Amati lettori di questo umile e umido blog, rieccomi a voi con una nuova tappa di approfondimento della relazione della Commissione parlamentare antimafia sul rapporto tra mafia e massoneria.
Per quello che finora ho scritto rimando ai link sotto (oltre che alla ricerca dei servizi sul sito del Sole-24 Ore). Oggi continuo a ragionare sulla segretezza del rapporto massonico.
Si legge nella relazione (sul caso del Comune di Castelvetrano, Trapani), che la qualità di massone viene anteposta a quella di pubblico amministratore e ai suoi doveri civici. Questa segretezza strutturale, si legge sempre nella relazione, risulta amplificata da una serie di altri vincoli: quello gerarchico (diverse formule impegnano solennemente a «prestare aiuto e assistenza a tutti i fratelli liberi muratori sparsi su tutta la superficie della terra», ancorché in alcune di esse, ma non in tutte, si preveda la limitazione ai soli fratelli «che non si siano macchiati di crimini contro alcun altro essere umano»), quello di solidarietà incondizionata tra fratelli (l’ingresso nella massoneria determina un vincolo indissolubile e permanente, non essendo previsto un recesso volontario e l’essere messi in sonno determina una situazione di sola quiescenza, in cui non si partecipa ai lavori ma senza che ciò comporti la perdita dello status; solo per gravi casi è previsto il “depennamento”, che, peraltro, avviene con una cerimonia intrisa di ritualità esoterica e di simbologia di morte, spiega ancora la Commissione), quello dell’indissolubilità dell’appartenenza, che impongono al massone, peraltro destinato a rimanere tale per tutta la vita, a rispettare gli ordini superiori e a non tradire i fratelli.
Ed ecco che, di colpo, la Commissione scavalla e si avventura in un passaggio ancora più delicato per le sorti della stessa democrazia
«L’effettività del coacervo di queste regole viene, infine, sugellata da una sorta di supremazia riconosciuta alle leggi massoniche rispetto a quelle dello Stato – si legge testualmente – come già emerge, e non tanto timidamente, dagli stessi giuramenti in cui si chiede, innanzitutto, l’impegno assoluto “di conformarvi alle nostre Leggi”» (si veda ad esempio la formula della Gran Loggia d’Italia degli Alam).
Solo nel passaggio successivo, viene data garanzia, da parte del cerimoniere, che le leggi massoniche «non contengono nulla di contrario alle Leggi dello Stato né alle convenienze sociali»: il fratello, quindi, aderisce venendo sollevato da ogni dubbio, grazie all’assicurazione ricevuta, che il rispetto dell’ordinamento della massoneria è in linea con quello dello Stato .
In un altro giuramento, quello del Goi, l’affiliato, tenuto a rispettare il regolamento interno, assume altresì l’onere, con riferimento allo Stato, di osservare la Costituzione e «le leggi che ad essa si conformino» quasi che ci si riservi, afferma la Commissione parlamentare, «un giudizio di legittimità costituzionale massonico sulle leggi che, dunque, non sono da rispettare sic et simpliciter ma solo se da loro stessi ritenute conformi al dettato costituzionale. In sostanza, si tratta di un sistema di prevalenza ordinamentale che, come si constaterà attraverso i casi concreti, legittima il segreto agli occhi dei fratelli e ne sanziona la sua violazione.
Questa segretezza strutturale, già da sola, è sufficiente per creare, da un lato, un rapporto di incompatibilità con l’ordinamento giuridico, e dall’altro, un rapporto di compatibilità con le mafie, risolvendosi in un meccanismo di pacifica convivenza e di tutela reciproca.
Una serie di altre concrete applicazioni del dovere del segreto, accertate dalla Commissione, dimostrerà, nei paragrafi che seguono, il pericoloso sconfinamento dai principi di salvaguardia della propria e della altrui riservatezza fino a dar luogo a entità occulte allo Stato e in conflitto con il suo ordinamento».
La Commissione si apre a delle riflessioni che sono oggettivamente di condanna senza se e senza ma nei confronti della massoneria sondata con la propria indagine (anche se resta da capire nei confronti di quali tra le 4 obbedienze, come più volte scritto).
Lo spunto è dato dalla questione degli elenchi e del loro sequestro.
«Quando, verso l’esterno – si legge nella relazione – si oppone il rifiuto ad una legittima richiesta di un’Autorità istituzionale di ottenere gli elenchi degli iscritti, invocando pretestuosamente le norme sulla privacy che invece obbligavano a quella consegna e ciò per mantenere celati i nominativi dei propri appartenenti, compresi quelli con gravi precedenti per fatti di mafia; e quando, poi, nemmeno gli elenchi custoditi nelle sedi ufficiali danno atto di quale sia la reale composizione del substrato associativo perché gremiti di generalità incomplete, nomi inesistenti e di fantasia, o mere iniziali; quando i cittadini e finanche i pubblici ufficiali omettono di denunciare un fatto di reato perché ciò comporterebbe la rivelazione dell’appartenenza del denunciante e del denunciato alla massoneria; e quando, di converso, colui che adempie al dovere civico di collaborazione con la pubblica autorità rivelando il nominativo dei propri associati, ovvero manifestando pubblicamente il proprio pensiero su pericolose anomalie della massoneria, subisce un processo di espulsione; è allora lampante, anche in questo caso, che la privacy c’entra ben poco e che si agisce in un circuito segreto.
Si ravvisa, in sostanza, nella strutturazione della massoneria, o almeno delle obbedienze (di cui due particolarmente rappresentative) oggetto dell’analisi parlamentare, il superamento del divieto costituzionale sulle associazioni segrete e, dunque, la sottrazione al controllo popolare e pubblico del loro modo di operare nel contesto della collettività.
In definitiva, permane un atteggiarsi di una certa massoneria italiana quale gruppo caratterizzato da un potere occulto, e dunque di pressione, in cui il ricorso a forme vere e proprie di segretezza si risolve nel terreno di coltura di interessi criminali».
In questo continuo ondeggiamento tra l’affermazione della segretezza (e dunque dell’incompatibilità delle associazioni massoniche, tutte o talune, con il perimetro della Costituzione e delle leggi italiane) e l’affermazione del solo “profumo di riservatezza”, resta la domanda di fondo: per le obbedienze di cui la Commissione certifica la segretezza, verranno o sono già state denunciate all’Autorità giudiziaria?
La risposta è no. Il motivo è semplicissimo. A giudizio della Commissione c’è una devastante contraddizione tra la Costituzione (che vieta le associazioni segrete) e la cosiddetta legge Anselmi.
Per la Commissione la legge Anselmi del 1982, accorpando il modo di essere dell’associazione e suo il fine illecito, ha di fatto aumentato il coefficiente di segretezza delle logge ufficiali che, proprio perché perseguono finalità lecite e, dunque, esulano dal divieto legislativo, hanno potuto mantenere, in concreto, le barriere invalicabili alla conoscenza esterna ed interna.
Morale: la legge Anselmi per la Commissione antimafia è affetta da evidenti profili di incostituzionalità,
Conseguenza: va cambiata la legge Anselmi. Si, ciao core. Ma questo lo approfondiremo dalla prossima settima.
Buon week end guagliò!
5 – to be continued
(per le precedenti puntate si leggano
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2018/01/18/il-lungo-e-ondivago-cammino-della-commissione-antimafia-sulla-segretezza-della-massoneria/)