Condofuri è un Comune di 5.006 abitanti in provincia di Reggio Calabria, conosciuto come l’Acropoli della Magna Grecia in Calabria, poiché è l’unico borgo tuttora interamente ellenofono anche se a parlare il greco-calabrese sono rimasti ormai in pochi.
Gallicianò è un borgo di circa 60 abitanti (frazione del Comune di Condofuri), noto per l’amore con cui conserva le tradizioni grecaniche in ambito linguistico, musicale e gastronomico.
Premesse necessarie ma non sufficienti per tracciare il solco tra quel che è stato e quel che è di un piccolo centro, sciolto per mafia nell’ottobre 2010 e che dal 29 ottobre 2012 ha una nuova amministrazione. Durante il periodo di commissariamento prefettizio non mancarono le intimidazioni (il 6 luglio 2011 una busta con due cartucce calibro 12 fu lasciata da ignoti attaccata alla maniglia del portone d’ingresso del Municipio).
Neppure questo è sufficiente per calarci appieno in quello che da oggi – e per diverse puntate – racconterò a proposito non solo di Condofuri ma innanzitutto dell’operazione El Dorado (a causa del ricco riciclaggio!) con la quale il 6 maggio il Comando provinciale di Reggio Calabria dell’Arma dei Carabinieri ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 22 soggetti appartenenti e contigui alla ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata “locale di Gallicianò”, operante a Condofuri e territori limitrofi, oltre che nella provincia di Viterbo.
I 22 sono responsabili a vario titolo di: associazione di tipo mafioso, detenzione illegale di armi comuni, concorso in riciclaggio, concorso in impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (tutte con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni dell’associazione mafiosa e allo scopo di agevolare l’organizzazione stesa). A guidare l’indagine della Dda il Pm Nicola Gratteri con il sostituto Antonio De Bernardo.
IL “LOCALE”
Nel corso dell’attività investigativa, avviata nel settembre del 2009, i Carabinieri hanno accertato che nel comune di Condofuri operano tre “locali” di ‘ndrangheta: Condofuri Marina, San Carlo e Gallicianò.
Ora, con le parole dell’ex pm della Procura di Reggio Calabria, Salvo Boemi, ricordo a tutti cosa è un “locale” di ndrangheta. definibile «come porzione di territorio nel quale almeno quarantanove affiliati, presenti ed attivi, reclamano il controllo criminale dello stesso, potendone assicurare l’ordine delinquenziale mafioso».
A questo punto capite il perché della premessa: se già appare incredibile che su un territorio comunale di 58 km quadrati ci siano ben tre “locali” (!) di ‘ndrangheta, appare ancora più pazzesca la proporzione di un affiliato ogni 33 abitanti (visto che la matematica non è un'opinione, 5.006 abitanti residenti diviso per almeno 150 affiliati visto che i "locali" sono 3 e ognuno ne conta almeno 49 + il capo, fa esattamente un affiliato ogni 33,37 residenti). Pensate che gli abitanti per km quadrato sono 85!
Continuando con questo filo logico, visto che una locale ha almeno 50 affiliati e ne esiste una, secondo le evidenze della Procura, nella frazione Gallicianò che ha in tutto 60 abitanti (da ultimo censimento), ditemi voi chi si salverebbe dall’affiliazione…Giusto i neonati (ma non è detto perché si nasce anche “uomo d’onore”). Incredibile davvero!
Lungi da me voler criminalizzare una popolazione (anzi, sperando che l’accusa decada e che gli onesti si ribellino a una cultura di morte) ma limitandosi a quelle che sono le attuali evidenze messe nero su bianco da un procuratore come Gratteri e controfirmate il 22 aprile da un Gip come Silvana Grasso, quel territorio sembra pullulare di criminali, con un tasso verosimilmente tra i più elevati in Italia.
Le indagini hanno ulteriormente consentito di confermare e documentare le attività criminali e le sue dinamiche interne – ci spiega l’Arma dei Carabineri nel comunicato stampa – anche attraverso l’assegnazione di cariche e gradi e contestualmente all’esecuzione del provvedimento restrittivo, è stato eseguito un decreto di sequestro probatorio di 6 aziende, operanti nel settore dei trasporti, ortofrutticolo e immobiliare.
Le attività, ancora una volta, come si legge nel comunicato stampa del Comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri, «dimostrando la presenza ed il controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta, hanno consentito individuare, addirittura, le precise delimitazioni territoriali e le competenze dei rispettivi locali. Infatti, la località Acquapendente dividerebbe il confine del locale di Gallicianò con quello di San Carlo».
E QUI COMANDO IO E QUESTA E’ CASA MIA…
Eloquente è il contrasto sorto per l’assunzione del comando all’interno della famiglia, dove, per ribadire i poteri di un capo su un altro, sono dovuti intervenire altri soggetti “importanti” che, nonostante non appartenessero a quel “locale”, hanno posto soluzione alla questione.
Tutto nasce – ricostruiscono gli inquirenti – nel 2002 con l’arresto per 416 bis di Giuseppe Nucera, classe ’46, già capo-locale di Gallicianò, quando Antonio Nucera, classe ’55, si surroga il diritto di autonominarsi capo-locale, senza chiedere alcuna autorizzazione ne far giungere al primo alcuna “imbasciata”.
Quando nel 2008, Giuseppe Nucera viene scarcerato e termina tutti gli obblighi di legge, pretende nuovamente la carica. A quel punto Domenico Nucera, genero di Giuseppe e nipote di Antonio Nucera, interviene per porre fine alla questione ed organizza un incontro il 26 dicembre 2009, che si risolve a favore di Giuseppe Nucera.
Roba da farsi venire il mal di testa anche perché si chiamano tutti…Nucera!
A TUTTA CARICA!
Le investigazioni hanno consentito di appurare come sin dall’inizio, Alberto Corso, socio in affari dei fratelli Nucera e loro referente nella provincia di Viterbo (ma su questo torneremo a giorni), è indicato da Domenico Foti e Antonio Nucera come “contrasto onorato” (cioè un iniziato che si avviava al rito del “battesimo”) ed è lui stesso a ricevere un illuminante lezione sulla ‘ndrangheta da parte di Domenico Nucera che gli spiega l’organizzazione, l’assegnazione delle cariche in occasione della festa della Madonna di Polsi, la suddivisione dei “locali”, lo sviluppo della carriera ‘ndranghetistica dal basso, gli fa vedere la propria incisione e la carica di “Santa” che detiene.
Alberto Corso viene poi rassicurato da Domenico Nucera che gli promette direttamente la carica di sgarrista, senza passare per quella intermedia di
camorrista e che, se poi vorrà andare oltre, non deve preoccuparsi poiché comunque lo aiuterà lui. Domenico Nucera continua raccontandogli il rito del battesimo, la lettura di una formula, la ferita da procurarsi con un coltello sul dito e la goccia di sangue che deve fare cadere su un limone ed infine il santino che deve essere completamente bruciato.
LA VIVA VOCE
Per ricostruire questo mosaico di ben tre “locali” di ‘ndrangheta in un fazzoletto di terra, gli inquirenti fanno ricorso anche a moltissime intercettazioni telefoniche e ambientali. Come quando, ad esempio, Francesco Nucera, classe ’81, afferma l’autonomia del “locale di Gallicianò”: «Come Gallicianò, come “locale" risponde per fatti suoi», nonostante nel territorio comunale insistano tre diverse locali di ‘ndrangheta: «Ci sono tre "locali" di Condofuri, c'è di Condofuri Marina .. … San Carlo, Condofuri e Gallicianò».
Un altro esempio: a colloquio con una persona gli spiega che il posto in cui si trovano è chiamato Perdigia, ma di fermarsi poco dopo, in località Acquapendente: «Dice, Perdigia lo chiamano qua, ma tu ti fermi più sotto. Mico, compare Mico, qua vedi, si chiama Acquapendente». Quando l’interlocutore chiede la conferma del nome (“Acquapendente”), questa volta Giuseppe Nucera rivela ai presenti che quel luogo indica il confine territoriale della “locale di Gallicianò”: «Da qui per sotto il "locale" non è nostro», poiché da li in poi è di “competenza” di Condofuri («Eh, eh come ci dicono i nostri anziani, qua va con Condofuri. Tu non lo sapevi no? Ora lo sai»). Domenico Foti commenta che non era a conoscenza di tale limite («Pensavo che arrivavate sino a la sotto») mentre Giuseppe Nucera precisa che anche se la strada è loro, Acquapendente fa parte del territorio di Condofuri («No, no, vedi che ti stai sbagliando, Acquapendente va con Condofuri, e la strada che è nostra»), ribadendo la competenza territoriale delle due “locali”.
Insomma: contano anche le strade, che fanno da confine e allora guai a cambiarne il tracciato facendo, che so, una rotonda!
BASE FAMILIARE
La struttura criminale, organizzata prevalentemente su base familiare e che vedeva in posizione di rilievo Giuseppe Nucera (cl. 46), alias ’u luvuru e Antonio Nucera (cl. 55), noto come ‘Ntonaci, era diretta, secondo i canoni ‘ndranghetisti tipici, da un “capo locale” (identificato, per sua stessa ammissione nel primo dei due, scrive il Gip!) il quale espressamente come tale si indicava in un significativo dialogo intercettato: «…gli ho detto io che le "cariche" le imposto io, il "capo locale" sono io e le incorporo io…», con una presa di posizione che non era certo una mera manifestazione di millanteria, posto che risultava confermata in separate circostanze dal genero, Domenico Nucera, che ne ribadiva il ruolo di vertice in occasione di un separato dialogo intrattenuto con Alberto Corso di Viterbo, persona di sua fiducia di cui si avvaleva, secondo l’accusa, per il reimpiego dei capitali provenienti dalla Calabria. In quell’occasione gli spiegò che: «Nel "locale" di Gallicianò comanda mio suocero» e precisandogliene la posizione differente da quella di Antonio Nucera (cl. 55), che, pur detenendo lo stesso grado ‘ndranghetistico, non riveste la funzione di “capo locale”, che apparteneva al proprio suocero: «Ah, come locale di, come, cioè come cosa sono la tutti e due».
CONCLUSIONI
Anche i dialoghi (non solo quelli riportati ma tantissimi altri) hanno consentito agli investigatori, via via, di allargare il novero dei componenti della consorteria che regge il “locale” Gallicianò ricostruendone l’organigramma piuttosto nutrito, nonostante si tratti di un centro modesto, frazione del Comune di Condofuri, in cui molti dei componenti risultano imparentati tra loro ed hanno lo stesso cognome e, talvolta, anche lo stesso nome.
«I legami parentali rinsaldano con il legame di sangue quello criminale e l’indagine – si legge nell’ordinanza – approfondita e puntuale, è pervenuta, nonostante le omonimie, alla individuazione chiara ed inequivoca dei componenti del contesto associativo, colti ciascuno in momenti significativi ed indicativi della loro appartenenza al gruppo criminale, osservati muoversi con sicurezza e capacità di dominio delle situazioni in trattazione, perfettamente consapevoli degli obblighi scaturenti dal vincolo solidale, degli interessi in gioco e della stabilità del legame intrattenuto. La padronanza nella trattazione di ritualità, cariche, scale gerarchiche, ormai ben note nella casistica giudiziaria, si dimostrano vissute dal gruppo criminale in esame, particolarmente tradizionalista quanto a rispetto di consuetudine interne e regole non scritte, attuali e tuttora vive ed operative».
Ora mi fermo ma tra qualche ora sarò di nuovo qui a raccontarvi dell’operazione El Dorado
r.galullo@ilsole24ore.com
1 – to be continued