Aiello “faccia di mostro” e la stagione stragista in Calabria/1 Il pentito Nino Lo Giudice lo teme: per questo fugge e ritratta

Cari lettori di questo umile e umido blog, da ieri vi sto raccontando quando e come lo Stato, la magistratura e l’informazione vanno contro la propria natura che è quella di far evolvere una società, garantirne la giustizia e assicurare la conoscenza dei fatti.

Lo faccio prendendo spunto dall’ultima e fondamentale indagine della Procura di Reggio Calabria (capo della Procura Federico Cafiero De Raho, procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e, dalla Dna, il sostituto procuratore nazionale Francesco Curcio), che hanno ricostruito la “Cosa unica”, che entra in azione quando lo Stato deve essere prima destabilizzato e poi stabilizzato. Tutto deve cambiare affinché nulla cambi, scrive testualmente la Gip Adriana Trapani che ha firmato l’ordinanza contro Rocco Santo Filippone (‘ndrangheta) e Giuseppe Graviano (Cosa nostra).

Abbiamo fin qui analizzato il matrimonio tra mafie e apparati dello Stato marcio per garantire lo status quo.

Oggi viro su una figura che – e mi domando come – vive beatamente in Calabria pur essendo stato al centro di tante indagini e pur essendo ancora indagato da ben due procure: quella di Reggio Calabria e quella di Palermo.

Il suo nome è Giovanni Pantaleone Aiello – ex poliziotto in servizio alla Squadra Mobile di Palermo legato, secondo la Dda di reggio, a Bruno Contrada, ex numero due del Sisde – sospettato di avere avuto un ruolo in diverse eclatanti vicende stragiste nel contesto di oscuri e inquietanti rapporti fra criminalità organizzata (siciliana e calabrese) e apparati statali deviati.

La storia di Aiello si lega a doppio filo, secondo la ricostruzione della Procura avallata da un giudice terzo, a quella di una cosca (seppur in disgrazia) di ‘ndrangheta e a quella di un suo uomo di riferimento.

La cosca è Lo Giudice e l’uomo e Nino detto il “nano” Lo Giudice.

Quest’ultimo lascia memoriali contraddittori in cui prima accusa gli uni e poi gli altri, prima collabora e poi non collabora. Uomo di cui si può dire tutto ed il suo contrario (alcuni pm e alcune procure infatti lo fanno o lo hanno fatto) le cui valutazioni ai fini probatori e giudiziari non mi competono.

Ora la procura ricostruisce come i nervi di Lo Giudice fossero saltati quando, in un colloquio investigativo nel dicembre 2012 dell’allora sostituto procuratore nazionale antimafia Gianfranco Donadio, viene fuori il nome di Aiello (detto anche “faccia di mostro”).

Fino a quel momento – ricostruisce la procura di Reggio Calabria – pur avendo affrontato temi spinosissimi (compresi i contatti che lui e suo fratello Luciano avevano con appartenenti alla magistratura ed alle Forze dell’Ordine) tutto era filato liscio. Non aveva mai ritrattato e mai aveva smesso di collaborare. E men che meno si era terrorizzato, aveva messo in guardia i congiunti ed aveva tentato di fuggire. Né, mai, aveva manifestato agli inquirenti, non solo espressamente, ma neppure per fatti concludenti, preoccupazione per la sua incolumità e per quella dei suoi cari.

Donadio – che, attenzione, fa colloqui investigativi su diretta delega dell’allora capo della Procura nazionale antimafia Piero Grasso – porta il “nano” sul terreno delle stragi e dei suoi possibili ulteriori protagonisti e quello dei suoi rapporti (confermati peraltro, non solo dal pentito calabrese Consolato Villani ma, anche, da altri elementi indiziari) con un soggetto quale Aiello, che sulla stessa base delle dichiarazioni di Lo Giudice, risultava essere un uomo che agiva nell’ombra, fra un lontano passato nello Stato ed in campi d’addestramento militari, ed un passato più recente ed il presente, al fianco del crimine organizzato e di pericolose entità deviate, non individuate.

Dopo il colloquio investigativo, comunque, seppure turbato, Lo Giudice continuò a collaborare e a rendere dichiarazioni anche in sede dibattimentale (da dicembre 2012 a maggio 2013).

Il turbamento di Lo Giudice, ricostruisce la Dda, lo si comprende appieno anche alla luce di un ulteriore fattore: la miscela fra gli argomenti trattati nel corso del colloquio investigativo e l’appartenenza di Donadio alla Direzione nazionale Antimafia. Era lo stesso ufficio del quale, fino a pochi mesi prima, aveva fatto parte il pm Alberto Cisterna. E Cisterna, ricorda il Gip Adriana Trapani, proprio a seguito delle indagini seguite alle reiterate accuse dello stesso Lo Giudice – che attribuiva a Cisterna comportamenti ambigui e collusivi con suo fratello Luciano, indagato per gravissimi reati di criminalità organizzata – era stato trasferito dal Csm dalla Dna ad altra sede. A ciò si aggiunga che dai racconti di Lo Giudice, Cisterna e Aiello erano, sia pure indirettamente, legati fra loro dal fatto che entrambi erano in rapporti con il capitano dei Carabinieri Spadaro Tracuzzi, ufficiale di polizia giudiziaria condannato per avere concorso, da esterno, proprio nella cosca Lo Giudice. Spadaro Tracuzzi, ricordiamolo, il 26 luglio ha subito una perquisizione e con lui anche un detenuto con il quale ha diviso la cella.

La tensione sale e Lo Giudice, a quel punto, fugge e si dà alla macchia.

Lo Giudice, in un memoriale, spiegherà che, non solo, aveva notato presenze inquietanti nelle adiacenze della sua abitazione in località protetta e che vi erano stati dei tentativi di contattarlo da parte di soggetti non meglio identificati, ma che il contatto, infine, vi era stato e che, avvicinato e portato, manu militari, in una macchina da sedicenti carabinieri, verosimilmente in servizio presso qualche apparato di sicurezza, era stato ammonito a non parlare più di Aiello. Lo Giudice replicò ai Carabinieri che non aveva detto niente sul conto di costui e che ne aveva la prova, invitando uno di tali soggetti a ritirare una copia di un documento informatico, meglio, di una registrazione che dimostrava la fondatezza della sua discolpa. Cosa che in effetti, poi, secondo il racconto del Lo Giudice, avveniva posto che copia di questa registrazione veniva effettivamente da lui consegnata ai suoi interlocutori.

Ma qui, per capire di che registrazione si trattasse, deve essere introdotto un ulteriore punto che, peraltro, chiarisce ancora meglio, e definitivamente, quale fosse già l’inquietudine di Lo Giudice dopo il colloqui investigativo del dicembre 2012 in Dna e da cosa fosse determinato.

Per ora, però, mi fermo.

r.galullo@ilsole24ore.com

4 – to be continued (per le precedenti puntate si leggano

Stato “contro natura”/3 Nella stagione stragista Licio Gelli aveva in mano le mafie e i servizi deviati. Potevano vivere Falcone e Borsellino?

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/07/31/lo-stato-contro-natura1-lindagine-della-dda-di-reggio-calabria-risvela-il-matrimonio-tra-apparati-statali-marci-e-mafie/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/08/01/stato-contro-natura2-la-dda-di-reggio-calabria-svela-la-piaga-purulenta-allinterno-dei-servizi-segreti-la-falange-armata/)