Cari amici di questo umile e umido blog, dalla scorsa settimana ho ricominciato a scrivere di un mio vecchio pallino così sintetizzabile: le mafie oltre le coppole e le lupare, i santini e le apecar. O se preferite: l’evoluzione costante e continua dei sistemi criminali che su quei riti si poggiano grazie a fondamenta solide ma che si elevano e innalzano ben oltre quella miserabile potenza di violenza e sangue.
Sapete altresì che – grazie all’indagine Gotha della Procura di Reggio Calabria che ha riunito in un solo procedimento fascicoli di diversa natura e provenienza – la magistratura sta, per la prima volta dopo decenni, affrontando in Calabria il tema di quell’area riservata, (in)sensibile, segreta e invisibile che consente alle mafie di pascolare sui vecchi prati e sconfinare in praterie nuove con la forza di chi sa che il potere marcio è dalla sua parte.
Da giorni sto analizzando le parole del pentito Nino Fiume che – nomen omen – è un fiume impetuoso di ricordi e conferme. Già, conferme, perché se a dire le cose un pentito è una cosa, se a dirle e ribadirle sono tanti, con i riscontri e le verifiche che arrivano da investigatori e inquirenti, beh, allora la cosa cambia.
Fiume, il 28 novembre 2016 nel corso di un’udienza del processo Breakfast, si spingerà molto avanti sul tema dei riservati del sistema mafioso, affermando nettamente che in tutte le famiglie di mafia calabrese (ma, si badi bene, il discorso non cambia per quella siciliana) ci sono i “riservati” e a domanda secca – ma chi sono ‘sti riservati? – ecco cosa risponde il pentito al pm Giuseppe Lombardo.
I riservati sono «quelle persone che sono ritenute perbene, anche professionisti che se un capo come Giuseppe De Stefano o un altro deve interagire con un’altra persona perbene, invece di andare con un affiliato conosciuto dalle forze dell’ordine, con una persona già segnalata, si accompagna con un professionista e così svia quelle che sono… ».
Le “persone perbene”: fate a caso a come suona incontrovertibilmente disgustosa questa associazione con la mafia. Le “persone perbene”…
Ma ecco che il capolavoro nella risposta e nella cristallina rappresentazione di ciò che è veramente (sempre stata) la mafia di ogni colore e longitudine, arriva alla domanda del pm: «E questo professionista che si presta a queste attività è parte della ‘ndrangheta o no? ». La risposta è agghiacciante ma solo per chi ha preferito cavalcare in questi anni la mafia della coppola anziché la mafia della “ragione”. Quella della “pancia” anziché quella della “testa”, che tutto dispone e comanda.
Ecco la soave risposta di “Nino ballerino”: «Per quelli che non lo sanno, no. Per quelli che sono al vertice della ‘ndrangheta, sì. Questo è il punto della situazione».
Già questo è il punto: che a sapere di questa elitè al servizio del gotha della ‘ndrangheta sono soli in pochi.
Ed ecco risuonare – nelle parole di Fiume – un concetto che questo umile e umido blog richiama da tanti anni: tutti sono uguali di fronte alla ‘ndrangheta unitaria ma qualcuno è più “uguale” degli altri. E quel qualcuno si chiama cosca De Stefano.
Chi gestiva questa categoria dei riservati o degli intoccabili, come lei li chiama? chiede il pm e Fiume risponde: «Ognuno aveva i suoi, però in una certa categoria, la persona che aveva più esperienza sotto questo aspetto, per determinate cose, era l’Avvocato Giorgio De Stefano», il cugino di Paolo De Stefano.
Mi spieghi ancora meglio, incalza Lombardo, i riservati erano a disposizione soltanto dei De Stefano o erano a disposizione anche di altre famiglie? E Fiume risponde: «Possiamo dire che ogni famiglia aveva i suoi riservati che all’occorrenza si scambiavano favori (…) I Latella avevano i suoi riservati, Mario Audino aveva i suoi riservati. Molte persone avevano le persone, diciamo, riservate che a sua volta scambiavano favori e messaggi con gli altri riservati delle altre famiglie».
E i “riservati” dei De Stefano erano a disposizione anche di Pasquale Condello? chiede ancora il pm. Fiume non si scompone, con il suo italiano preso a cazzotti: «Quando era diventata tutta una cosa sì. Se Giuseppe De Stefano voleva sistemare una cosa per lui (…) Sì, su determinate situazioni per loro era una forza, una grande cooperazione per questo… ».
In altre parole ci troviamo di fronte, secondo le parole del pentito, ad una grandiosa, sublime, gigantesca cooperativa di mutuo soccorso, nel nome dell’unitarietà (forse che si forse che no) della ‘ndrangheta, tessera del più grande puzzle del consorzio tra mafie (o chiamatelo come vi pare) che, vedrete nei prossimi giorni, riecheggerà anche nelle parole di Fiume. Un pentito, quest’ultimo, che sa bene quel che dice perché «…hanno cercato due volte di farmi la pelle, va bene, e di farmi saltare in aria. Con persone collegate sempre alla banca dei favori della ‘ndrangheta…».
Bene (si fa per dire). Ora mi fermo ma domani si riparte con i “riservati” di ‘ndrangheta.
4 – to be continued
(si leggano anche