Amati lettori di questo umile e umido blog, da ieri scrivo dell’operazione con la quale, la scorsa settimana, i finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria (agli ordini del colonnello Alessandro Barbera), hanno sequestrato prima, e confiscato poi, un patrimonio mobiliare, immobiliare e societario, per un valore di circa 10 milioni, nei confronti dei Lavilla (il padre Giuseppe e i figli Antonio e Maurizio), noti imprenditori reggini ritenuti da investigatori e inquirenti organici proprio alla cosca Tegano.
Oggi ripartiamo (dopo avervi rimandato al link a fondo pagina per quanto scritto ieri) proprio da qui: la contiguità, secondo pm e giudici, alla cosca Tegano. E lo facciamo leggendo quanto il Tribunale scrive a pagina 13 nei confronti di Giuseppe Lavilla, nato a Reggio Calabria il 1° settembre 1948. Orbene, alla fine di un lungo excusus nel quale si richiamano anche le precedenti sentenze assolutorie per 416 bis, ecco quanto si legge: «…sulla base degli elementi sopra citati appare possibile pervenire alla conclusione che il proposto sia soggetto appartenente alla cosca Tegano-De Stefano essendo emerso come fin dagli anni ’80 egli fosse il prestanome dei De Stefano e come si adoperasse per seguire tutti gli affari che riguardavano i predetti fungendo anche da prestanome. A seguito del procedimento di prevenzione avviato nei suoi confronti, i Tegano si determinavano ad individuare quali prestanome i fratelli Lavilla Antonio e Maurizio, a cui fare gestire il patrimonio sociale della Sica srl, poi intestato fittiziamente ad altri soggetti (…) Nel senso della piena contiguità nel corso degli anni alle cosche De Stefano e Tegano depongono plurimi e convergenti elementi trattati dai procedimenti penali che dimostrano come Lavilla Giuseppe, anche a prescindere da una formale affiliazione (così gli esegeti e i cultori delle affiliazioni avranno uno stimolo in più per riflettere sulla loro effettiva, attuale sacralità, ndr), abbia reso favori alle cosche e da questi ne abbia ricevuti, sfruttando con continuità i legami a tutto vantaggio della propria attività imprenditoriale. Per questi motivi, alla luce di quanto sopra, non vi sono dubbi sulla pericolosità sociale del preposto in quanto indiziato di appartenere alla ‘ndrangheta. Tale pericolosità, che certamente ha contrassegnato tutto il percorso di vita imprenditoriale del Lavilla, deve ritenersi ancora attuale (…) Le risultanze in atti hanno dimostrato una contiguità funzionale del preposto ad una delle cosche più potenti nel panorama reggino, così profonda e soprattutto così risalente nel tempo, che non vi è motivo di ritenere che sia venuta meno con il mero decorso del tempo». Motivo per il quale Giuseppe Lavilla si prende quattro anni di sorveglianza con obbligo di soggiorno e cauzione di 4mila euro.
Giunti a questo punto non vi sarà sfuggito che si scrive Tegano ma si legge (anche) De Stefano, che dal quartier generale di Archi fanno il bello e il cattivo tempo su Reggio, la Calabria e fuori dai miserrimi confini regionali. Un’alleanza – quella tra i Tegano e i De Stefano – che ha molti elementi anche indiretti di riflessione, come quelli offerti dalla stessa Dda di Reggio e sottolineati dal Tribunale.
Antonio Lavilla (figlio di Giuseppe) è infatti il genero di Giovanni Tegano, per averne sposato nel 2002 la figlia Saveria. Il giovin Antonio (è del ’75) risulta al momento condannato in via definitiva solo per il reato di omesso versamento di contributi previdenziali (ma ha un procedimento in corso nel quale, in primo grado, il 29 luglio 2014 è stato condannato a cinque anni e sei mesi ed un altro di cui a breve, sotto, scriverò).
Un pentito (le cui dichiarazioni sono state riportare nel decreto di confisca) ribadirà «il ruolo assolutamente sovraordinato riconosciuto a Lavilla Antonio, in forza del rapporto con Tegano Giovanni, avendone sposato la figlia Saveria, confermando quanto già detto con riferimento all’autonomia operativa di cui questi godeva nonché della piena consapevolezza in tale circostanza non solo all’interno della famiglia ma ance nei rapporti esterni della cosca con altre famiglie, costituendo il rapporto parentale un passepartout per accedere a qualunque contesto criminale. Sul punto precisava che alla scomparsa di Paolo Schimizzi (scomparso nel nulla con i suoi tanti segreti nel 2008 e mai più ritrovato, ndr) i compiti che erano stati propri di quest’ultimo – vero e proprio portavoce di Giovanni Tegano latitante – erano stati attribuiti ai due generi e non già ad Antonio Lavilla. Ciò non era avvenuto per demeriti del Lavilla o per una minore fiducia accordatagli dal suocero ma soltanto in ragione della più marcata vocazione di questo verso gli affari, di talché era stata perseguita una ripartizione delle competenze tenendo conto delle attitudini di ciascuno. Emerge quindi come il Lavilla tra i generi del Tegano godesse di grande considerazione anche in virtù delle sue capacità imprenditoriali».
Il fatto che si scriva Tegano e si legga (anche) De Stefano è confermato da quanto i giudici della sezione Misure di prevenzione del Tribunale (presidente Ornella Pastore, giudici Vincenza Bellini e Mariarosa Savaglio) scrivono a pagina 25: «successivamente nell’ambito del processo 5454/08 Dda, a seguito dell’acquisizione di ulteriori elementi, Lavilla Antonio veniva nuovamente sottoposto a fermo nell’ambito del medesimo procedimento questa volta convalidato dal Gip il 14 dicembre 2014 e sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, confermata dal Tribunale del riesame il 3 gennaio 2015. La contestazione addebitata a Lavilla Antonio nell’ambito del suddetto procedimento è quella di aver svolto il ruolo di organizzatore delle articolazioni territoriali dell’associazione di tipo mafioso ed armata denominate “cosca De Stefano” e “cosca Tegano”, tra loro storicamente collegate, alle dirette dipendenze del capo crimine Giovanni Tegano, con i compiti di gestire la struttura associativa durante la latitanza e la carcerazione del predetto e di incontrare i capi delle altre famiglie di ‘ndrangheta per affrontare le varie problematiche che riguardano la più ampia organizzazione di appartenenza (..) Gli elementi sopra esposti consentono quindi di affermare che Lavilla Antonio sia soggetto socialmente pericoloso essendo emerso il suo inserimento nella cosca Tegano con ruolo di assoluto rilievo. In particolare è emerso come a seguito degli arresti avvenuti nei confronti di altri appartenenti alla cosca Tegano egli aveva assunto le redini della cosca prendendo importanti decisioni. Il giudizio di persistente attualità della pericolosità sociale è, del resto, avvalorato dalla circostanza che il Lavilla è tuttora sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere». Sarà poi compito della Giustizia (fino a eventuale terzo grado di giudizio) a mettere il punto anche su questa vicenda.
Giunti a questo punto della storia mi fermo. Perché? Perché domani ricomincerò partendo dalle scarpe dei De Stefano con le quali cammina mezza Reggio Calabria che, però, poi si sollazza in mille altri
2 – to be continued (per la precedente puntata si veda
modi.