25 anni dopo Capaci/2 E’ il 19 gennaio 1988: per il Csm Meli è «l’uomo giusto al posto giusto scelto con criteri giusti» – Giovanni Falcone no

Adorati lettori di questo umile e umido blog come sapete da venerdì della scorsa settimana sto ricordando con atti ufficiali (quelli del Consiglio superiore della magistratura) la memoria del giudice Giovanni Falcone che perì nella strage di Capaci con la moglie e i tre agenti di scorta.

E’ il 19 gennaio 1988. Il consiglio superiore della magistratura (Csm) esamina la proposta della Commissione Incarichi direttivi per conferire l’incarico direttivo di consigliere istruttore presso il tribunale di Palermo (cosiddetto Ufficio istruzione).

In lizza ci sono Antonino Meli, Giovanni Nasca, Rosario Gino, Marco Antonio Motisi, Giovanni Pilato e Giovanni Falcone.

Domani, giorno del venticinquennale e del ricordo della strage di Capaci, leggerete invece gli interventi dei consiglieri che portarono a nominare Meli (14 voti) e a bocciare Falcone (10 voti).

Oggi, invece, leggerete è la relazione dell’allora vicepresidente del Csm Cesare Mirabelli che il 19 gennaio 1988 portò alla nomina di Meli e alla bocciatura di Falcone (per il servizio di ieri con la relazione della commissione incarichi direttivi rimando al link a fondo pagina).

Votarono a favore di Meli i consiglieri del Csm Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti, Di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo Della Rocca, Paciotti, Suraci e Tatozzi.

Votarono contro i consiglieri Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d’Ayala, Racheli, Smuraglia e Ziccone.
Si astennero i consiglieri Lombardi, Mirabelli, Papa, Permacchini e Sgro

Questo è il mio modo per ricordare sul blog (sul quotidiano e sul sito ho dedicato servizi, dossier e video e lo farò anche oggi e domani, per cui vi invito a comprare, leggere e guardare) il venticinquennale della strage di Capaci che ha cambiato per sempre la mia vita.

Questo è il modo in cui oggettivamente ciascuno di voi potrà riflettere su quella giornata del lontano 1988 che segnò il lento e lancinante inizio della fine di Giovanni Falcone.

LA RELAZIONE DI NOMINA SVOLTA DA CESARE MIRABELLI, ALL’EPOCA VICEPRESIDENTE DEL CSM
All’esito della relazione – che qui tutta si richiama – e della valutazione comparativa degli aspiranti, nella contemperata applicazione dei criteri contemplati dalla legge, prima ancora che dalla circolare, – dell’anzianità, delle attitudini e dei meriti «opportunamente integrati tra loro» – sia ineludibile la prioritaria considerazione in favore del dott. Antonino Meli, il quale adeguatamente coniuga alla maggiore anzianità di ruolo, un quadro professionale più che apprezzabile sui profili attitudinali e di merito e, conclusivamente, del tutto tranquillamente circa la sua piena idoneità alla reggenza di un ufficio direttivo di tanta delicatezza e importanza. La titolarità di quest’ultimo postula, certo, l’assolvimento di compiti direttivi e organizzativi che si caricano (alla luce delle emergenze specifiche della repressione dei delitti perpetrati dalla criminalità organizzata mafiosa) di valenze e impegni particolarissimi; la ricerca, che ne consegue, di un adeguato tasso attitudinale non può, a questo punto, prescindere dal possesso da parte dell’aspirante di un’apprezzabile concreta conoscenza di quella peculiare problematica; ciò, d’altra parte, in piena coerenza con i già richiamati criteri di legge e di circolare, giacché anche la normativa consiliare sottace il recepimento del principio della concorsualità concreta (connotato essenzialmente dal rilievo che in esso assume rilevanza «la idoneità professionale a un posto determinato, non solo per il tipo di funzione che questo esprime, ma anche per le peculiarità ambientali che possono caratterizzarlo»). Tuttavia, la giusta rilevanza del dato attitudinale e la sua lettura secondo i criteri ampi che precedono, non può trasmodare in una sopravvalutazione «a schiacciamento» di questo requisito sugli altri (anzianità e merito), che debbono ex lege concorrere nella valutazione complessiva e armonicamente coordinarsi nella individuazione del cosiddetto «uomo giusto al posto giusto».
L’«uomo giusto» non è, pertanto, quegli che si prospetta in ipotesi, preliminarmente il più idoneo alla copertura di un determinato posto, volta per volta oggetto di concorso, nel quale le qualità professionali vengano commisurate anche alle specificità ambientali, ma, innanzitutto quello scelto con criteri «giusti», e cioè legittimi. Non è chi non veda come solo per tali profili l’organo di governo autonomo possa dar luogo, in un settore così delicato ed essenziale delle sue attribuzioni tipiche, a corretto esercizio dei suoi poteri discrezionali tale da rafforzarne la credibilità all’interno come all’esterno della istituzione giudiziaria; come, d’altra parte, poco valga invocare la peculiarissima necessità di tutela degli spazi di legalità in aree geografiche e sociali di particolare compromissione, giacché la legalità va salvaguardata, innanzitutto e come essenziale momento propedeutico, assicurando la coerenza dell’operato dell’organo amministrativo ai criteri di legge nei momento della scelta, coerenza della quale il consiglio non può spogliarsi, cedendo a moti emozionali ovvero alla opinione del cosiddetto «uomo della strada» (fattore questo, ove esista, rispettabile quanto estraneo allo Stato, alla legge e alla circolare). Su tali premesse, e ritornando sui binari della valutazione comparativa, va ribadito che il dott. Meli per il suo curriculum professionale si prospetta più che adeguato ai delicati compiti già accennati, secondo le oggettive emergenze del suo fascicolo, rappresentate dai vari pareri redatti in occasione delle fasi di progressione in carriera. Questi, che ebbe a esercitare nel sia pur lontano periodo marzo 1950/aprile 1951 anche funzioni di sostituto procuratore presso la procura di Varese, – tra l’altro molto encomiabilmente, secondo gli attestati – ha poi svolto funzioni di pretore e giudice a Varese, pretore a Trapani e a Palermo, giudice del tribunale di Palermo (dal 27 maggio 1964 al 12 luglio 1970), presidente di sezione del tribunale di Caltanissetta dal 13 luglio 1970 e, infine e in atto, presidente di sezione della Corte di appello di Caltanissetta dal 20 maggio 1985. Focalizzandosi, in particolare, l’attenzione sull’ultimo ventennio, emerge che il presidente del tribunale di Palermo, in relazione alle funzioni assolte dal Meli in quell’ufficio come «addetto alle sezioni penali», attesta aver lo stesso svolto «considerevole attività con particolare impegno, notevole capacità e non comune senso di responsabilità e vivo attaccamento al dovere», provvedendo alla stesura di «numerose sentenze, anche in processi gravi e complessi». Tali sue capacità di magistrato versato ed esperto, in particolare nella materia penale, si articolavano e arricchivano con la successiva esperienza di presidente di sezione dei tribunale di Caltanissetta, nella quale, come riferito, mostrava «grandissime capacità, affrontando con sicurezza e prestigio i processi più complessi e difficili», in particolare «dirigendo il dibattimento con grande prestigio, dignità, serenità, diligenza e zelo», e provvedendo, personalmente, alla «redazione delle sentenze dei processi più complessi». Appare, pertanto, innegabile una lunga e preziosa esperienza, nel Meli, di organizzazione e direzione dell’istruttoria dibattimentale (nelle funzioni per molto tempo espletate di presidente della Corte di assise di primo grado – per oltre dieci anni – e poi di appello) anche in relazione a processi di grande rilievo, quale, ad esempio, quello relativo all’assassinio dei dott. Rocco Chinnici. D’altra parte il Meli, che ha presieduto anche la sezione istruttoria presso la Corte di appello di Caltanissetta dal 20 maggio 1985, ha affinato sul campo le sue attitudini dirigenziali organizzative mercé sia l’esercizio protratto di funzioni semidirettive, come già notato, sia l’assolvimento di compiti direttivi vicari già nel periodo gennaio 1975/settembre 1976, in cui ebbe ad assumere la difficile reggenza del tribunale di Caltanissetta («carente di giudici e di funzionari di cancelleria»), e, quindi e in ultimo, di presidente della Corte di appello nissena dal 22 giugno 1987. A fronte di questo quadro professionale alimentato da una notevole indiscutibile laboriosità e di questi dati attitudinali spiccati, anche alla luce delle specifiche esigenze ambientali e tipiche dell’ufficio ad quem, e sulla premessa del possesso sicuro, da parte dei predetto, di quei requisiti di indipendenza e refrattarietà a ogni condizionamento coessenziali alla funzione giudiziaria come voluta dal Costituente, deve ritenersi che gli altri candidati sopra rassegnati siano corredati da requisiti attitudinali e di merito, che se per taluni di essi appaiono notevoli e in particolare per l’ultimo secondo l’anzianità, il dott. Giovanni Falcone, si prospettano notevolissimi, per tutti non possono reputarsi tali, con riferimento ai requisiti di legge e ai criteri ex circolare già richiamati, da giustificare nella comparazione specifica con il Meli, e anche in relazione alle esigenze concrete del posto da coprire, il superamento della maggiore anzianità, né, comunque, il convincimento di una idoneità specifica tanto maggiore rispetto a quella già lumeggiata e ritenuta in capo al Meli.
A tale conclusione, d altronde, non può non pervenirsi anche nel confronto specifico con l’aspirante dott. Giovanni Falcone; osservandosi, per tale particolare profilo e sulla premessa del richiamo delle considerazioni più generali sopra svolte, che se innegabili e particolarissimi sono i meriti acquisiti da questo ultimo nella gestione razionale, intelligente ed efficace – animata da una visione culturale profonda del fenomeno criminale in oggetto e da un coraggio e da una abnegazione a livelli elevatissimi – dei compiti istruttori attinenti ai più gravi processi per la repressione della criminalità mafiosa (per i quali può richiamarsi in sintesi il contenuto della comunicazione agli atti del consigliere istruttore del 17 luglio 1987), tuttavia, queste notazioni non possono essere invocate per determinare uno «scavalco» di sedici anni circa. Una siffatta scelta condurrebbe, secondo quanto già evidenziato, all’annullamento sostanziale di un requisito di legge e renderebbe arbitrario, anzi illegittimo, l’operato dell’organo. Ciò tanto più ove si sia raggiunta la tranquillante sicurezza di una
incondizionata idoneità del più anziano alla dirigenza dell’ufficio in oggetto.

P.Q.M.
La commissione a maggioranza (tre voti favorevoli per il dott. Meli e due per il dott. Falcone) propone il conferimento dell’ufficio direttivo di consigliere istruttore presso il tribunale di Palermo, a sua domanda, al dott. Antonino Meli magistrato di Cassazione nominato alle funzioni direttive superiori, attualmente presidente di sezione della Corte di appello di Caltanissetta.

r.galullo@ilsole24ore.com

2 . to be continued (per la precedente puntata si legga

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/05/19/25-anni-dopo-capaci1-per-lufficio-istruzione-di-palermo-la-commissione-del-csm-propose-il-piu-anziano-e-meritevole-non-era-giovanni-falcone/)

  • Bartolo |

    Caro Galullo,
    Non credo sia stato il solo ad essere rimasto segnato da quella azione di guerra contro un Paese (e l’uomo che in quel momento veniva interpretato valido servitore) aderente al patto atlantico, all’indomani della caduta del muro di Berlino, e che era anche la quinta potenza più industrializzata al mondo; solo a titolo di cronaca: durante la mia detenzione ho ascoltato un boss calabrese imprecare contro lo stato e la mafia siciliana per quell infamia. La storia, in proposito, deve essere riscritta; e a farlo, non possono essere i pentiti e il sistema che li protegge e gestisce. Saranno gli storici, per fortuna, tra un cinquantennio: così da evitare ai contemporanei legalitari giustizialisti e antimafiosi la delusione di scoprirsi complici della vera mafia. Probabilmente, per loro, i membri del Csm che hanno preferito Meli a Falcone, anche se hanno rispettato la legge, andrebbero arrestati. Ancora sono in tempo per un concorso in omicidio o concorso esterno o quanto meno, favoreggiamento alla mafia. Anche loro rastrellati e deportati per la definitiva chiusura nei lager di stato unitamente ai paralitici-disadattati-cialtroni e ad un esercito di cittadini che per i più svariati motivi (stupidità inclusa) sono costretti ad interagire con essi. Il tutto mentre è successo (mafia padrona) che ben due pubblici ministeri di punta hanno abbandonato il processo sulla trattativa stato-mafia: non si doveva e non si deve fare!
    Ovviamente, per impedirlo, come si conviene nei paesi civilizzati, non c’è bisogno di tritolo, tanto meno, appunto, di paralitici-disadattati-cialtroni.
    Saluti.

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