Amati lettori di questo umile e umido blog, ricorderete che alcuni giorni fa ci siamo lasciati con la promessa di Michele Giarrusso (M5S) di sollecitare la presenza della sua collega Anna Finocchiaro (Pd) in Commissione parlamentare antimafia per avere delucidazioni sulla presenza, il 16 gennaio 2014, di Paolo Romeo, dinanzi all’ufficio di Presidenza della prima Commissione affari costituzionali del Senato. In quella occasione il già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente indagato nell’indagine Mammasantissima della Dda di Reggio Calabria, disquisiva del disegno di legge n. 1212, la cosiddetta legge Delrio.
Così, il 22 settembre Giarrusso – come aveva già annunciato a questo umile e umido blog – ha scritto alla presidente della Commissione Rosy Bindi, chiedendo di voler sapere con la massima urgenza “chi ha portato l’avvocato Romeo in Senato, chi ha chiesto l’audizione di quell’ associazione e perché la presidenza ha fatto audire un condannato per mafia. Dobbiamo capire fino a che punto è profonda e grave l’interferenza dei poteri mafiosi all’interno del Senato: dalla presidente Finocchiaro dobbiamo sapere in quali acque nuotava lo squalo“.
Saranno i prossimi giorni a dirci se davvero la senatrice Finocchiaro verrà audita (presumo che le linee partitiche saranno roventi sul punto) e intanto vorrei sollevare un dubbio: ma davvero il Senato non sapeva chi si portava in casa quell’ormai famoso 16 gennaio 2014?
Rimando al link per approfondire quanto già scritto su questa vicenda e vado ad un passaggio in cui Finocchiaro, il 4 agosto 2016, quando il Senato doveva votare sulla richiesta di arresto di Antonio Stefano Caridi, dichiarò, con riferimento all’ingresso di Romeo due anni prima nella Commissione Affari costituzionali di cui era ed è presidente, che “in questi casi, come è d’uso, il Presidente chiede chi prende la parola in rappresentanza dell’associazione invitata e ha preso la parola il signor Paolo Romeo, ovviamente sconosciuto alla Commissione”.
Ammesso e non concesso che potesse essere “ovviamente” sconosciuto alla Commissione, a Finocchiaro sconosciuto, quel Romeo forse non doveva propriamente essere. Lo dice la storia parlamentare dei due.
Nell’XI legislatura (23 aprile 1992, 14 aprile 1994, la più breve della storia) entrambi – e contemporaneamente – erano infatti parlamentari.
Finocchiaro nel Pds, Ds e Romeo nel Psi.
Il tempo, certo, cancella o annebbia i ricordi e non so assolutamente se 772 giorni di legislatura siano sufficienti per conoscere tutti i colleghi ma certo è che la figura di Romeo in quella legislatura non passò certo inosservata. Poffarbacco! In appena 772 giorni gli piovvero sulla capa ben tre richieste di autorizzazione a procedere: due per il reato ipotizzato di abuso d’ufficio (uno anche con falso ideologico) e una per associazione mafiosa (Doc. Tv n. 197, annunciata il 23 febbraio 1993; Doc. IV n. 465, annunciata il 6 luglio 1993; doc. TV n. 95, annunciata il 8 settembre 1992).
Non solo: Paolo Romeo fu anche al centro di una aspra contesa in Commissione parlamentare antimafia presieduta da Luciano Violante che animo – acciderbolina! – le giornate parlamentari, la pancia dei partiti e le cronache dei giornali.
Nella relazione di minoranza sulla “situazione della criminalità in Calabria” (relatori Girolamo Tripodi e Alfredo Galasso), presentata
alla Commissione l’11 novembre 1993, si leggono diversi spunti.
A pagina 10, ad esempio, che “nella relazione di maggioranza è assente qualsiasi riferimento, anche solo come fatto storico, alle domande di autorizzazione a procedere per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso avanzate dall’autorità giudiziaria nei confronti dei noti esponenti politici calabresi Riccardo Misasi, Paolo Romeo, Sisinio Zito e Sandro Principe.
Ciò conferma la permanenza di una confusione tra la sfera politica e quella giudiziaria e il conseguente ricorso all’abusato richiamo della responsabilità penale come esclusivo parametro di giudizio delle attività degli uomini politici”.
A pagina 19 invece si legge che “di recente anche in Calabria i pentiti hanno svolto un ruolo determinante nel portare alla luce un mondo finora sommerso. Attraverso le loro rivelazioni è stato possibile ricostruire un sistema vissuto, fino a pochi anni fa, all’ombra dell’illegalità e della collusione.
E così si è appreso che più volte la ‘ndrangheta ha preso parte a disegni eversivi portati avanti da ambienti della destra extra parlamentare; che i De Stefano erano favorevoli al programmato «golpe Borghese»; che il deputato Paolo Romeo ha ospitato Franco Freda procurandogli anche un passaporto (dichiarazioni dei pentiti Lauro e Barreca).
In particolare Romeo viene indicato dai due pentiti come un componente dell’organizzazione «destefaniana». Sul ruolo svolto dal deputato all’interno della cosca il sostituto procuratore nazionale antimafia Vincenzo Macrì scrive: «È un ruolo che va ben al di là di quello di referente politico di una determinata cosca che è quello di vera e propria partecipazione all’organismo associativo, tanto da costituire uno degli obiettivi militari delle cosche Condello, Imerti, Serraino … » (dall’autorizzazione a procedere nei confronti del deputato Romeo).
Si apprende inoltre che il deputato era in contatto con il clan di Nitto Santapaola.
Gli elementi forniti dalla magistratura offrono un quadro inquietante all’interno del quale il deputato Paolo Romeo ricopre un ruolo di primo piano: saldamente legato a poteri criminali mafiosi, offre loro protezione politica e giudiziaria, ricevendo a sua volta forti e decisivi appoggi elettorali.
È da segnalare che Romeo riceve, nell’attuale legislatura, due domande di autorizzazione a procedere per abuso d’ufficio, relative al periodo in cui era membro della giunta comunale di Reggio Calabria”.
La relazione della maggioranza della Commissione parlamentare antimafia, sempre sulla “situazione della criminalità in Calabria”, (relatore Paolo Cabras) venne approvata dalla Commissione il 12 ottobre 1993 e presentata alle presidenze il 7 dicembre 1993. In essa si legge che “…il Romeo aveva partecipato, nell’ambito di gruppi neofascisti, alla rivolta di Reggio Calabria nel 1970. I collaboratori di giustizia affermano concordemente che in epoca successiva egli aveva stabilito organici rapporti con la famiglia De Stefano. Tali rapporti si consolidarono decisamente nel periodo maggio-luglio 1979, durante la fuga e la latitanza del neofascista Franco Freda, all’epoca imputato nel processo per la strage di Piazza Fontana, che si teneva a Catanzaro. Il collaboratore Filippo Barreca ha puntualmente ricostruito le vicende della latitanza di Freda, che egli ospitò in casa sua. Anche il collaboratore Giacomo Lauro ha rievocato le stesse vicende ed ha insistito sulla intesa che era stata già costruita nei giorni della rivolta di Reggio tra Romeo e i De Stefano. Nel 1991 Romeo si sarebbe avvicinato al gruppo Condello-Imerti e dopo l’omicidio di Paolo De Stefano, il suo intervento sarebbe stato determinante ai fini di un accordo tra le forze mafiose in campo.
Il mutamento intervenuto con la costituzione della «cupola» è un’assoluta novità nella storia della ‘ndrangheta calabrese e ne modifica profondamente la struttura organizzativa. Ciò pone ancor più la ‘ndrangheta reggina in una posizione dominante nei confronti delle altre organizzazioni mafiose operanti nelle Provincie di Catanzaro e di Cosenza; e in una posizione chiave rispetto a Cosa Nostra, alla camorra e alla Sacra Corona unita”.
A pagina 65 si legge invece che “i collegamenti sono proseguiti con varie coperture per la latitanza e la fuga di Franco Freda in Costarica. Particolarmente attivo in questa azione è stato l’avv. Paolo Romeo, all’epoca partecipe di gruppi eversivi di destra e poi divenuto socialdemocratico. Quelle vicende sono importanti perché segnano un rapporto tra la destra eversiva legata al Msi e la ‘ndrangheta. Dopo il fallimento della rivolta, la ‘ndrangheta si collocò su una sponda filogovernativa”.
In sintesi: in quei 772 giorni in cui Finocchiaro e Romeo erano colleghi parlamentari, Romeo non passò certo inosservato e il clamore sollevato intorno alle sue vicende anche (ma non solo) parlamentari difficilmente potevano passare in cavalleria.
Magari, però, mi sbaglio.
r.galullo@ilsole24ore.com
13 – to be continued
(si leggano
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