Stupore prima.
Ira, diventata poi schiuma e rabbia.
Infine voglia incontenibile – repressa a stento e solo grazie all’uso massiccio di camomilla sorseggiata con titanico ardimento – di telefonare a Rodolfo Palermo, presidente della prima sezione civile del Tribunale di Reggio Calabria. Un gioco del destino, vedere quell’asse…Palermo…Reggio Calabria…
Ci ho rinunciato quando ho visto che con lui, il 19 luglio, a firmare quella sentenza di primo grado (va sempre ricordato) in Camera di consiglio c’erano anche i giudici Giulia Messina e Salvatore Pugliese. Non ce l’ho fatta: tutta quella geografia del Sud mi ha stordito e ho rinunciato.
Per il momento, però. Solo per il momento.
Non mi arrendo, infatti, all’idea che su 120 pagine – con le quali il Tribunale in primo grado ha dichiarato l’ex sindaco di Reggio Arena Demetrio, Curatola Walter, Eraclini Giuseppe, Martorano Giuseppe, Morisani Pasquale, Plutino Giuseppe, Tuccio Luigi e Vecchio Sebastiano incandidabili alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del Comune di Reggio Calabria – non compaia anche il mio nome e il mio cognome o almeno uno di quelli tra i 5,6 giornalisti “pupi” e “cialtroni” che hanno fatto del male alla città di Reggio Calabria, svelandone, come dovrebbe fare ogni Giornalista degno di questo nome intrighi, affari sporchi e maleodori ben prima, molto ma molto prima che arrivasse il Governo a scioglierla. Anni e anni prima, oserei dire.
Colpevoli di questo, insomma, di fare i giornalisti. Una volta – ai tempi in cui l’Espresso titolava: «Roma corrotta, Nazione infetta» – venivamo valutati per quel che davvero eravamo, cani da guardia dei poteri (marci). Oggi – con nostra massiccia dose di colpa – siamo considerati “causa” dei mali anziché sentinelle della libertà e della democrazia.
Non finirò mai – se lo mettano in testa tutti coloro i quali sono anche pubblicamente tornati ad intimidirmi – di fare il mio mestiere. Senza padroni e senza padrini.
UN APPELLO ACCORATO
Ma ora che il giudizio di primo grado è andato e in attesa, dunque, di una possibile e auspicabile revisione della decisione in appello ed eventualmente in Cassazione, attraverso questo umile e umido blog mi permetto di lanciare ai giudici di secondo grado un accorato appello: è possibile, anche scritto a penna Bic, aggiungermi tra le cause dello scioglimento del Comune di Reggio Calabria per contiguità mafiose?
Se non lo vorrete fare per me, fatelo almeno per la mia famiglia, i miei cari. Come dite? Vi interessa poco o nulla di loro?
Allora fatelo per tutti quegli impuniti di Stato che dominano l’Italia e affermano che un Giornalista – solo perché non è allineato e coperto al pensiero unico e osa pensare solo e unicamente con la propria testa – fa parte di una cricca fatta di cialtroni pilotati e manovrati da oscuri interessi. Fatelo per tutti quegli impuniti di Stato che – abituati loro si a manovrare pupi e pupette – trovano strano che la libertà di stampa e il diritto di cronaca regnino sovrane.
BENVENUTO PALERMO!
Ve lo dico chiaro e tondo, o ignoti giudici di secondo grado: se non vergherete almeno a penna il mio nome o quello dei giornalisti cialtroni e ciarlatani potreste, un giorno, anche voi essere additati sì come nostri complici nell’onestà intellettuale e professionale ma pur sempre nemici di Reggio Calabria, sciolta per l’accanimento terapeutico della parte nobile delle Istituzioni e dei Giornalisti e non certo (ci mancherebbe!) per colpa di chi l’ha portata a essere sciolta per contiguità mafiosa. Ma che strana espressione “contiguità mafiosa”…Ma che vor di?
CONTIGUITA’ MAFIOSA
No, non posso credere che voglia significare che dentro all’amministrazione municipale di Reggio e alle sue derivazioni (si vedano le ex municipalizzate) si fosse infiltrato il tarlo di quei sistemi criminali che tanto dispiacciono a parte della magistratura (lo dico chiaro e tondo: anche in questo caso mi autoaccuso di complicità con oligarchie plutogiudaiche, mafioborghesi e altri giornalisti cialtroni, seppure a me ignote e sconosciute, ma fa nulla, le cerchi qualcuno per noi, nell’aver criticato e continuare a criticare tutti i Palazzi, compresi quelli di Giustizia, senza guardare agli inquilini di cui me ne frego, qualunque cognome portino).
Non posso credere che anche Lei, Palermo, abbia giudicato consistenti le accuse nei confronti della politica e, per questo, ne abbia fatto conseguire – ripeto in primo grado – l’incandidabilità di alcuni suoi alti, altissimi, esponenti in Giunta o in Consiglio.
Sono come San Tommaso e non lo credo neppure se leggo quanto Lei – primus inter pares – ha scritto, con raro coraggio e sprezzo del pericolo.
A pagina 15 leggo – o pugnace camera di consiglio – che la proposta ministeriale di scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria, vi è stata trasmessa affinchè voi valutaste se «Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento …non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali… ».
Orbene, io sono un cialtrone/ciarlatano/pilotato/teleguidato di modestissima intelligenza ma se ben interpreto quel che ricordo della mia laurea in Giurisprudenza (comprata, sia ben chiaro), questo vuol dire che potrebbero incredibilmente essere gli amministratori responsabili delle condotte che hanno portato allo scioglimento. E così? La prego, Palermo, mi risponda? E’ così? Vuol dire che io – secondo l’articolo 143 comma 11 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali) – non sono neppure un pizzico colpevole dello scioglimento insieme alla cricca di giornalisti ciarlatani/cialtroni/mafiosi (a proposito: ma chi sarà il capo della cricca? Boh!)?
Mi dica che non è vero! Mi dica che anche io – in qualche luogo, in qualche dove, in qualche stanza, in qualche pertugio – ho avuto le mie responsabilità! Che so: ho mandato un sms al cugino di un vicino di ombrellone dello zio di Arena. O che so, ho calpestato lo stesso marciapiede dove ha lasciato le sue impronte Plutino! La scongiuro: mi accontento di poco!
Mi dica però – di grazia – che non avete applicato semplicemente la legge!
IL NESSO CAUSALE (E NON CASUALE…)
O dio delle città e delle Università, per quale imprescutabile motivo il collegio ritiene che «finalità ultima del procedimento si manifesta pertanto l’ac
certamento dell’eventuale sussistenza di un nessi causale fra le condotte – attive e/o omissive – poste in essere dai soggetti di cui è stata richiesta la dichiarazione di incandidabilità e lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria».
O dio delle Facoltà di Giurisprudenza, per quale inconfessabile motivo il compito del Collegio era quello di accertare se le condotte siano state causa efficiente diretta e/o indiretta dello scioglimento, «condotte che quindi abbiano causato l’assenza di genuinità nella formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi per essere tale volontà il risultato di condizionamento di tipo mafioso o similare (ma cosa c’è di similare? ndr) con conseguente alterazione dei principi costituzionali e legislativi del buon andamento e imparzialità dell’amministrazione».
O dio di tutti gli studi legali, per quale motivo il collegio giudicante si è cimentato nel compito di «verificare che le condotte degli amministratori contenute, esposte ed accertate nella richiesta del Ministero, nella relazione prefettizia nonché nella relazione di Commissione d’accesso, abbiano rivestito un ruolo determinante, efficiente e/o propulsivo nella decisione del Presidente della Repubblica di sciogliere il Comune di Reggio Calabria per infiltrazione mafiosa».
O dio dei vocabolari ma cosa vuol dire “propulsivo”? Vuol forse dire che le condotte degli amministratori avrebbero potuto avere un ruolo vitale nella decisione che avrebbe potuto assumere sullo scioglimento Giorgio Napolitano e invece per noi, miseri giornalisti “cialtroni” e “pupi”, neppure un misero riconoscimento?
ELEMENTI UNIVOCI
E per quale dio degli studi notarili, il collegio giudicante ha cercato il pervicace accertamento di quelle condotte, cristallizzate nella proposta ministeriale e negli atti, per capire se sfociassero in «elementi concreti, univoci e rilevanti che denunciano collegamenti diretti o indiretti fra l’amministrazione e la criminalità organizzata; con l’ulteriore conseguenza che le menzionate condotte si paleseranno contra legem, in quanto determinanti l’alterazione dell’efficiente equilibrio amministrativo e il pregiudizio per il regolare e legittimo funzionamento della res publica. L’interferenza dell’organizzazione criminale nelle scelte che sottendono alla gestione dell’amministrazione pubblica comporta, sul piano pubblicistico-collettivistico, lo sviamento della gestione dei servizi pubblici dai binari dell’efficienza e della terzietà, che sole devono assistere le scelte dellorgano comunale nel governo della cosa pubblica».
Sulla base di quale eretica religione avete osato affermare che «sintomo forte di sviamento dell’agere amministrativo è il forte e radicato potere di condizionamento delle elezioni comunali, perpetrato dalle locali cosche sin dalle fasi iniziali relative alla scelta stessa dei candidati»? Mi appello di nuovo a te, o diòscuro dei vocabolari. Ma che vor dì “agere amministrativo”? Io so ‘gnurante…Spiegatemelo, di grazia!
I PRECEDENTI
E perché, alle pagine 21 e 22 della sentenza avete svelato che il vostro giudizio ha trovato fondamento anche nei precedenti giudiziari (incredibbbbile!), vale a dire nell’ordinanza del 1° agosto 2011, del Tribunale di Reggio Calabria, sull’ incandidabilità a Roccaforte del Greco (Comune sciolto tre volte per mafia tra il ’96 e il 2011, vero record mondiale!, ndr): «Invero l’ influenza esercitata dalla criminalità organizzata, consistita nell’individuazione di un candidato di riferimento cui attribuire la preferenza, vale a qualificare l’appoggio mafioso come vero e proprio collegamento diretto o indiretto che lega l’amministratore beneficiario dell’attenzione della cosca con quest’ultima».
E perché, ancora, avete insistito richiamando la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 14 giugno 2012, sempre sull’incandidabilità a Roccaforte del Greco, vale a dire che: «È certo infatti che, indipendentemente dalla prova di un ruolo attivo e collaborativo dell'amministratore così eletto nelle dinamiche operative dell'associazione criminale (e indipendentemente dunque dalla ipotesi che la condotta dell'amministratore integri a sua volta un reato), nel contesto descritto la stessa decisione di candidarsi non possa non essere consapevolmente subordinata al gradimento e al fattivo appoggio dell'organizzazione criminale cui fa capo un così forte e penetrante potere decisionale. Anche un siffatto ruolo meramente passivo –ma inevitabilmente richiedente quantomeno un qualche indiretto contatto o approccio con esponenti dell‘organizzazione- indubbiamente di per sé vale comunque a consentire (e dunque a integrare) quel collegamento indiretto di cui parla la norma».
IL PROPRIO DOVERE
Davvero incomprensibile, anche al dio della metafisica, per quale motivo «se dunque il Collegio è chiamato ad individuare se le condotte accertate nella documentazione versata in atti denuncino la detta interferenza della criminalità organizzata nell’amministrazione comunale, del pari è chiamato ad individuare se quelle condotte, si sono poste quale causa efficiente dello scioglimento del Comune, per aver reso sostanzialmente permeabile l’apparato comunale agli interessi delle consorterie criminali, consentendone l’infiltrazione.
Una volta accertate le azioni od omissioni “efficienti” in capo ai soggetti evocati in giudizio, discenderà in capo a questi la limitazione dei diritti di elettorato passivo, conseguente alla dichiarazione di incandidabilità con provvedimento divenuto definitivo, per il primo turno elettorale successivo allo scioglimento del Comune».
Incredibile, ma vero, in primo grado un Tribunale ha stabilito – alla fine e sulla base di questo incomprensibile percorso – che otto ex amministratori del Comune di Reggio Calabria fossero incandidabili.
Non c’è più religione.
1 -to be continued
r.galullo@ilsole24ore.com