalavano perplessità. “Ci sono già due disegni di legge in materia”, “velleitario”, “i problemi attuativi sono tanti”, “dove prendiamo i soldi” e via di questo passo: ecco il “succo” delle perplessità espresse dagli elettori e simpatizzanti del Movimento di Giuseppe Grillo detto Beppe alla proposta
IDEA DA PERFEZIONARE
L’idea – lo dico chiaro e tondo – non solo è inutile. E’ – lo dico solo per paradosso – dannosa.
Che lo “sviluppo della coscienza democratica” – come recita il ddl – possa essere introdotta per legge è un’idea che si commenta da sola e che, da sola, basterebbe per mettere una croce sullo stesso ddl. E’ – mutatis mutandis – come voler imporre la bellezza o canoni estetici o morali in un programma scolastico.
Mi ripugna inoltre l’idea di voler“confinare” – in Sicilia come in qualunque altra regione d’Italia dove la sfida alle mafie è forse più drammatica che al Sud – a due ore di lezioni settimanali una materia così vitale per la democrazia come la legalità, concetto che va ben oltre la mera antimafia e la lotta ai poteri occulti (che, vivaddio, hanno un nome è un cognome e si chiamano Stato deviato, massoneria deviata, Chiesa deviata; vogliamo avere il coraggio di chiamarli cosi?).
La legalità è un filo rosso che unisce – e non divide in compartimenti stagni “orari” – la società, di cui la scuola e la formazione (insieme alla famiglia e alla Chiesa) sono una componente vitale.
Rigetto l’idea di voler attingere a fondi statali o comunque pubblici, che servirebbero solo ed esclusivamente ad alimentare cervellotici e burocratici percorsi di cui la faraonica scuola e docenza italiana è già piena.
Mi pongo, ancora, un sottile e delicatissimo tema: chi decide chi è titolato a insegnare? Una giuria? La dea bendata? Il preside? Un collegio arbitrale? Una lotteria?
E quali sarebbero le materie? E gli esercizi pratici? Il corpo a corpo dialettico? Lo sventolio delle agende rosse di borselliniana memoria? Cantare a squarciagola “Bella ciao” o, perché no, “Faccetta nera”? Prova di spionaggio a fini statali? Come ti disinnesco una bomba in due mosse?
E cosa è – si potrebbe porre come primo quesito ma la realtà è che da qualunque parte lo si prenda questo ddl ti sfugge come un’anguilla – “l’educazione antimafia”? Quella professata da indecenti professionisti che si riempiono la bocca di legalità e principi e che magari – come dice un vero Maestro dell’antimafia di vita e non della parola come Roberto Scarpinato – sfilano alle celebrazioni pubbliche dovendo, viceversa, giustificare di fronte alla Giustizia divina (domani) e umana (oggi) le proprie azioni? E quali sarebbero i testi da adottare? Immagino la canea che esploderebbe nella scelta. Destra e sinistra si scatenerebbero per suggerire i testi più antimafiosi degli altri.
Uno dei drammi di questo Paese è proprio l’antimafia che ogni giorno arricchisce le fila di persone impresentabili. Questo deve essere chiaro – anche e soprattutto – a chi, come coloro i quali hanno ideato e presentato questo ddl, ha buone intenzioni e buoni propositi.
Per affossare l’idea “grillettante” (grillina sì ma dilettante)” basterebbe in vero richiamare un testo sacro e un autore.
Il testo sacro è la Costituzione italiana che – da sola – basterebbe (se solo buona parte del corpo docente italiano sapesse cosa è e sapesse, di conseguenza, come divulgarla) per insegnare agli studenti cos è la legalità, come si vive ogni giorno e come la si mette in pratica in ogni momento della giornata e non a “orario” come un parcometro.
L’autore è Gesualdo Bufalino (siciliano anche lui) il quale professava che per battere la mafia non c’è bisogno dell’Esercito ma di un esercito di insegnanti. Ogni giorno, In ogni scuola. In ogni singola lezione. In ogni singola attività programmata. E non solo per due o
re al giorno. Magari affiancato da un altro esercito: quello delle famiglie.
r.galullo@ilsole24ore.com