Sarebbe bello se i giornalisti facessero solo i giornalisti. Ergo: senza guardare in faccia a nessuno.
Sarebbe bello se i magistrati sentissero il bisogno di non "cadere" in politica.
Sarebbe bello se i politici conoscessero la Costituzione scritta e quella materiale.
Sarebbe ancora più bello se i magistrati guardassero al proprio interno prima di parlare e agire.
SAREBBE BELLO SE…
Nel primo caso un’orda più o meno variegata e altamente (in)attendibile di colleghi (siamo purtroppo tutti iscritti nello stesso Albo) avrebbe evitato di spingere con un improvviso moto perpetuo Nicola Gratteri, straordinario pm antimafia della Procura di Reggio Calabria verso il più alto scranno della Giustizia. Questi colleghi dimenticano una regola aurea che i miei cattivi maestri (si impara più da loro che da quelli buoni) mi hanno insegnato: il giornalismo, come la magistratura e la Chiesa sono mestieri di “non ritorno”. Non si possono, neanche temporaneamente, abbandonare o tradire – sempre che tu li viva come una prima pelle e non come un taxi – e quando questo accade non sei più credibile. Né per quanto hai fatto prima né per quanto farai dopo. Il giornalismo, la magistratura, sono arti e funzioni sacre e spesso svillaneggiate. Basta. Già è altro il prezzo che si paga così.
Inoltre (sia ben chiaro: per come intendo io la professione, senza alcuna pretesa di aver ragione) non è compito di un Giornalista sponsorizzare in questi modi pacchiani e vistosi un magistrato.
SAREBBE BELLO SE…
Nel secondo caso, i magistrati non sentirebbero il richiamo della politica che ama utilizzare a fini propri le straordinarie virtù altrui e la politica starebbe lontana dalla magistratura, evitando così anche i più lontani rischi di contaminazioni virali. Un giudice “ragazzino” (come venne sprezzantemente definito) come Rosario Livatino, trucidato da Cosa nostra e la cui morte tracciò per sempre la mia crescita morale e professionale, più volte nei suoi scritti denunciò la deriva della magistratura e gridò (inascoltato) al suo mondo di tenere lontane e distinte, per sempre, le due cose.
SAREBBE BELLO SE…
Nel terzo caso i politici eviterebbero di fare belle figure davanti al popolo eccitato dall’idea di un pm come Gratteri candidato al ministero ed eviterebbero di incorrere (quanto volontariamente? Tanto non costa nulla dire: non è stata colpa nostra se non è diventato ministro) in figuracce come quelle vissute con il Capo dello Stato che ha impedito quella nomina. L’ha impedita con ragioni formali facendo la gioia della magistratura.
SAREBBE BELLO SE…
E qui veniamo al quarto ed ultimo “quanto sarebbe bello se…”. Già perché, come solarmente si è avuta riprova con la presa di posizione dei vertici dell’Anm, i primi a non volere Gratteri ministro erano proprio i suoi colleghi. Perché?
Beh, qui il popolo non ha bisogno di essere istruito. Può arrivarci da solo.
Io mi limito solo a dire a Nicola Gratteri, che mi onoro di conoscere da una vita ma nei confronti del quale non uso la parola “amico”, che sono felice che sia rimasto a Reggio Calabria a combattere (spesso in solitudine) le sue battaglie contro la ‘ndrangheta. Quella “visibile”, unitaria e verticistica e quella “invisibile” che ne cura la regia. Io – e lui lo sa – sarò sempre al suo fianco e per dimostrarlo ho un solo modo: scrivere e diffondere ciò che fa (come ho recentemente fatto, anche su questo blog, con l’operazione “New Bridge” che lo ha visto protagonista). Libero di criticarlo quando lo riterrò opportuno, così come sono libero di esprimere la mia opinione sul suo mancato arrivo al vertice della Giustizia.
Nei suoi confronti non uso la parola “amico” – come hanno fatto in questi giorni decine e decine di persone che gli hanno tirato la giacca prima e dopo la sua mancata nomina – per un banalissimo motivo: se mi dichiarassi pubblicamente amico di un qualunque magistrato verrei meno alla mia funzione primaria: essere super partes. Non sarei credibile. Un giornalista non può e non deve essere nell’espletamento della sua (sacra) funzione amico di nessuno. Né dei magistrati, né degli investigatori, né di qualunque altra fonte: dagli avvocati ai pentiti, dai funzionari agli uscieri per finire con i politici. Io, l’ho scritto più volte su questo blog, non sono amico di nessuno e di nessuno voglio esserlo.
Allo stesso modo un magistrato (idem il giornalista) non può e non deve frequentare politici nell’espletamento delle sue funzioni. Altrimenti può capitare che – a sua insaputa – ne diventi amico. E le amicizie false, si sa, tradiscono. Lo insegna anche la storia di Livatino.
Gratteri ha una dote straordinaria in più rispetto a molti suoi colleghi: non frequenta politici (anche l’incarico che ricevette dal precedente Governo Letta gli fu preannunciato via cavo nella trasmissione di Fabio Fazio e ha dovuto penare non poco, lui come il suo meraviglioso collega Raffaele Cantone, per spingere il suo pacchetto di riforme sulla Giustizia che ora giace e continuerà a giacere nei cassetti di Palazzo Chigi) e non frequenta salotti. Neanche quelli – molti influenti e potenti – della sua categoria. Neanche quelli (a Reggio e Roma grandiosi) della massoneria che invece, contra legem ma ancor prima contro il buon senso, sono frequentatissimi da molti suoi colleghi in tutta Italia (ovviamente si sa ma non si prova nè tantomeno qualcuno ci pensa). Insomma: la sua vita riservata e blindata cozzava e cozza con la platealità delle carovane di falsi amici pronti a spingerlo verso il carro ministeriale.
Buon lavoro a Reggio Calabria dott. Gratteri. Le voglio bene.
r.galullo@ilsole24ore.com