«C’è una sfida che non vorremmo dover combattere ma che ci vede da anni impegnati in prima linea». Questa sfida, alla quale da pagina 19 del suo discorso il neopresidente di Confindustria Vincenzo Boccia fa riferimento, è quella di un popolo intero: la sfida della legalità.
Bene ha fatto Boccia a inserire nel suo discorso di apertura del nuovo corso confindustriale il richiamo alla legalità, partito con forza ben 20 anni fa da Viale dell’Astronomia, con uno storico convegno dei giovani under 40 a Capri. In Commissione parlamentare antimafia, il 16 marzo 2010, i vertici confindustriali ricordarono così la nascita di quella primavera: «… questo progetto parte nel lontano 1996-1997, quando la presidente Marcegaglia era presidente nazionale dei Giovani industriali. Uscivamo da Tangentopoli e le imprese erano tutte scosse dal tormentone, soprattutto le aziende del Nord. Ebbene, fu proprio la presidente Emma Marcegaglia a sollevare il problema del rapporto tra legalità e sviluppo nella convention dei Giovani industriali di Capri: i nostri colleghi tremavano, lo ricordo benissimo. Ma ci inventammo dell’altro: su incarico della Presidente, invitai i magistrati, che allora erano in prima linea, del pool di Milano e della procura di Palermo. Non è necessario citare i nomi; ricordate tutti chi c’era in quegli anni. Vennero tutti a Capri. Pensate: i figli degli imprenditori che avevano avuto problemi si incontrarono con i magistrati che gli avevano creato quei problemi. E’ stato un momento importante. Quei magistrati riuscirono anche a conquistarsi gli applausi. Da allora, quegli stessi magistrati ci seguono oggi in questo progetto ambizioso». A parlare così era Antonello Montante, delegato ai rapporti con le Istituzioni.
Venti anni dopo quel patto di sangue nel nome della legalità – al di là dei nomi che hanno fatto e faranno la storia di una rivolta delle coscienze imprenditoriali – bene ha fatto Boccia a ricordare la volontà di riscatto e la primogenitura di un patto che merita di essere rinnovato nel nome di un Paese, l’Italia, piegata dall’illegalità e dai poteri marci, primo fra tutti quel matrimonio perverso di affari tra politica al soldo delle mafie e logge “selvagge” scoperchiate da decenni dalle Procure di Palermo e Reggio Calabria. Senza legalità non c’è sviluppo. Né crescita sociale. Non ci sono e non ci saranno quello sviluppo e quella crescita che ieri Boccia nell’assemblea generale di Confindustria ha invocato per il tessuto produttivo italiano, rompendo un tabù (“piccolo è bello”) che, così come la retorica antimafia, ha riempito la testa e la bocca di analisti per decenni. Lo stesso passo – semplice e rivoluzionario al tempo stesso – è richiesto oggi sul fronte della legalità che non può, non deve vedere escluso il mondo imprenditoriale dalla riscossa etica e morale del Paese.
Bene ha fatto Boccia – che non conosco personalmente ma al quale mi rivolgo con la stessa indipendenza di giudizio, rigore e trasparenza che contraddistingue da sempre la mia vita personale e quella professionale, negli ultimi 22 anni messa al servizio del Sole-24 Ore – a partire da un piccolo episodio che rappresenta l’Italia dei “grandi”.
Vale a dire quell’Italia fatta di italiani che rifuggono l’etichetta di “campioni dell’antimafia e dell’illegalità” ma che si sporcano invece, ogni giorno, le mani per dimostrare che mafia e corruzione, due volti della stessa identica medaglia, trovano sul territorio dei presidi insospettabili di rigore e rispetto.
Boccia ha infatti ricordato che qualche settimana fa è stata bruciata la residenza di campagna del sindaco siciliano di Licata, Angelo Cambiano. «Un giovane sindaco che sta applicando l’ordine della Procura di Agrigento di abbattere le villette che da decenni – ha detto Boccia – occupano abusivamente il litorale. Purtroppo non è un episodio isolato. Molti rappresentanti delle Istituzioni ogni giorno toccano con mano il disprezzo per le leggi dello Stato e sono costretti a lottare, spesso da soli, contro la mancanza di qualsiasi senso civico e di rispetto per il bene comune. A loro va la nostra piena solidarietà».
La solidarietà non basta – Boccia lo sa benissimo provenendo da quella Campania e dal quel Sud che ancora gronda sangue dalle ferite infette dello scempio dell’abusivismo edilizio – e ci vuole uno scatto che accompagni questi “piccoli grandi” che tappezzano l’Italia dei valori e dei principi. Basta attirarli, sapendo che possono trovare nel mondo delle imprese pulite e del sistema associativo che vuole e deve rappresentarle, una sponda che possa far rimbalzare i loro diritti verso quelle Istituzioni e quello Stato spesso cieco e sordo ma, ancor peggio, omertoso. Perché è di omertà che si nutrono mafie e corruzione, due volti, ripetiamo all’infinito, della stessa medaglia.
E che la solidarietà non basti e che ci sia bisogno di una nuova primavera della legalità che veda ancora il sistema economico e produttivo in testa alle azioni e alle missioni, Boccia lo sa benissimo. «L’illegalità va punita – ha infatti proseguito – e dobbiamo isolare chi viola il patto sociale, frena il progresso economico oltre che civile del Paese, fa concorrenza sleale, scoraggia l’accumulazione di capitale umano e peggiora la qualità delle Istituzioni. L’illegalità si estirpa con le Istituzioni che funzionano, non con nuove norme. E le Istituzioni, a partire dalla Giustizia, funzionano quando producono decisioni che non sono soltanto ineccepibili nella forma ma si calano correttamente nel contesto. Ciò significa conoscere quel contesto, adattare la legge al caso concreto, saper esercitare la giusta discrezionalità e cogliere le ricadute economiche di quelle decisioni». Per attuare l’isolamento di chi viola il patto sociale, istituzionale e costituzionale, che Boccia invoca, c’è un solo modo: la denuncia accompagnata da una squadra forte, mille volte più forte di chi denuncia, che si faccia carico di quella denuncia e la faccia diventare una denuncia comune, della collettività, del mondo dell’Italia che lavora e che produce. Boccia lo ha fatto con un “piccolo grande” sindaco.
Anche se Boccia non ha mai usato le parole “mafie” e “corruzione” nel suo discorso, proprio a mafie e corruzione – che pure devono essere pronunciate a voce alta e forte perché il mondo dell’illegalità è terrorizzato dal “mondo della parola”, sia essa scritta o orale – il neo presidente di Confindustria anche a mafie e corruzione pensava quando ha affrontato il tema del libero mercato e della sana e leale concorrenza. «L’illegalità si estirpa quando il mercato è libero – ha infatti detto – . Non quando il mercato è del più forte o del più furbo. Su questo occorre uno slancio. I progressi in materia sono limitati. La legge sulla concorrenza, lungi dal diventare un esercizio annuale, è ancora in discussione in Parlamento, sicché diverse aree dell’attività economica presentano barriere ingiustificate: trasporto pubblico locale, sanità, commercio, concessioni, professioni. Nel segno della legalità è indispensabile il severo contrasto all’evasione. Che non sia però far pagare il conto ai soliti noti, bensì cambiare approccio nel rapporto tra fisco e contribuenti, sul quale molto e bene ha inciso la delega fiscale, che adesso deve tradursi in coerenti atteggiamenti dell’Agenzia delle Entrate». Giusto, condivisibile e lo stesso slancio, senza se e senza ma, con la forza della parola, il rinforzo della denuncia e la concretezza dei comportamenti, va utilizzato per contrastare quel mercato intraneo al libero mercato drogato dai capitali mafiosi e fonte di gigantesca corruzione. Negli ultimi venti anni – ha calcolato la Dnaa – nel mondo le mafie hanno riciclato almeno 8.300 miliardi di euro. Basta questo dato al mondo ecomomico-produttivo sano, leale e rispettoso delle regole per avere il coraggio di continuare a combattere con sempre maggiore forza nel nome di in futuro da dare a questo Paese e al suo mondo globalizzato?
Il mondo dell’industria, delle imprese e il suo sistema associativo devono continuare a innalzare il vessillo della legalità accompagnando i tanti attori silenziosi che incontrerà lungo il suo percorso, sapendo di poter orgogliosamente rivendicare tanti tasselli di un percorso virtuoso che niente e nessuno potrà cancellare. Devono continuare ad alimentare il fronte di un circuito virtuoso che si alimenta di “piccoli grandi”. Piccoli grandi amministratori, piccoli grandi imprenditori, piccoli grandi professionisti, piccoli grandi Servitori dello Stato. Piccoli grandi cittadini di questo Stato.
Il mondo associativo delle industrie e delle imprese sa che molta strada è stata fatta. A partire da quel “piccolo grande” gesto: il coraggio di rompere con la forza della parola e la testimonianza dei fatti, a Capri, venti anni fa, il silenzio assordante dell’omertà mafiosa e corruttiva.
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