Cari lettori di questo umile e umido blog, da ieri vi sto raccontando quando e come lo Stato, la magistratura e l’informazione vanno contro la propria natura che è quella di far evolvere una società, garantirne la giustizia e assicurare la conoscenza dei fatti. Per tutta la settimana mi sono limitato a raccontarvi il primo aspetto: lo Stato contro natura. Oggi concludo questo filone.
Lo faccio prendendo spunto dall’ultima e fondamentale indagine della Procura di Reggio Calabria (capo della Procura Federico Cafiero De Raho, procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e, dalla Dna, il sostituto procuratore nazionale Francesco Curcio), che hanno ricostruito la “Cosa unica”, che entra in azione quando lo Stato deve essere prima destabilizzato e poi stabilizzato. Tutto deve cambiare affinché nulla cambi, scrive testualmente la Gip Adriana Trapani che ha firmato l’ordinanza contro Rocco Santo Filippone (‘ndrangheta) e Giuseppe Graviano (Cosa nostra).
Abbiamo analizzato il matrimonio tra mafie e apparati dello Stato marcio per garantire lo status quo. Poi ho virato su una figura che vive beatamente (e legittimamente allo stato degli atti giudiziari che non si sono mai tramutati neppure in processi) in Calabria ma è stato al centro di tante indagini ed è ancora indagato da ben due procure: quella di Reggio Calabria e quella di Palermo: Giovanni Pantaleone Aiello – ex poliziotto in servizio alla Squadra Mobile di Palermo legato, secondo la Dda di Reggio, a Bruno Contrada, ex numero due del Sisde – sospettato dalla Dda di Reggio di avere avuto un ruolo in diverse eclatanti vicende stragiste nel contesto di oscuri e inquietanti rapporti fra criminalità organizzata (siciliana e calabrese) e apparati statali deviati.
Come risulta dalla documentazione trasmessa dalla Dna, Nino Lo Giudice, all’esito del colloquio investigativo con Donadio, si era impegnato a fornire, non appena rientrato nella località protetta, tramite gli ufficiali di polizia giudiziari, al Procuratore nazionale antimafia, una copia cartacea di alcune foto di Giovanni Pantaleone Aiello. Foto che aveva custodito nel suo pc, di cui, a suo dire, disponeva, in quanto consegnategli dal suo affiliato Antonio Cortese.
Cortese, sempre secondo il racconto di Lo Giudice, aveva avuto, a sua volta, la disponibilità di queste foto, in quanto, lo stesso Lo Giudice gli aveva ordinato di scattarle (all’insaputa di Aiello) durante un pedinamento dello stesso Aiello, ordinato da Lo Giudice che evidentemente non si fidava di Aiello, di cui, evidentemente, aveva, già allora, un evidente timore, per avere una traccia dei luoghi e delle persone frequentate da Aiello.
Ebbene, in tale occasione, non solo, Lo Giudice, rientrato nel suo appartamento in località protetta, anziché stampare le foto che aveva asserito di avere nel pc e metterle nella busta da recapitare al Pna, inseriva, nella stessa, dei fogli bianchi per poi consegnare il tutto agli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano il compito di ritirarla chiusa da Lo Giudice e consegnarla al Pna, ma inscenava una pantomima, da cui. peraltro, traspariva tutto lo stato di agitazione del collaboratore. In particolare, nel corso delle registrazioni video, ordinava, alla sua convivente di riprenderlo con una telecamera mentre spiegava ad alta voce che, poiché lui non sapeva nulla di questo Aiello, nella busta che l’allora capo della Procura nazionale Piero Grasso attendeva, anziché le foto di quest’ultimo, inseriva, per l’appunto, dei fogli bianchi.
Il filmato, girato la sera del colloquio investigativo e cioè la notte fra il 14 ed 15 dicembre 2012, venne poi inviato su opportuno supporto informatico, alcuni mesi dopo, in uno con i memoriali di ritrattazione.
«La reazione di Lo Giudice, ove fosse da rapportare ad una normale richiesta di esibizione di copia di documentazione fotografica da parte della Autorità giudiziaria (che, per di più, aveva ricevuto indicazioni, dallo stesso Lo Giudice) – si legge testualmente nell’ordinanza firmata dal Gip Adriana Trapani – sarebbe stata abnorme e difficilmente spiegabile. Specie se si tiene conto del fatto che parliamo di un uomo freddo e navigato come Lo Giudice. Che, peraltro, se, davvero, nulla avesse avuto a che tare con Aiello, non si capisce perché si sarebbe dovuto preoccupare tanto. Mentre, quella paura, quel terrore, quella concitazione, potevano spiegarsi ed avere una loro logica solo se fossero ricorse due condizioni : l’effettiva esistenza di tali rapporti e, al contempo, la loro straordinaria pericolosità che consigliava di occultarli per quanto possibile. Insomma dopo una incauta apertura durante il colloquio investigativo (da qui, anche, una certo risentimento verso il magistrato che l’aveva condotto) bisognava correre ai ripari. Si doveva negare tutto. Quelle ammissioni erano state “forzate” e quel filmato, nella lucida logica di Lo Giudice, doveva servire come una sorta di assicurazione sulla vita, come un documento da utilizzare in caso di necessità».
Ora fino a qui va tutto bene ma la domanda che ci si pone è: ma ‘sto Lo Giudice aveva o non aveva direttamente o con la sua cosca contatti con Aiello? Perché se la risposta è si – fuga o non fuga, ritrattazione o non ritrattazione, memoriale o non memoriale – allora è solare che la presenza di Aiello in Calabria, secondo la ricostruzione della Procura, non è certamente legata alle vacanze estive o allo svernare in riva alle onde.
E no. E’ legata, secondo la Dda di Reggio, alla stagione stragista che, con la morte dei due carabinieri nel ’94 e il tentativo di farne fuori altri, in Calabria ha avuto la sua coda concordata tra Cosa nostra e ‘ndrangheta.
Ebbene, come si evince dall’interrogatorio di settembre 2014 di Lo Giudice e come ammesso e peraltro riconosciuto da Consolato Milani, uno dei due killer dei Carabinieri freddati allo svincolo di Scilla, in sede di individuazione di persona, il 5 marzo 2014, Giovanni Pantaleone Aiello, effettivamente frequentava la cosca Lo Giudice.
Bingo. Dunque Lo Giudice era preoccupato non di un fantasma ma di un soggetto ( e di tutti i collegamenti che a questo facevano capo) in carne ed ossa che lui ben conosceva la cui pericolosità, evidentemente, considerava ben maggiore di quella di tutti gli altri soggetti (che non erano propriamente delle mammole scrive il Gip Trapani) che, fino a quel momento, aveva chiamato in correità.
«Evidente che ci troviamo di fronte ad un depistaggio nel depistaggio – si legge ancora nell’ordinanza – cui Lo Giudice si è indotto per mascherare i veri beneficiari della ritrattazione (Aiello e Cosa Nostra) e, quindi, per mascherare, per annegare, in una più ampia cortina fumogena, il messaggio che intendeva mandare a chi di dovere sul suo intendimento di non rendere (più) dichiarazioni che coinvolgessero Aiello o Cosa Nostra.
Invero, una ritrattazione, o, comunque, una smentita mirata esclusivamente sulle dichiarazioni appena citate, sarebbe stata, infatti, sospetta ed avrebbe potuto causare una reazione, un effetto contrario a quello voluto, facendo concentrare l’attenzione degli inquirenti proprio sulle specifiche dichiarazioni ritrattate. Una ritrattazione generale, invece, proprio per la sua genericità, lascia disarmati e non permette, in assenza di altri elementi indiziari, di individuare la vera ragione dell’inquinamento probatorio».
Per ora mi fermo. Buin fine settimana
5 – to be continued (per le precedenti puntate si leggano
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/08/01/stato-contro-natura2-la-dda-di-reggio-calabria-svela-la-piaga-purulenta-allinterno-dei-servizi-segreti-la-falange-armata/)