Sul numero dei “Siciliani Giovani”, marzo 2015 n. 24, la storica firma Riccardo Orioles – mio personalissimo punto di riferimento fin da quando, correvano i primi anni Novanta, era una firma del settimanale Avvenimenti – scrisse un articolo titolato “Non vanno d’accordo antimafia e imprese”. Illuminante il sommario: “L’antimafia fasulla da quella vera: come si fa a distinguerle? Facile…”.
Talmente facile, che Orioles scrive «è molto più facile prendere a interlocutori (finché non smascherati) i vari Montante e Helg che non gli Umberto Santino, i Pino Maniaci o i Siciliani. I primi hanno denari da mettere nei vari “rinnovamenti”, e i secondi no; i primi non minacciano in alcun modo l’assetto sociale “perbene”, e i secondi sì. Ma così va il mondo; e noi perdoniamo volentieri agli amici perbene quella che non è certo malafede ma solo disattenzione e pigrizia. Noi, all’antimafia dei simboli, preferiamo quella palpabile e concreta».
Sullo stesso numero, un’altra firma autorevolissima come quella di Salvo Vitale, in un articolo titolato “Il giocattolo dell’antimafia” scrive: «…A inasprire gli animi è stata la barbara esecuzione dei due cani di Pino Maniaci, trovati strangolati col fil di ferro, chiaro avvertimento mafioso. E tuttavia alcuni settori di Partinico, bersaglio degli strali di Maniaci, per vendicarsi ed estrinsecare la loro ostilità hanno messo in giro la voce che era stato lo stesso Maniaci ad assassinare i suoi due cani per farsi pubblicità e aumentare la sua audience. Non è la prima volta che questo accade: la macchina del fango ha coinvolto spesso Maniaci in una serie di altre maldicenze, secondo tutti i canoni praticati dalle società mafiose: isolare le persone scomode, togliere loro credibilità, additarle al pubblico ludibrio e, in ultima soluzione, eliminarle».
Questa premessa, sulla scia di due voci giornalistiche che reputo autorevolissime, cari lettori di questo umile e umido blog, è necessaria perché La Repubblica di oggi riporta la notizia che Pino Maniaci, giornalista e direttore di Telejato di Partinico (Palermo), tv di frontiera antimafia, è sotto inchiesta.
La procura di Palermo ipotizza il reato di estorsione.
«Maniaci è stato più volte ascoltato e intercettato dai carabinieri – scrive Repubblica – nell’ambito di altre indagini: avrebbe ottenuto favori in cambio di una “linea morbida” della sua emittente nei confronti dei due amministratori comunali, i sindaci di Partinico e Borgetto. Dalle conversazioni intercettate sarebbero emersi altri elementi a carico di Maniaci che avrebbe ottenuto dal sindaco di Partinico e da quello di Borgetto, Gioacchino De Luca, finanziamenti sotto forma di pubblicità per la sua emittente televisiva. I due sindaci, interrogati da carabinieri e magistrati, avrebbero fatto delle ammissioni. Gli inquirenti avrebbero espresso anche qualche dubbio in relazione ad uno degli ultimi atti intimidatori che Pino Maniaci avrebbe subito nel dicembre del 2014 quando due suoi cani furono avvelenati ed impiccati. Per gli investigatori non si tratterebbe di una intimidazione mafiosa, ma sarebbe legata ad una vicenda privata».
Ora assumono contorni più chiari le sequenze andate in onda il 4 novembre 2015 in Commissione parlamentare antimafia. Il deputato Claudio Fava, Sinistra italiana-Sel, vicepresidente della Commissione, buttò lì al capo della Procura di Palermo Francesco Lo Voi: «Tra le intercettazioni che sono ormai di dominio pubblico legate alla vicenda Saguto si parla anche del rapporto tra la dottoressa Saguto e Pino Maniaci, direttore di Telejato, e in un segmento di queste intercettazioni la Saguto dice: “ha le ore contate”, ovviamente parlando in termini metaforici e probabilmente giudiziari. Siccome anche a questa Commissione erano arrivate voci di un’inchiesta in corso su Pino Maniaci, avremmo bisogno di capire se vi sia una coincidenza casuale tra questa affermazione perentoria della dottoressa Saguto e queste voci, e soprattutto se sia in corso un’inchiesta e a che punto sia. Per dirla in termini diversi, abbiamo avuto la sensazione che ci sia stata una sollecitazione più o meno indiretta da parte della dottoressa Saguto, perché ci fosse particolare attenzione anche sul piano giudiziario nei confronti di Pino Maniaci, per cui vorremmo che lei ci dicesse qualcosa».
Il senatore Mario Michele Giarrusso (M5S) ribadì il concetto: «La domanda che ha fatto il vicepresidente Fava su Maniaci…».
Lo Voi rispose così: «Se mi posso permettere (non intendo minimamente criticare), la domanda va benissimo e sono pronto a rispondere, però non fa parte di quelle domande di carattere generale o, se ne fa parte, richiederebbe da parte mia una premessa più ampia su uno dei settori a cui aveva fatto riferimento la presidente Bindi, cioè il mondo dell’antimafia. Io su questo con il vostro permesso avrei necessità non di prendere tempo, perché ho qui con me tutti gli appunti, ma di avere più tempo per poter rispondere, e avrei bisogno almeno di quindici minuti per poter spiegare quanto è successo nell’ultimo arco di tempo, arco abbastanza lontano in una delle sue basi, perché comincia vent’anni fa, quindi c’è un discorso più ampio da fare».
Di fronte a questa riflessione – che apriva il mondo dello scibile umano a tutto e al contrario di tutto – la presidentessa Rosi Bindi rispose così: «Siccome preferiamo che lo svolga in mezz’ora anziché in quindici minuti perché il tema ci interessa, ci riaggiorniamo… Lo facciamo tornare o andiamo noi a Palermo, comunque noi mandiamo il verbale».
Nell’articolo del 3 dicembre 2015 su questo umile e umido blog (rimando al link a fondo pagina) concludevo così: «Quel mondo che resta sospeso non sarebbe il caso di riportarlo a terra e spiegare cosa diavolo sta succedendo intorno a Pino Maniaci? La delegittimazione è un “venticello” e – soprattutto – ammazza ancor prima (e meglio) di una morte fisica. La Sicilia e la Calabria – in questo – sono maestre. Anzi: Magnifiche Rettrici dell’Università della “carretta” e della “tragediata”. Che torni Lo Voi a Roma, che vadano gli altri a Palermo ma, di grazia, fate presto a spiegare. Del resto Lo Voi ha chiesto solo 15 minuti che. Basta una semplice videoconferenza. Il primo a ringraziarvi – sono certo – sarà Pino Maniaci, un uomo e un giornalista che sa come affrontare le mafie visibili ma che, come tutti gli esseri umani, ha maggiori difficoltà con i “venticelli” ».
Il “venticello” ora rischia di trasformarsi in un tornado che – ancora una volta – travolgerà tutto e tutti.
Voglio, dunque, concludere con alcune riflessioni.
Come testimoniano le due prese di posizione di Orioles e Vitale, che sarebbero stati pronti – insieme a centinaia di altri autorevoli personaggi e comuni cittadini – a immolarsi per la vita specchiata di Maniaci e a gettare al rogo metaforico quella presunta immonda di Antonello Montante e forse, oggi anche di Ivan Lo Bello (travolto anche lui da una bufera giudiziaria), sono sempre più convinto che l’antimafia è un moto personale dell’anima.
Un dna personale e non collettivo, che non va sbandierato in “comuni” sensi ma in “privati” sentimenti. Ribadisco quanto scrissi allora: la mano sul fuoco la metto su me stesso, sui miei familiari. Punto e basta. Le marce dei valorosi, le ammucchiate dei puri, le santificazioni, le barricate degli intolleranti non mi si addicono. Preferisco la testimonianza personale: di penna e di voce. Sui fatti che ho conosciuto e conosco. Solo su quelli. Sugli altri – qualora non probi – può intervenire solo la Giustizia nel momento in cui si scoprono ma, soprattutto, quando vengono accertati in via definitiva e inappellabile (se non di fronte alla propria coscienza e a Nostro Signore).
La seconda riflessione è, però, più importante (e conseguenziale) della prima: guai, da giornalisti o da osservatori, a giudicare prima dei giudici sulla rilevanza penale dei comportamenti. A tirare – sulla scia di un avviso di garanzia che è a tutela dell’indagato e non è una sentenza già scritta – giudizi sommari di rilevanza giudiziaria. Si possono analizzare fatti e azioni e su quelli esprimere eventuali giudizi morali, etici ma mai surrogati dell’azione propria della magistratura.
Ergo: non mi permetto di sostituirmi ai giudici sulla vicenda di Maniaci che – vedrete – diventerà ora, purtroppo e maledettamente, un’arma impropria nelle mani di chi vorrà regolare conti propri o collettivi.
Anzi, anzi…Anzi, ribadisco che il Maniaci che io ho avuto il piacere di intervistare su Radio 24 al tempo delle mie trasmissioni e che ho avuto il piacere di seguire nelle sue battaglie antimafia (non l’ho mai conosciuto personalmente) mi è sempre sembrato una persona retta e di vero esempio. Attendo dunque una rapida escalation della vicenda che possa accertare presto (prestissimo) la verità giudiziaria per il bene di Maniaci e per quello di un’intera pubblica opinione che ha il diritto di sapere in tempi rapidi se ha riposto la propria fiducia in una persona retta o meno. Mi auguro che la discrezione e l’equilibrio giochino un ruolo fondamentale in questa delicata vicenda.
Allo stesso modo ribadisco quanto ho scritto su questo umile e umido blog sulla vita dei Montante e dei Lo Bello (solo per rimanere ancorati alla Sicilia e al tema) che io ho conosciuto: imprenditori che hanno rischiato in proprio per portare avanti una battaglia condivisa su principi di legalità e di etica d’impresa. Non è stato così? Facciano presto a dircelo. I giudici. Solo loro.
Già, perché, uno dopo l’altro stanno cadendo (sotto colpi veri, presunti o abilmente assestati) tanti simboli (lasciamo perdere, vi prego, la ridicola parola “paladini”).
Troppi, per non interrogarsi sul fatto che – contrariamente a quanto scrive, tra i tanti, Orioles – non è facile distinguere l’antimafia fasulla da quella vera….
r.galullo@ilsole24ore.com